Alla scoperta di una serie di dettagli inediti sulla vita quotidiana, gli antenati, la casa e alcuni oggetti appartenuti al grande numismatico Magnaguti

 

di Damiano Cappellari | La biografia del conte Alessandro Magnaguti (Cerlongo di Goito, Mantova, 21 settembre 1887 – Sermide, Mantova, 13 agosto 1966) si arricchisce, mano a mano che trascorrono i giorni, di particolari e dettagli tanto interessanti quanto inaspettati per la verità anche per i più ottimisti dei biografi.

magnaguti

L’ormai celebre “ritratto ritrovato” del conte Magnaguti e un volume di Ex nummis historia

Solamente due anni fa usciva il mio libro dal titolo Alla scoperta del Conte Alessandro Magnaguti. L’ultimo Cavaliere dei Gonzaga, Il Rio Editore (Mantova), e in seconda edizione già l’anno dopo, che sin da subito iniziarono a giungere, con benvenuta periodicità, novità sulla vita, sugli studi, sui documenti di questo grandissimo numismatico, saggista, storico e poeta che non si può ben definire orgoglio di Mantova.

Questa volta siamo riusciti ad intercettare alcune foto – su Facebook, sì proprio su uno dei tanti vituperati social – del suo studio e degli interni del suo palazzo principesco sito in via Giulio Romano a Mantova, così possiamo infilarci per davvero, cioè voglio dire non solo con le parole ma anche con le immagini originali dell’epoca, nel suo quartier generale.

Vi proponiamo quindi qualche scatto degli anni Trenta del Novecento – immagini provenienti dall’Archivio della Sopraintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per le provincie di Brescia, Cremona e Mantova di Brescia – per condurvi ad una ulteriore scoperta che tira in ballo niente meno che l’Imperatore Carlo V.

Studio del Conte Magnaguti, lato sud del palazzo di via Giulio Romano (sullo sfondo l’affresco di Arturo Raffaldini Concerto alla corte di Francesco II Gonzaga e Isabella d’Este)

Come potete vedere, questo è il tavolo dove il conte leggeva, studiava e scriveva e sul cui piano appoggiava, consultava con ammirazione e parlava alle sue splendide amiche: le monete. A destra si intravede una testa di Adriano, che è stata poi rintracciata in una collezione privata, ma è a sinistra che ci interessa di più guardare: si tratta del medagliere Ex nummis historia dove il conte custodiva le sue inestimabili monete.

Del prezioso medagliere non conoscevamo la dislocazione nello studio del Magnaguti, perché oggi, in questa meravigliosa fucina di idee, si trovano solo il tavolo e altri due armadi che un tempo contenevano preziosissime cinquecentine, uno dei quali riporta la scritta in oro EX LIBRIS PAX, l’altro, in greco, LA CLINICA DELL’ANIMA. Quindi ora siamo riusciti ad aggiungere un altro tassello alla vita di Alessandro!

magnagutiStudio del Conte Alessandro MAgnaguti, lato nord del Palazzo di via Giulio Romano: l’immagine risale agli anni Trenta del Novecento

Orase provate ad osservare con attenzione, sulla parete di destra nella foto dello studio lato nord, noterete una pergamena incorniciata. Ingrandendo l’immagine si può intuire il titolo CAROLVS QVINTVS. Tuttavia, nulla si legge di più.

Ovvio, però, che questo “quadro” doveva avere un valore particolarissimo per il Conte Magnaguti dato che era l’unico appeso nel suo studio, le cui pareti sono decorate con monogrammi in oro riportanti le sue iniziali e quelle della moglie, la contessa Marie degli Albertini di Garda (Vr) con i relativi stemmi.

Ma di che pergamena si trattava? Per quale ragione le veniva concesso l’onore di dimorare nel refugium del Conte, a lato dei cartigli che riportavano le parole del Macchiavelli? E soprattutto: è possibile rintracciarla per leggerla visto che nello studio non si trova più? Sì, siamo riusciti a recuperarla! Eccola! Con tanto di firma autografa dell’imperatore Carlo V.

L’inedita pergamena di Carlo V, un tempo custodita gelosamente dal conte Magnaguti nel suo palazzo di via Giulio Romano, a Mantova, e precisamente nel suo studio

Adesso che abbiamo recuperato questo editto, che si trova in collezione privata, bisogna capire cosa c’è scritto. E lo facciamo grazie al professor Beniamino Bettio di Padova, che mi aiuta spesso nelle traduzioni dal latino, ma che ha collaborato con me anche in altre ricerche (dal volume sul conte Ettore Arrigoni degli Oddi al Canzoniere della Valdadige), il quale ha provveduto, a tempo di record, a trascrivere il testo e a tradurlo accuratamente.

