Simboli parlanti, emblemi di arti o di attività economiche, talvolta solo per il loro potere evocativo le monete ricorrono spesso nell’araldica di ieri e di oggi

 

di Maurizio Carlo Alberto Gorra | Fra l’araldica e la numismatica c’è un legame ben definito e molto stretto, che supera gli aspetti esteriori più immediati e assume i connotati di una necessaria dipendenza.

Araldica e monete
Poitiers – blasone: d’argento, al leone di rosso, lampassato e armato d’oro, alla bordura di nero, a dodici bisanti d’oro. Al capo dello scudo d’azzurro, a tre gigli d’oro (Francia) (da n.n. [a cura del Café Sanka], La France heraldique. Les blasons de France, Strasburgo, Alsacienne s.d. [c. 1935], vol. IV, p. 107)
Il nesso fra queste scienze documentarie della storia si fonda sulla realizzazione di un principio apparentemente banale: chi dispone di uno stemma lo usa come e quando occorre per darsi pubblica visibilità e quindi, a maggior ragione, chi ne dispone ed è in grado di battere moneta lo userà sui denari che emette, i quali sono un mezzo assai immediato e diffuso per trasmettere ogni immagine.

La prima conseguenza di tutto ciò ricade nella nostra esperienza quotidiana: quanti appassionati si saranno rigirati almeno una volta fra le dita una moneta, un biglietto di banca o un qualunque altro oggetto numismaticamente rilevante, chiedendosi: “Ma che significa questo stemma? E di chi è?”.

Scindiamo la domanda: rispondere al “chi” di norma è facile, perché l’autorità emittente di denaro spesso accompagna lo stemma col proprio nome (quando ciò non accade si apre la “caccia all’identificazione”, e a volte son dolori!). Sul “perché”, invece, la risposta è più complessa, più difficile da reperire e in definitiva più affascinante.

Araldica e monete
Melun – blasone: d’azzurro, a sette bisanti d’oro posti 3, 3, 1. Al capo dello stesso. Tenenti: due grifi al naturale, controrampanti e con la testa rivoltata. Cimiero: una testa e collo di toro uscente da una torre, il tutto d’oro e con un colletto d’azzurro, a sette bisanti d’oro posti 3, 3, 1 (da D. Diderot / J. le Rond d’Alembert, Encyclopedie […]. Blason ou art heraldique, Parigi, Briasson 1760 [ristampa Parigi, Baudouin 1979], tav. XXII)
A volte, sapere perché uno stemma è fatto in un certo modo è fatica impossibile da premiare, nemmeno a prezzo delle più estenuanti ricerche: ciò dipende dal fatto che il capriccio guidò le scelte del primo proprietario, o che questi è scomparso senza lasciar testimonianza delle sue motivazioni; più spesso dobbiamo limitarci a fare ipotesi, talvolta riusciamo a risalire a leggende create a posteriori (affascinanti se restano tali e non le si spaccia per verità). Ed è anche grazie a queste difficoltà che l’araldica e la numismatica piacciono e attirano, tanto più quando si pongono reciprocamente sotto punti di vista insoliti o poco considerati.

In questo caso ne proponiamo un esempio, andando a parlare non degli stemmi nella numismatica, ma viceversa. Occorre per prima cosa precisare che in araldica le figure tratte dalla numismatica sono quasi esclusivamente monete, raffigurate al naturale o più spesso stilizzate in un cerchio in tinta metallica (argento o oro) di piccole dimensioni, che la terminologia del blasone chiama “bisante”. Secondo gli autori più accreditati questo nome deriverebbe “da bisantii o bizantini, monete coniate nel Medioevo a Bisanzio ed il cui uso si estese in Francia, Italia, Inghilterra, Cipro e fra Saraceni”.

Manodori – blasone: troncato: nel 1° d’oro, all’aquila di nero; nel 2° d’azzurro, alla mano destra recisa e in atto di versare monete, il tutto d’oro (da Stemmi di famiglie modenesi, Firenze, Cromolitografia Crivelli s.d., tav. VI)

Pare che nei primi anni del XIV secolo il controvalore in metallo di questa moneta fosse di lire 10,467: tale stima risale alla seconda metà del’Ottocento. A livello di potere d’acquisto, pare poi che con un bisante si potesse comprare una quantità di frumento per lire 24,79. A farla breve, in ogni caso chi aveva un gruzzolo di bisanti non se la passava affatto male.

