Rilanciamo l’appello pubblicato da Le Figaro sulla difesa dello studio dell’Antichità: dimenticare Atene e Roma quali effetti avrebbe sul nostro futuro?

 

di Roberto Ganganelli | È stato pubblicato sulle colonne del quotidiano francese Le Figaro il 22 marzo 2021 (leggi qui) e rilanciato in Italia, fra gli altri, da Il Foglio Quotidiano il 5 aprile, con traduzione a cura di Mauro Zanon (leggi qui), un appello firmato da 45 professori universitari francesi, belgi e italiani (latinisti, ellenisti, storici e filosofi) esponenti di atenei di primo livello e di lunghissima tradizione.

Già il titolo dice tutto, Cancellare l’antichità dalla nostra cultura significa rinnegare l’umanesimo. Ma vale la pena leggere il testo per renderci conto di quanto un simile manifesto tocchi anche coloro che, per studio o passione, per carriera accademica o per sensibilità culturale, si occupano di numismatica, primaria fra le discipline ausiliarie della storia e dell’archeologia e che, proprio nell’Antichità, affonda dunque le sue radici.

Può lo studio dell’Antichità essere “pericoloso”?

Lo studio dell’Antichità è nocivo. E’ quanto affermano oggi alcuni professori di storia antica, di latino e di greco in varie università americane. Un movimento partito da Stanford mette in discussione l’esistenza di queste discipline (gli ‘studi classici’) nei campus universitari, sostenendo che imporrebbero nell’istruzione un ‘suprematismo bianco di ispirazione neocoloniale’ (come ha scritto Raphaël Doan sul Figaro Vox lo scorso 11 marzo).

A tutto ciò, in Francia, si è aggiunto un dibattito sull’abbandono da parte dei musei nazionali dei numeri romani in alcuni cartelli espositivi, perché il pubblico non saprebbe più leggerli. Invece di imparare i numeri romani, cancelliamoli!

Gli autori greci e latini, schiavisti e ostili ai barbari, erano dunque razzisti, conservatori, guerrieri, imperialisti e misogini? Non è totalmente falso, ma sono lungi dall’essere gli unici nella storia, e ciò non giustifica assolutamente la loro cancellazione senza uno sforzo di contestualizzazione e di analisi delle loro posizioni nel quadro della epoca in cui vissero, e non nel nostro.

Conoscere per contestualizzare

In Omero, Achille è un sanguinario, ma il poeta gli mette in bocca una riflessione toccante sul senso della vita. Anche Ettore trucida allegramente i suoi nemici, ma sembra più umano perché è una vittima. Se l’imperatore Augusto è un autocrate, Cicerone è morto per avergli rimproverato, quando ancora si chiamava soltanto Ottaviano, la sua complicità con Antonio. Sant’Agostino non ha messo sotto accusa la schiavitù, ma ha contribuito alla nostra concezione di umanesimo moderno, e lo ha fatto in un’epoca in cui la ricchissima cristiana Melania la giovane affrancava in massa i suoi schiavi”.

Dovremmo dunque considerare, ad esempio, anche le monete che ricordano le conquiste romane della Giudea o della Dacia solo dei simboli di prevaricazione e il ricordo di stragi, sopraffazioni e assolutismi sanguinari, quasi delle “scorie tossiche” da seppellire di nuovo dopo aver tanto lottato per studiarle, svelarne i messaggi, collocarle correttamente nel mosaico dell’Antichità? O magari dovremmo mettere all’indice le coniazioni che ci mostrano le fatiche d’Ercole perché il “brutale” eroe mitologico, con rara violenza, sopprima l’Idra di Lerna, se la prende con il leone di Nemea o “maltratta”, per catturarla, la cerva di Cerinea?

Amnesia del passato e negazione del futuro

Cancellare Atene e Roma dalla storia degli uomini – prosegue l’appello -, significa ostracizzare la Ragione (il logos greco) e mettere al bando la Legge (i codici giuridici romani). Significa uccidere Platone e calpestare la nozione di equità, inventata da Roma. Per ora teniamo da parte la questione della fede (Gerusalemme), se è possibile farlo, cosa di cui dubitiamo.