La traduzione è chiara, tranne che in alcuni punti, dal momento che la foto non è di eccellente qualità. Tra parentesi tonde, sono evidenziate le “ipotesi” avanzate in fase di traduzione, in parentesi quadre le lacune di leggibilità.


CARLO QUINTO

Col favore della Divina Clemenza Augusto Imperatore dei Romani, e Re di Germania, delle Spagne, delle due Sicilie, di Gerusalemme, di Ungheria, Dalmazia, Croazia, delle isole Baleari, di Sardegna, delle Fortunate […], delle Indie, e della Terra ferma dell’Oceano ecc; Arciduca d’Austria, Duce di Burgundia, Lotrico, Brabante, Limburgia, Lussemburgo, Gheldria, Wiertemberger ecc.; Conte d’Asburgo, Fiandria, Tirolo, Artesia, e di Burgundia Palatino, di Annonia, Olanda, Zelandia, Ferreto, […], Namurco e Zufania; Langravio di Alsazia, Marchese di Burgovia e del sacro Romano Impero Imp.; Principe di Svevia ecc.; Signore di Frisia, Melina, Saline, Tripoli e di Meclinia ecc.

Al valoroso amato fedele nostro e dell’Impero, Tommaso Rondinini faentino, milite ossia cavaliere dallo speron d’oro, la nostra benevolenza cesarea e ogni bene. Poiché molti sono i beni della sorte e dell’animo, con i quali o con qualcuno dei quali gli uomini dotati possono indurre gli animi dei Re e degli Imperatori a renderli più onorati e rispettabili, […] cosa che a pochi è data, sicché molti onori si sommano insieme, esaminando con memore e grato animo la fama della tua stirpe della tua famiglia, con relazioni degne di fede su di te siamo stati edotti sulle doti preclare del tuo animo, sulla probità dei tuoi costumi, e sull’onestà di tutta la vita, sui molti pregi della sorte e dell’ingegno, e su quanto tu sia stato dedito al Sacro Impero e abbia sempre parteggiato per noi, e inoltre sull’obbedienza grata e fedele e su quanto ti sia adoperato fino ad ora in servizi per noi e per lo stesso Impero, tanto in tempo di guerra che di pace, senza alcun risparmio di fatiche e con grande pericolo e dispendio fisico e dei tuoi beni, cose che sicuramente continuerai a fare per noi, ti potrai aspettare quindi da noi una ricompensa tanto più di valore quanto maggiori sono il riconoscimento e il decoro delle tue virtù, per cui PER NOSTRA INIZIATIVA, te anzidetto Tommaso Rondonini, abbiamo fatto e creato Milite e Cavaliere dallo speron d’oro. E per definire tutto ciò, dopo esserci ben accertati e per la nostra autorità imperiale ti facciamo, creiamo, erigiamo, costituiamo Milite e Cavaliere dallo speron d’oro, e ti promoviamo allo stato militare, ti diamo le insegne della fascia militare, l’onore del balteo (?) e dei fasci, e lo stemma dei Militi, cingendoti della spada della fortezza e conferendoti tutti gli ornamenti pertinenti a quest’ordine.

