Dalle corone austro ungariche timbrate alle “lire Diaz”, dai francobolli usati come moneta alle decorazioni dannunziane legate all’impresa di Fiume

 

Gabriele D'Annunzio (1863-1938), ideatore dell'impresa di Fiume del 1919-1920
Gabriele D’Annunzio (1863-1938), ideatore dell’impresa di Fiume del 1919-1920

di Roberto Ganganelli | “Ardisco, non ordisco!” tuonava il poeta Gabriele D’Annunzio all’indirizzo del presidente americano Woodrow Wilson quando questi insisteva nel negare all’Italia la città di Fiume, contesa dopo la fine del Primo conflitto mondiale con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

Multietnica per natura, già Municipio autonomo sotto l’Impero austro ungarico, Fiume contava infatti all’epoca circa cinquantamila abitanti, di cui quasi la metà italofoni ed era nelle mire di quanti volevano un’espansione italiana lungo la costa orientale dell’Adriatico.

Ciò che il Vate organizzò e mise in atto fa il 12 settembre del 1919 – giorno della Marcia di Ronchi – e il 31 dicembre 1920 – la fine della Reggenza italiana del Carnaro – è ben noto da documenti e libri di storia: dall’ingresso dei legionari in città alla nascita del Comitato di comando con a capo Giovanni Giuriati, dalla proclamazione della Reggenza, di fatto uno minuscolo stato autonomo, al Trattato di Rapallo e al “Natale di sangue”.

19 settembre 1919 – 31 dicembre 1920: la parentesi di Fiume 

Tra quelle due date Fiume visse una parentesi di esaltazione patriottica che sfociò in manifestazioni di piazza, tensioni fra il poeta e il governo italiano e, addirittura, in un progetto di golpe per rovesciare l’esecutivo presieduto da Giovanni Giolitti. E, al tempo stesso, coloro che si erano impadroniti della città si trovarono nella necessità di costruire – anche se risultato fu più scenografico che sostanziale, insomma nello stile di D’Annunzio – un simulacro di amministrazione pubblica, di burocrazia e di sistema finanziario.

Una bella cartolina di propaganda dannunziana su cui il Vate guarda, assieme a Dante e alla personificazione dell'Italia, al Carnaro irredento
Una bella cartolina di propaganda dannunziana su cui il Vate guarda, assieme a Dante e alla personificazione dell’Italia, al Carnaro irredento

La città simbolo dell’irredentismo italiano e della “vittoria mutilata” nella Grande guerra non ebbe mai proprie monete metalliche (non ci sarebbe stato modo, del resto, di mettere in piedi e far funzionare una “zecca”), ma qualche controllo e qualche segno del mutato status andavano necessariamente apposti, a quella massa di denaro emesso dall’Austria-Ungheria ormai sconfitta e che circolava copiosa sul territorio.

Fu così che nacquero quelle che i numismatici conoscono come le “corone di Fiume”, banconote emesse sotto Francesco Giuseppe su cui furono apposti timbri speciali.

Corone austro ungariche timbrate per il corso legale nella città

In una prima, breve fase si usarono bolli generici, con lo stemma sabaudo e senza iscrizioni, ripescati fra quelli in dotazione ai reparti militari. Nacquero così delle rarità, sogno di tanti collezionisti, perché fra queste banconote ve ne sono numerose con timbri non originali, realizzati all’epoca per poter far circolare e spendere una massa di denaro ben oltre quella che l’autorità fiumana poteva garantire.

Banconota austro ungarica da 100 corone con timbro recante lo stemma sabaudo: gli studiosi italiani di cartamoneta sono discordi nell'attribuzione di queste timbrature a Fiume
Banconota austro ungarica da 100 corone con timbro recante lo stemma sabaudo: gli studiosi italiani di cartamoneta sono discordi nell’attribuzione di queste timbrature a Fiume

Poi fu la volta di un timbro rotondo con il nome della città; infine, dal 3 novembre 1919, arrivò il timbro rettangolare con la stella a cinque punte e i riferimenti all’istituto di credito creato, nel frattempo, dal Consiglio nazionale fiumano.

I tagli delle banconote di Fiume vanno da una a mille corone coprendo, salvo il valore da venti, tutta la scala dei biglietti emessi dalla Oesterrichisch-Ungarische Bank, caratterizzati da colori vivaci e graziosi ritratti di giovani donne. Fiume, tuttavia, non può più contare sulla sua posizione strategica: il porto è fermo, le industrie inoperose, molti negozi chiusi e la popolazione stremata. E i tassi di cambio impazziscono.

