Alla scoperta delle medaglie e degli emblemi di un personaggio intrigante, Andrea Carafa, legato alla storia del Meridione nel primo Cinquecento

 

di Maurizio C. A. Gorra | Immaginate di vivere in una città che, indipendente da secoli, viene infeudata di punto in bianco dal re a un signore “forestiero”: come minimo, vi ribellereste. Ciò è esattamente quel che gli abitanti di Santa Severina (Crotone) fecero, per almeno due volte, a inizio Cinquecento. Il re era Federico d’Aragona; il signore, Andrea Carafa.

Fin da epoca normanna Santa Severina godette per molti periodi dell’autonomia tipica di una città demaniale, confermata da Ferdinando I con decreto del 26 febbraio1466: ma il 14 ottobre seguente, il figlio (appena eletto) la infeudò al suo generale, nonché futuro luogotenente del Regno.

La "nave di pietra" di Santa Severina (Crotone) è dominata dal maestoso castello
La “nave di pietra” di Santa Severina (Crotone) è dominata dal maestoso castello

La “nave di pietra”, così definita per la posizione maestosa su un tamburo di roccia, fu giustamente riottosa; ma il conte di ferro, ancor più determinato, si impose con la forza.

Andrea Carafa, conte di Santa Severina, in un'antica incisione
Andrea Carafa, conte di Santa Severina, in un’antica incisione

Il castello di Santa Severina, grandiosa tolda della bella nave, come molti siti dell’ex Magna Grecia fu dapprima un kastron bizantino: i Normanni lo ristrutturarono, gli Angiò lo munirono del mastio, e i Carafa (con il cui nome è oggi conosciuto) gli diedero impronta rinascimentale.

A loro succedettero gli Sculco e i Grutther: questi ultimi, ricchi commercianti nordeuropei, acquistarono il feudo nel XVII secolo facendoselo erigere a Ducato, e dando al maniero l’aspetto di una moderna dimora nobiliare.

Oggi il castello splende di un recente restauro, curato dalle Soprintendenze regionali e basato su accurate indagini tecnico-scientifiche.

Dopo aver assediato Santa Severina per prenderne possesso, Andrea Carafa improntò a sé la vita della città facendo del castello il simbolo della propria dominante presenza.

Napoli, Chiesa di san Domenico Maggiore, cappella Carafa di Santa Severina: lapide pavimentale in marmo, analoga a quelle visibili all'esterno del castello di Santa Severina
Napoli, Chiesa di san Domenico Maggiore, cappella Carafa di Santa Severina: lapide pavimentale in marmo, analoga a quelle visibili all’esterno del castello di Santa Severina

Fra le altre sistemazioni, mise in evidenza sui bastioni alcune stupende lapidi in marmo con i propri emblemi araldici: una di esse, nel XVII secolo, fu spostata sull’ingresso aperto verso il Campo (la piazza della città) dagli Sculco i quali oltretutto, pur lasciandola quasi intatta, fecero scalpellare lo stemma carafesco per metterci il proprio.

Il Carafa aveva voluto un’altra lastra simile a Napoli, nel pavimento della cappella sepolcrale eretta nel 1508 in San Domenico Maggiore.

Erano gli anni rampanti della sua carriera (morì settantenne nel 1526, col prestigioso rango di vicerè) durante i quali, appassionato di medaglie, se ne fece coniare alcune; e su un bronzo del diametro di circa 67 mm mise gli stessi emblemi fatti scolpire sui marmi.

Al D/ è il suo busto di profilo, visto dal lato destro, con elmo che copre testa e nuca, e un piccolo cimiero di piume frontali simili ai rami (di sorbo?) dei cimieri nelle lapidi. Lungo il bordo: ANDREAS CARRAFA SANTE SEVERINE COMES.

Medaglia in bronzo di ignoto artista napoletano (forse dell’inizio del ‘500) dedicata ad Andrea Carafa con al rovescio il suo stemma, l'impresa e i simboli della stadera e del matrinetto
Medaglia in bronzo di ignoto artista napoletano (forse dell’inizio del ‘500) dedicata ad Andrea Carafa con al rovescio il suo stemma, l’impresa e i simboli della stadera e del matrinetto

Al R/ uno scudo a testa di cavallo, appeso con un nastro a un anello. Blasone: “di (rosso), a tre fasce di (argento)”. Sulla destra dello scudo, vi è una stadera con gancio, marco e catena; sulla sinistra, un martinetto a vite accollato a un nastro svolazzante. Lungo il bordo: CONTERET CONTRARIA VIRTVS (traducibile in “la virtù [o la forza, Nda] vincerà gli ostacoli”).