Con questo nostro Cesareo editto stabiliamo che, in ogni luogo, in ogni terra, tu sia considerato vero Milite e Cavaliere dallo speron d’oro, che tu sia onorato e sia ammesso, – lo puoi e lo devi per l’acquisito onore della dignità equestre – al collare, alle spade, agli speroni, alle vesti, alle falere, ossia agli ornamenti d’oro dei cavalli, e a tutti e singoli privilegi, grazie, onori, dignità, preminenze, franchigie, diritti, insegne, immunità, libertà, esenzioni e prerogative, sia reali che personali, oppure miste e stabiliamo che tu possa usare, usufruire, godere di ciascuna attività e ufficio militare di cui godono i Militi e i Cavalieri, creati di mano e parola nostra impugnando la spada e insigniti di tali ornamenti, e questo secondo consuetudine o diritto, senza alcuna contraddizione e impedimento. E questa tua condizione militare si manifesti chiaramente, e i tuoi posteri siano resi partecipi dei nostri favori fatti a te, Tommaso Rondonini, e ai tuoi figli legittimi nati e nascituri, e ai loro eredi e discendenti legittimi di entrambi i sessi all’infinito; le insegne avite delle tue Armi – cioè lo Scudo quadripartito, la cui parte superiore destra e inferiore sinistra sono rosse mentre le altre due sono verdi,una fascia poi di color oro o arancione, convergendo dall’angolo destro superiore al sinistro inferiore, interseca entrambi i campi rossi, e da essa sembrano prendere il volo ad ali spiegate tre rondini, del loro colore naturale, distanti una dall’altra intervalli regolari – quest’Arma, dunque, non solo abbiamo comandato di confermarla e approvarla, ma anche di arricchirla e abbellirla, per cui in base al presente decreto, la confermiamo, la approviamo, l’arricchiamo e l’abbelliamo aggiungendoci nel vertice dello Scudo, su area di colore arancione o oro, un’Aquila nera ad una testa piegata dal lato destro con la lingua rossa sporgente, le ali spiegate, cinta da una corona di colore oro o arancione, e dal petto eminente, e sopra lo Scudo aggiungiamo un elmo da tornei aperto, ossia una grata, con i nastri e le frange del lato destro di colore rosso e verde, e quelle del sinistro color terra o oro o arancione, resa in colore scuro, nel cui cimiero (?) parimenti ci sia un’Aquila dimezzata, con disposizione e colori del tutto simili a quella coronata che sovrasta il vertice dello Scudo, e tutto questo come si può vedere accuratamente dipinto al centro di questo decreto. E vogliamo, e stabiliamo col potere nostro Cesareo che tu suddetto Tommaso, e i tuoi figli, eredi e discendenti, tale Arma e le insegne da noi confermate e arricchite, d’ora in poi, in perpetuo, in ogni luogo e territorio, le usiate e le riportiate in tutti e singoli atti legali e opportuni, e possiate e dobbiate usarli e fruirne pure nelle imprese, all’uso degli Armigeri Militari, sia serie che ludiche, nei tornei, negli svaghi guerreschi, in guerra, nei duelli, nelle lotte individuali, e in ogni battaglia, nei vessilli, tende, anelli, sigilli, contrassegni … belli, monumenti, edifici, clenodi (?), e pure su tutti i vostri strumenti, insomma in ogni cosa e luogo, ad arbitrio della vostra volontà, senza alcuna contraddizione o impedimento. Perciò diamo mandato a tutti e ai singoli principi ecclesiastici e secolari, […] ai duchi, ai marchesi, ai conti, ai baroni, ai nobili, ai militi, ai clienti, ai capitani, ai prefetti, ai podestà, ai procuratori, ai magistrati speciali, ai giudici, ai consoli, ai Comandanti militari, agli araldi, […] e agli altri nostri sudditi e fedeli dell’Impero e dei nostri domini, … (di ogni) stato, ordine o condizione […] che (riconoscano) te suddetto Tommaso Rondinini,per vero Milite e Cavaliere […] nonché la dignità, l’ordine Militare e le prerogative ad esse spettanti […] e permettano […] (tali prerogative) ai (tuoi) figli, eredi, (discendenti), fintantoché avranno a cuore la nostra benevolenza.

Inoltre (se) desiderano evitare la gravissima indignazione nostra e del Sacro Impero […] di oro puro di cui per la mia […] (autorità) imperiale […] tante volte quanto sarà contraddetta (la nostra volontà?), stabiliamo di applicare (tale pena?) in modo irremissibile.

Il suggello di quanto sopra è la sottoscrizione di mano nostra e l’applicazione del nostro sigillo. Data dalla nostra città imperiale di Augusta Vindelicorum (Augsburg) il giorno 16 gennaio, l’anno del Signore1551, del nostro Impero […] e trentacinquesimo dei nostri Regni.

CARLO


magnagutiAutografo e ritratto dell’imperatore Carlo V d’Asburgo

 Si tratta dunquedi un decreto dell’imperatore Carlo V con cui si crea Tommaso Rondinini “milite e cavaliere dello speron d’oro” con conferma dell’arme Rondinini e abbellimento della stessa con aggiunta di un’aquila, scudo ecc.

Ma l’ordine dello sperone d’oro cos’era? La Milizia Aurata veniva conferita come dignità cavalleresca sia dai Romani Pontefici che dagli Imperatori. Quando di nomina imperiale, si parlava anche di Cavaliere Cesareo. Ma perché il Conte Magnaguti aveva questa pergamena e perché la riteneva così importante per sé ? (e non solo come documento storico).

Un bellissimo scorcio interno di Palazzo Magnaguti come si presenta oggi e un particolare della tela alla parete, uno dei tanti capolavori conservati nell’edificio

Come possiamo vedere dal biglietto da visita che proponiamo in anteprima e sconosciuto anche alla mia biografia del Conte di cui più sopra ho detto, Alessandro Magnaguti si fregiava anche del cognome Rondinini. che era quello della nonna paterna Faustina che sposò il conte Lodovico Magnaguti. E’ grazie a lei, ultima erede della famosa famiglia di Faenza, che il conte entrò in possesso dell’editto di Carlo V.