La figura araldica del bisante è testimoniata da citazioni di fonti che partono almeno dal XIII secolo, ed è quindi verosimile che il suo utilizzo sia iniziato da ben prima, facilitato dal loro aspetto elementare e dalla conseguente semplicità di realizzazione.

La conferma della loro antica notorietà viene dal fatto che, durante la cerimonia dell’incoronazione, i re di Francia erano vincolati all’ancestrale usanza di offrire all’altare tredici bisanti d’oro, tanto che Enrico II “per obbedire a quest’uso inveterato in un tempo in cui più non avean corso quelle monete, ne fece coniare tredici espressamente pel giorno della cerimonia, che furono chiamate bizantins e valevano circa un doppio ducato ognuna”.

Borsari – blasone: troncato: nel 1° d’argento, all’aquila bicipite di nero, sormontata da una corona di cinque raggi all’antica d’oro; nel 2° d’azzurro, al destrocherio di carnagione, vestito di verde, uscente dal fianco sinistro dello scudo, e in atto di afferrare una borsa di rosso, posta in sbarra sulla destra, legata d’oro e ricolma di monete dello stesso (da Stemmi di famiglie modenesi, Firenze, Cromolitografia Crivelli s.d., tav. II)

Il lettore più curioso potrà ricavare un’altra equivalenza in termini di euro da quest’informazione, alla quale aggiungiamo che anche il re d’Inghilterra “dava ogni anno con gran cerimonia un bisante d’oro alla chiesa di Canterbury”.

Un ottimo indizio dell’origine numismatica del bisante araldico si ha dai termini blasonici in uso all’estero: in Spagna è definito bezante, in Francia e Olanda besant, in Germania Pfennige e più di recente Münze o Metallscheibe, in Inghilterra bezant.

Gli araldisti barocchi lo associavano ai concetti di ricchezza, generosità, aiuto liberale, diritto di batter moneta, o teorizzavano che portarli nel proprio stemma significasse ricordare una carica amministrativa ricoperta presso regnanti o principi: affermazioni che, come ogni altra spiegazione pseudo simbolistica del genere, sono del tutto gratuite e prive di fondamento. Chi utilizza una qualsiasi figura nello stemma lo fa di solito per precisi motivi, non per seguire teorie, anche magari basandosi su qualche leggenda o, nel caso dei bisanti, alterando altre figure rotonde.

Araldica e monete
Michiel – blasone: fasciato d’azzurro e d’argento, a ventun bisanti d’oro posti 6, 5, 4, 3, 2, 1 (Roma, chiesa di San Marcello, controfacciata sinistra, sommità del monumento del cardinale Giovanni Michiel, 1511, fotografia dell’autore)

Ciò sembra esser accaduto in Francia per due stemmi parlanti, ossia aventi figure assonanti con il nome del titolare, quello della città di Poitiers dove divennero bisanti i vasi (pots) che aveva in precedenza, mentre la famiglia Melun li ricavò dalle macine da mulino, o mole (meules), forse per assecondare una gentile tradizione familiare: quei bisanti ricorderebbero le monete che la principessa Clotilde diede ad Aureliano, il capostipite della famiglia, col pretesto di fargli un’elemosina quando questi fece da mezzano fra lei e re Clodoveo.

Sempre a una leggenda di famiglia s’ispira anche lo stemma dei reggiani Manodori, che contiene una mano stracolma di monete d’oro: si vuole, infatti, che fortune e cognome siano loro derivati quando “un abitante delle più alte montagne del Reggiano”, antenato evidentemente dei Manodori, scoprì dentro una grotta un tesoro forse consistente, per l’appunto, in una mano d’oro o di talmente tante monete del prezioso metallo da riempirsene mani e scarselle.

Per restare in zona, a Finale Emilia troviamo lo stemma dei Borsari, dal contenuto insolito e curioso: una borsa rovesciata e riversante monete d’oro, con un braccio destro vestito di verde in atto di afferrarle. Il gesto in sé è lecito e, benché “al verde”, diamo per scontato che quel braccio sia mosso da intenzioni cristalline: l’ipotesi opposta è troppo scontata e d’altronde, siamo logici, chi mai si sognerebbe di tramandare ai propri discendenti uno stemma “borsaiolo”?