Ciò che ci sembra più importante è che la martellatura dell’Antichità, cancellata dalle memorie come l’effigie dei proscritti a Roma, sia un tragico embargo sulla memoria e un rifiuto della speranza, una negazione pura e semplice del futuro. L’adoperarsi con ogni mezzo per organizzare l’amnesia del passato elimina qualsiasi speranza per il domani.

Virgilio racconta nell’Eneide il modo in cui Enea è fuggito da Troia in fiamme, portando il suo anziano padre sulle spalle. Disegnando questa immagine in alcuni versi magnifici, il poeta non parla solo di Enea, di Anchise, di Troia e di Roma, ma anche di noi, oggi. Ecco il verso più bello nel racconto dello stesso Enea, che riporta le condizioni della sua fuga: “Cessi, et sublato montes genitore petivi” (“Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti”, II, 804). C’è tutto in queste parole: il passato e la sconfitta (Troia abbandonata), il peso della tradizione (il genitore che la pietas filiale impone di salvare), il futuro che si intravede in lontananza, così difficile da descrivere (i monti all’orizzonte).

André Gide, commentando questo verso straordinario, che chiude lo splendido Canto II dell’Eneide, notava laconicamente, ma con giustezza: ‘Spettacolo dell’umanità’. Gli iconoclasti contemporanei dell’Antichità rifiutano di assistere allo spettacolo della nostra imperfetta umanità, sia per odio di sé, sia per volontà mortifera di autodistruzione o di convenienza politica, sia per paura. Si allontanano da loro stessi, si tradiscono e tradiscono l’umanesimo che – non ne sono nemmeno consapevoli – trascende la loro piccola persona così come l’umanità trascende il destino di Enea.

Non lasciamoci andare al decadentismo ad ogni costo, mille ragioni ci trattengono dal farlo. Ma come si può non pensare a Cioran quando scriveva che una ‘civiltà marcescente scende a patti con il suo male?’. Una società malata, aggiungeva, ‘ama il virus che la consuma, non si rispetta più’. Essa non osa più affrontare la sua immagine autentica nello specchio della letteratura, bensì indietreggia dinanzi all’oscurità della sua anima come la storia la rivela.

Dovrebbe invece farne il suo studio preferito, per capire meglio sé stessa ed esorcizzare i suoi peggiori demoni […] Per lo storico, cancellare il passato equivale a un’epurazione; non serve a nulla cancellarlo, e conoscerlo meglio è un’ardente pratica di consapevolezza”.

La provocazione americana, la risposta europea

Che il movimento per l’ostracizzazione dell’Antichità sia partito dalla California, da Stanford, non stupisce in fondo più di tanto. In un paese dalla storia “giovane” come sono gli Stati Uniti, infatti, e nel quale si mescolano echi di puritanesimo antichi e ondate di propaganda all’insegna del più becero politically correct, prima o poi anche gli antichi imperatori e tiranni (nell’originario senso greco del termine), Roma e Atene dovevano finire sotto l’occhio miope del censore.

Peccato che in questo caso la “vibrante protesta” non sia venuta da una congregazione di mormoni dell’America profonda o da un contesto tradizionalmente rigido o arretrato, ma abbia avuto origine in uno degli atenei più rinomati del Nord America; per fortuna che dalle università della “vecchia Europa”, erede per tanta parte di quella Grecia e di quella Roma che si vorrebbero cancellare, si è levata una risposta.

Un’altra risposta possiamo darla noi numismatici, nel piccolo, proseguendo i nostri studi e la divulgazione, diffondendo grazie alle monete dell’Antichità il racconto del mondo che è stato, anche nelle sue contraddizioni e nell’evidenza degli errori e degli orrori. Notando che, sì, sebbene non perfetti, anche grazie a quelle memorie siamo un po’ diversi e migliori e che, se lo vorremo, potremo crescere ancora.