Con Faustina si estinse la famiglia Rondinini, un ramo della quale si stabilì, nel ‘700, da Faenza a Roma. Un marchese Rondinini (chiamato anche Rondanini) acquistò nel 1744 una statua: una Pietà di Michelangelo, ora detta appunto Pietà Rondanini. Quindi il nostro conte riteneva di essere, di fatto, l’ultimo rampollo della grande dinastia riconosciuta dall’imperatore “sui cui domini non tramontava mai il sole”.

Questo biglietto da visita attesta l’orgoglio con cui il Conte Magnaguti si definiva anche “Rondinini” e immagino che con altrettanto orgoglio mirasse le monete di Carlo V entrate nella sua collezione andando con la mente all’editto firmato dall’Imperatore che aveva appeso nella sua fucina del pensiero, a qualche metro di distanza.

E in altra stanza che faccio seguire, il Conte aveva un quadro che rappresentava altro suo antenato: Ercole Rondinini. Il dipinto si trova ora nella Pinacoteca di Faenza. L’autore è Giovanni Battista Bertucci il Giovane (1539-1614).

magnaguti
Inedito biglietto da visita del giovane tenente Alessandro Magnaguti Rondinini e fregio del reparto in cui servì il conte nel periodo della Grande guerra

 

Ma i Rondanini non avevano “solo” la Pietà di Michelangelo, nel loro palazzo di via del Corso a Roma (ora palazzo Rondanini-Sanseverino) custodivano anche la cosiddetta Medusa Rondanini, una statua di marmo raffigurante appunto la testa della Medusa, probabilmente copia tardo-ellenistica o augustea di un originale perduto della scuola di Fidia. Ora l’opera si trova a Monaco di Baviera, essendo stata acquistata da Ludovico di Baviera direttamente dagli eredi del marchese Rondanini.

Questa testa fu molto ammirata da Goethe per il suo “indicibile angoscioso sguardo di morte”. Antonio Canova la utilizzò come modello per la realizzazione del Perseo con la testa di Medusa. Intuite anche voi come il nostro amico, appassionato di monete, d’arte e di storia vagheggiasse volentieri con la fantasia su queste praterie, inseguendo a perdifiato i mille fili che si intrecciavano con i suoi antenati, con il suo sangue, insomma con tutto il suo essere.

Una stanza del palazzo del conte Magnaguti in via Giulio Romano a Mantov: da notare a destra il quadro del conte Ercole Rondinini

Ma non è tutto, abbiamo scoperto che il nostro Conte Magnaguti aveva un “arcizio”, come lo chiama lui nel libretto intitolato Itinerario nostalgico di un mantovano a Roma, che si chiamava Innocenzo XI, al secolo Benedetto Odescalchi di Como.

Quindi quando guardiamo qualche moneta di questo papa possiamo immaginare l’emozione che provava il Magnaguti nel vedere effigiato l’illustre antenato. Ma perché era suo parente? Perché suo padre aveva sposato prima Teresa Pasolini Zanelli poi la sorella di questa, a nome Costanza, che a loro volta erano figlie di Scipione Pasolini Zanelli, del fu Giuseppe Pasolini Zanelli, sposato con Teresa Brivio Sforza (siamo al 25 febbraio 1811), figlia di Cesare e di Apollonia Claudia Erba Odescalchi.

magnagutiRitratto di Ercole Rondinini, Pinacoteca di Faenza, un tempo nello studio del conte; a destra la Medusa Rondinini (scuola di Fidia), già proprietà degli antenati del conte

Questa era, a sua volta, figlia del marchese Luigi Erba Odescalchi e Barbara Marianna Piatti a sua volta figlio di Alessandro Erba Odescalchi e di Apollonia Trotti, che era figlio di Antonio Maria Erba e Teresa Turconi, a sua volta figlio di Alessandro Erba che aveva sposato Lucrezia Odescalchi, sorella del papa. E il gioco è fatto!

Innocenzo XI che fu beatificato nel 1956 (il libretto che ho citato è del 1958), tutto chiaro, no? Eppure questo non era l’unico antenato papa del conte Alessandro Magnaguti, poteva vantare anche una parentela diretta con il Pio VI, al secolo Angelo Onofrio Melchiorre Natale Giovanni Braschi (Cesena, 25 dicembre 1717 – Valence sul Rodano, 1799) ma per il momento quanto detto basta: questo argomento sarà oggetto di un prossimo contributo.

Due belle monete coniate a nome del pontefice Innocenzo XI, al secolo Benedetto Odescalchi, “arcizio” del numismatico Alessandro Magnaguti (Rondinini)