Banconota da una corona dell'ex Impero austro ungarico con timbro circolare recante due ornati e la dicitura CITTA' DI FIUME su tre righe
Banconota da una corona dell’ex Impero austro ungarico con timbro circolare recante due ornati e la dicitura CITTA’ DI FIUME su tre righe

Il 1° dicembre 1919, nel giornale Il Tappo si legge, fra cronaca e amara ironia: “La carta che ha libera circolazione in Fiume è la carta col nuovo timbro ‘Città di Fiume’ fatto sulle banconote che avevano il vecchio timbro circolare con la stessa dicitura. […]

Per il cambio della valuta italiana in corone […] basta leggere il bollettino di cambio che è per esempio 7,50. Il cambiavalute darà il 7,10, il caffè 6,50, il cappellaio 6, il cartolaio 5, il pizzicagnolo 4 e via dicendo. Ciò è fatto con il nobile intento di far sì che i ragazzini fiumani nel sentire queste cifre imparino la matematica senza andare a scuola”.

La terza versione del bollo fiumano apposto su banconote nel periodo dell'impresa sfortunata condotta dal Vate e dai suoi legionari
La terza versione del bollo fiumano apposto su banconote nel periodo dell’impresa sfortunata condotta dal Vate e dai suoi legionari

Una babele di banconote per un’economia in ginocchio

Alle corone timbrate si affianca una babele di banconote di area jugoslava impossibile da gestire; come soluzione a questo caos monetario ci sarebbero solo il divieto o il ritiro di questi biglietti, entrambe soluzioni impossibili da attuare. Le casse pubbliche non sono in grado di sopportare il prezzo del ritiro delle valute non ufficiali, neppure ipotizzando di stampare nuova cartamoneta: si innescherebbe un’inflazione incontrollabile, dato che la moneta fiumana è sostenuta da riserve in oro e argento molto limitate.

Qualche miglioramento nel caos monetario si verificò man mano che centinaia di legionari e volontari, affluendo in città, modificarono la massa di denaro circolante introducendo sempre più lire italiane. Nel contempo la diffidenza, se non il rifiuto, verso le valute di area jugoslava crebbe di pari passo, anche a causa dell’inflazione sempre più elevata.

Biglietto di Stato da 10 lire con effigie di Umberto I appartenente alla serie delle cosiddette "lire Diaz" immesse in circolazione a fine guerra nelle ex terre irredente
Biglietto di Stato da 10 lire con effigie di Umberto I appartenente alla serie delle cosiddette “lire Diaz” immesse in circolazione a fine guerra nelle ex terre irredente

Tra le banconote italiane in corso a Fiume vi furono i biglietti da una, due, cinque e dieci lire con speciali numeri di serie destinati al cambio delle corone nelle regioni sottratte a Vienna. Chiamate “banconote Diaz”, furono stampate per eliminare dalle nuove regioni italiane la valuta del periodo austro-ungarico regolando la massa monetaria e lasciando in mano, a quanti non avessero proceduto al cambio entro il 30 giugno 1920, solo carta straccia.

Tra buoni a uso locale e francobolli usati come spiccioli

Per restare in tema di “carta”, per quanto riguarda gli spiccioli, si conoscono anche dei buoni di cassa locali, che ebbero corso per un certo periodo, e che il 29 settembre 1920 venne emesso un decreto nel quale si legge che a Fiume “[…] si permette l’uso unicamente di francobolli della Reggenza Italiana del Carnaro e del Regno d’Italia, in luogo di spezzati”.

Due rari esemplari di buoni di cassa dei Servizi pubblici della città di Fiume emessi nel periodo della Reggenza del Carnaro
Due rari esemplari di buoni di cassa dei Servizi pubblici della città di Fiume emessi nel periodo della Reggenza del Carnaro

Come in altri momenti della storia, dunque, perfino i francobolli si trasformarono in denaro e parte dei valori postali venne sigillata in dischetti – di alluminio da un lato e di materiale trasparente dall’altro – da parte di commercianti e ditte private.

Sotto ogni punto di vista, dunque, la Reggenza italiana del Carnaro, entità romanticamente guerresca e drammaticamente fragile, visse la sua parabola fra esaltazione ed emergenza, entusiasmi e difficoltà. Così, per tenere alto il morale dei suoi uomini, D’Annunzio si inventò anche un sistema di onorificenze.