Arte del Cambio di Firenze – blasone: di rosso, seminato di bisanti d’oro (disegno dell’autore)

Piuttosto, vera o leggendaria che sia, un’origine numismatica dei bisanti araldici è certa in diversi casi: i ventuno bisanti ordinatamente disposti nello stemma dei veneziani Michiel si ricollegherebbero ad un fatto occorso al doge Domenico, vissuto nel XII secolo, il quale “impiegato come Generale delle Venete forze nel […] soccorso di Baldvino a […] Terra Santa […] nell’assedio di Tiro […] indebolito di quel nervo, che nella Guerra stende le braccia armate de’ soldati, cioè l’oro, improntò sù la pelle, o cuojo, quei bolli che risuscitassero il bollore ne gli animi loro”.

Altri autori sostengono che egli “sprovvisto di denaro mentre guidava una crociata pagò i soldati con monete di cuoio che al ritorno rimborsò con sonanti”. É noto che nei periodi di crisi tutto va bene per confezionare denaro, anche di infima qualità, ma in questo caso un dubbio rimane: quei gettoni di cuoio sono finiti nello stemma in ricordo della gloria dell’impresa o nel rammarico per quelli presentati all’incasso?

Chartres – blasone: di rosso, a tre monete degli antichi conti di Chartres d’argento. Al capo d’azzurro, a tre gigli d’oro (Francia) (da stampa d’epoca, in Archives de la Ville de Chartres)

A Firenze, lo stemma dell’Arte del Cambio è più elementare e meglio spiegabile: l’arma di quest’antica corporazione di banchieri e cambiavalute ha una limpidezza tale da essere immediata a chiunque, legata com’è al più antico e fondamentale requisito araldico, l’evidenza visiva.

Maneggiare quotidianamente denaro per lavoro rende ovvio avere tanti soldi seminati anche (e non solo) nel proprio stemma. Va detto che alcuni puntualizzano il blasone dicendo che quei cerchietti, privi del pur minimo segno identificativo, sarebbero fiorini anziché bisanti.

Monete e arladica
Città di Pittsburgh – blasone: di nero, alla fascia scaccata di tre file d’argento e d’azzurro, accompagnata da tre monete del campo, bordate d’oro e caricate ognuna da un’aqiula rivolta ed al volo abbassato dello stesso. Cimiero: un castello d’oro, murato, aperto e finestrato di nero, torricellato di un pezzo e con un torrione su ambo gli spigoli (da Pinterest)

Le figure principali dello stemma della città francese di Chartres vengono spiegate come “trois pieces de monnoye de ses anciens Comtes marquées de C gothiques & de fleurs de lys”, a conferma della probabile, veritiera derivazione da una moneta effettivamente coniata dalla zecca di quella città.

I segni così descritti sono disegnati o modellati in maniere molto variabili fra esemplare ed esemplare, certo causate involontariamente. nel corso del tempo. da chi ha riprodotto questi dettagli senza coglierne appieno il significato storico e numismatico.

Sarebbe interessante risalire alle monete dei conti di Chartres “marcate con una C gotica e con un giglio” ritenute alla base di questo stemma.

Università di Pittsburgh – versione stilizzata dello stemma civico, semplificata e con variazioni nella cromia (dal sito dell’Università)

Infine, dall’altro lato dell’oceano, anche la città statunitense di Pittsburgh dispone di tre bisanti nel suo stemma: anzi, a rigor di logica e di terminologia li si potrebbe definire direttamente monete perché negli esemplari più recenti non sono in argento né in oro e, a differenza di quelli di Chartres, racchiudono una figura inequivocabile, l’aquila americana.

Vi è certezza anche sulla loro origine, dal momento che lo stemma civico deriva anche da quello dell’inglese William Pitt, che presentava tre bisanti d’oro nel proprio e dal cui cognome derivò oltreoceano il nome di Pittsburgh, ossia la “Città di Pitt”.

 

L’autore

Maurizio Carlo Alberto Gorraè il nostro esperto di araldica, perito in araldica associato al Collegio periti italiani (ruolo n. 1034) e membre associé de l’Académie Internationale d’Héraldique. Per informazioni: blasone.italiano@gmail.com.

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