Bellissima e rarissima, la moneta di cui parliamo, in quanto si tratta di un esemplare di cui si conoscono solo quattro esemplari, tra i quali uno è presente presso le Civiche raccolte di Milano (g 33,41, mm 40,00) e un altro ancora si trova alla Bibliothèque Nationale de France a Parigi (g 33,11 mm 41,30). Si tratta di uno scudo in argento senza data coniato a Milano a nome di Filippo II d’Asburgo, re di Spagna (1556-1598), duca di Milano dal 1554.

La denominazione di “scudo d’argento” cozza tuttavia con quella adottata dal Corpus nummorum italicorum e dai fratelli Francesco ed Ercole Gnecchi nel loro volume Le monete di Milano (1884) che indicano questo pezzo con il nome di “ducatone”.

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Si occupa delle monete milanesi sotto la dominazione spagnola il volume di Carlo Crippa del 1990

In realtà, il magistrale volume di Carlo Crippa Le monete di Milano durante la dominazione spagnola dal 1535 al 1706 (1990) precisa che non esiste sui documenti cittadini del XVI secolo alcun accenno alla coniazione di ducatoni; questo termine veniva riservato alle monete di altre zecche che avessero grande modulo.

Nelle grida milanesi troviamo il termine “ducatone” riferito alle monete coniate a Milano solo dal 1602, e indicava una nuova emissione a nome di Filippo III. Sempre dai documenti sappiamo che non furono coniati scudi d’argento a nome di Filippo II prima del 1556.

Il nostro scudo d’argento presenta un diametro di mm 40,80, un peso di g 33,61 e, probabilmente, faceva parte di una serie di tre, i cui sottomultipli si possono individuare nel mezzo scudo d’argento (g 16,76, mm 33,90) e nel quarto di scudo in argento (g 8,39, mm 28,70), che presentano iconografie diverse al rovescio anche se, sul dritto di tutti e tre i tipi, il busto del sovrano è rivolto insolitamente a sinistra.

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Dal Crippa, il dritto del rarissimo scudo d’argento senza data al tipo di Ercole

Ed è proprio sulla straordinaria bellezza dello scudo d’argento e sulla potenza dell’incisione che ci paice proporre qualche riflessione. Al dritto ecco un potente ritratto di Filippo II che indossa una corazza decorata da arabeschi, finemente curata nei particolari, espressione di quelle armature di rappresentanza che venivano indossate nelle marce trionfali.

Il profilo ricorda con tratti sapienti il prognatismo che caratterizzava gran parte dei discendenti della famiglia asburgica, delinea con grande espressività lo sguardo e con particolare naturalismo le ciocche dei capelli. Il colletto è increspato ed esce morbidamente dall’armatura.

Al rovescio troviamo un bellissimo Ercole che tende la sua muscolatura per sorreggere la volta celeste. La legenda che circonda questa bella scena di potenza e bellezza così spiega: VT QVIES CAT ATLAS, cioè “Affinché Atlante si riposi”.

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Eccezionale esempio d’arte incisoria, il rovescio con legenda VT ATLAS QVIESCAT

Questa frase è molto importante al fine di individuare senza ombra di dubbio la figura mitologica rappresentata: non può trattarsi che di Ercole, il mitico eroe dalla doppia natura umana e divina che dovette affrontare le dodici fatiche impostegli da Euristeo, re di Tirinto, per espiare orrendi delitti che aveva compiuto in preda ad attacchi d’ira.

L’undicesima fatica affrontata dall’eroe greco lo vide impegnato in un viaggio ricco di incontri e di pericoli, alla ricerca del giardino delle Esperidi dove avrebbe dovuto cogliere le mele d’oro che vi erano custodite gelosamente. Durante il viaggio incontrò Atlante, a sua volta condannato a sorreggere il mondo da Zeus a causa di uno sgarbo, e si offrì di sostituirsi a lui temporaneamente affinché lo aiutasse a conquistare i preziosi pomi.

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Magnifica, la medaglia di Giampaolo Poggini del 1557 per Filippo II d’Asburgo

La moneta rappresenta il mitico eroe coperto dalla pelle di leone, ricordo della prima fatica e da sempre attributo di Ercole, che sorregge il mondo; non può essere confuso con Atlante, come sostengono alcuni perché, la legenda lo precisa, questo si deve riposare. E probabilmente la vicenda dei mitici eroi greci viene qui ripresa per alludere al fatto che Filippo II si sta facendo carico del ducato di Milano per alleggerire il padre Carlo V di un grosso fardello.

In realtà risulta che Carlo abbia deciso fin dal 1546 di affidare la guida di Milano al figlio Filippo, ma la decisione rimase segreta fino al 1550, e non abbiamo documenti ufficiali fino al 1554, anno delle nozze di Filippo con Maria Tudor d’Inghilterra, quando venne ufficializzato il passaggio del Ducato di Milano e del Regno di Napoli da Carlo V, ormai malato e stanco, al figlio.

Conosciamo una medaglia di soggetto simile ad opera dell’incisore Giampaolo Poggini, artista già attivo alla corte dei Medici e poi assunto da Filippo II per le emissioni dei Paesi Bassi. Sappiamo che Poggini si trasferì a Bruxelles dal 1557 al 1559, per poi fissare in Spagna la sua residenza, e qui morì nel 1582.

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I 40 soldi per Milano del 1589 con raffigurazione di Atlante che sorregge il globo

Non abbiamo notizie di una sua presenza a Milano, ma la qualità della moneta e la somiglianza con la medaglia ci possono far azzardare che il Poggini fu autore anche dei coni per lo scudo d’argento. E su questa ipotesi possiamo formulare anche una data di emissione: poiché la medaglia è del 1557, dal momento che, come ricordato, non si conoscono scudi in argento prima del 1556, è verosimile attribuire a questi anni l’emissione della nostra moneta, il che renderebbe anche coerente il messaggio del rovescio.

Alla monetazione di Filippo II per Milano, ricchissima e interessante, appartiene anche un denaro da soldi 40, datato 1589, che porta al rovescio una raffigurazione di Atlante; non riscontriamo però in questo esemplare la potenza espressa dal robusto Ercole, i piedi fluttuano senza trovare presa ed equilibrio, l’anatomia è fragile ed è molto difficile pensare che si verificherà ciò che recita la legenda: ONERI NON SVCCVMBET, cioè “Non soccomberà al peso, al fardello”.

Tanti saranno infatti i “pesi” che Filippo II si troverà ad affrontare in quegli anni finché, stanco e molto malato, si ritirerà all’Escorial nel 1598 per morirvi di lì a poco.