La “Stella di Fiume” e la dannunziana medaglia per i legionari

Tra queste spicca la “Stella di Fiume”, in sottile lamina d’oro o argento dorato; fabbricate da alcuni orefici locali, queste insegne di merito portano al cento l’aquila dello stemma cittadino e uno stemma coronato e smaltato con la croce di Savoia. Come dire: ogni eroica azione compiuta a Fiume è compiuta in vista di un’unione con l’Italia.

Prodotta da alcuni abili orefici, la "Stella di Fiume" rappresenta un rarissimo distintivo di merito creato e concesso "motu proprio" da Gabriele D'Annunzio
Prodotta da alcuni abili orefici, la “Stella di Fiume” rappresenta un rarissimo distintivo di merito creato e concesso “motu proprio” da Gabriele D’Annunzio

La più famosa medaglia legata all’impresa del 1919-1920 resta tuttavia la commemorativa della Marcia di Ronchi. Coniata dalla ditta Johnson di Milano e modellata da Adolfo de Carolis su indicazioni di D’Annunzio, venne realizzata all’inizio in appena duecento esemplari per i legionari che entrarono a Fiume insieme al poeta soldato, ed è rarissima.

La medaglia di Fiume, inizialmente prodotta in soli 200 esemplari, venne in seguito omaggiata dal Vate ad amici, sostenitori e finanziatori fino alla sua morte, avvenuta nel 1938
La medaglia di Fiume, inizialmente prodotta in soli 200 esemplari, venne in seguito omaggiata dal Vate ad amici, sostenitori e finanziatori fino alla sua morte, avvenuta nel 1938

In seguito, fino alla Seconda guerra mondiale, la medaglia fu riconiata e consegnata a personaggi che, in qualche modo, avevano appoggiato la spedizione compresi finanziatori, nobildonne e gerarchi del regime di Mussolini che, nel frattempo, aveva “sdoganato” l’impresa tra le memorie gloriose degli albori del fascismo. Si stima che, in totale, furono oltre undicimila le medaglie di questo tipo conferite, ma solo una parte venne accompagnata da un diploma di riconoscenza autografato dal poeta.

HIC MANEBIMVS OPTIME, si legge ai lati dell’insegna legionaria romana sul dritto della “Stella di Fiume”, legenda circondata da una selva di pugnali branditi da mani sollevate al cielo. “Qui staremo benissimo”, sono le parole che Tito Livio attribuisce a un centurione il quale, durante il sacco di Roma all’inizio del IV secolo a.C., le avrebbe pronunciate per esortare i compagni a non abbandonare la città influendo, così, anche sulla determinazione del Senato di resistere agli assalitori.

Tre francobolli delle Poste di Fiume utilizzati come spiccioli, nel periodo della Reggenza del Carnaro, a causa della carenza di moneta metallica
Tre francobolli delle Poste di Fiume utilizzati come spiccioli, nel periodo della Reggenza del Carnaro, a causa della carenza di moneta metallica

In un funambolico parallelo, a Fiume, palcoscenico esemplare di una vita non certo ordinaria, D’Annunzio adottò lo stesso motto quando il 12 settembre 1920, nell’anniversario dell’ingresso in città, fece emettere una serie di ben quattordici francobolli, con valori da cinque centesimi a dieci lire, sui quali l’incisore triestino Guido Marussig ritrasse – staccato dal busto in modo piuttosto funereo, a dire il vero – un profilo “statuario” del Vate, fragile epigone di un piccolo regno che si sarebbe sgretolato di lì a poco.

Medaglia ricordo dell'impresa di D'Annunzio con al dritto il busto del Vate e al rovescio la "Stella di Fiume"; fu realizzata probabilmente negli anni Venti
Medaglia ricordo dell’impresa di D’Annunzio con al dritto il busto del Vate e al rovescio la “Stella di Fiume”; fu realizzata probabilmente negli anni Venti

L’impresa, in ogni caso, non sarebbe rimasta senza memoria o senza eco, come dimostrano anche altre medaglie ricordo coniate in Italia, prima fra tutte una bella produzione Johnson – non firmata – con al dritto un mezzobusto di tre quarti del Vate in uniforme, circondato dai motti FIVME E VITA ed EJA EJE EJA ALALÀ e, sul rovescio, quella “Stella di Fiume” ideata da D’Annunzio col motto FIVME O MORTE e la data fatidica del 19 SETTEMBRE 1919.