Stemma, stadera e martinetto: i tre emblemi che Andrea Carafa abbinava a sé, e mostrava come proprie icone. Questa medaglia aveva per lui un forte significato, visto che ne fece porre trecento esemplari nelle fondamenta del palazzo edificato sulla collina di Pizzofalcone a Napoli, e tuttora noto come palazzo Carafa di Santa Severina.

Santa Severina (Crotone), stemma su pietra dei Carafa “della Spina” posto sulla facciata della Chiesa di san Francesco
Santa Severina (Crotone), stemma su pietra dei Carafa “della Spina” posto sulla facciata della Chiesa di san Francesco

Lo stemma è quello “di base” della famiglia, la semplice bicromia che Andrea usò senza il segno araldico dei Carafa “della Spina” cui apparteneva: la “spina posta in banda.

L’altro ramo dei Carafa era detto “della Stadera” da quando un Giovanni Tomaso scelse tale strumento come impresa e come insegna militare.

Non si sa perchè Andrea Carafa della Spina abbia voluto usare il simbolo della stadera assieme allo stemma privo della spina.

A parer nostro, ciò dipende da più motivi: i due erano accomunati dal mestiere delle armi; la stadera è figura chiara ed elegante; ma soprattutto egli forse la riteneva “patrimonio comune” di tutta la famiglia.

È plausibile che la distanza fra i due rami fosse minore di quanto oggi sembri. Vi furono frequenti matrimoni fra esponenti “della Spina” e “della Stadera”: per limitarci ai conti di Santa Severina, il 2° fu Galeotto Carafa, nipote ex fratre di Andrea, e sposo di Giovanna Carafa di Sessola (ramo della Stadera); il 3° fu il suo primogenito Andrea Felice, che nel 1538 sposa Geronima Carafa di Nocera (della Stadera); il 4° fu il loro figlio Vespasiano, che sposa Geronima Carafa di Anzi (della Stadera).

Poi, Andrea fu assai sensibile al “senso di unitarietà” della famiglia, come conferma l’Aldimari (Historia genealogica della Famiglia Carafa, Napoli 1691, p. 172): “il nostro Conte Andrea volle nell’arme far’ alcune volte l’impresa della Stadera, come si è detto di sopra, sempre dicendo, quella della Spina, e della Stadera, essere un’istessa Famiglia.” Quindi, per lui, le differenziazioni onomastiche legate ai feudi, ai rami e ai soprannomi probabilmente non avevano valore di separazione formale.

Medaglia in bronzo (1524) di Girolamo Santacroce (1502-1537) commissionata da Andrea Carafa come vicerè di Napoli: Al D/ ADREAS CARAFA - SEVERINAE COMES, busto elmato e corazzato, al R/ la Prudenza seduta con in mano scpecchio a due facce e legenda NIL ABEST
Medaglia in bronzo (1524) di Girolamo Santacroce (1502-1537) commissionata da Andrea Carafa come vicerè di Napoli: Al D/ ADREAS CARAFA – SEVERINAE COMES, busto elmato e corazzato, al R/ la Prudenza seduta con in mano scpecchio a due facce e legenda NIL ABEST

Va sottolineato che le due imprese di Andrea Carafa sono macchinari “base” della meccanica, e non è escluso che quest’affinità lo abbia guidato nello scegliere la propria impresa da abbinare alla stadera. Il martinetto a vite è strumento che con piccolo sforzo smuove grandi pesi; e il motto CONTERET CONTRARIA VIRTUS sottolinea beffardo la virtus (latinamente “forza”) che Andrea esercitò per conteret le contrarietà santaseverinesi.

Nonostante la fama del Carafa, i testi rinascimentali trascurano quest’impresa e molti ci vedono un giogo, un bastone o altro. Fa eccezione il detto Aldimari (p. 171): “sapendo egli, che così i Carafeschi detti della Spina, come gli altri della Stadera, cognominati, da un solo Autore dependevano, levò dall’armi sue la Spina, e quella schietta, e semplice, come gli altri Carafeschi costumano, portò, anzi alcune volte, anco la Stadera vi pose, come nella Medaglia sopra impressa, si vede. Frà le molte imprese, che costumò portare […] (vi è, Nda) quello instrumento, con che si tirano in alto i pesi.”