Quali monete erano usate nelle Marche meridionali durante il medioevo? Dai denari ai ravennati, dai grossi agontani ai bisanti fino al fiorino

 

di Cesare Costantini | In questo articolo, inizialmente nato per una rivista di storia locale, ho voluto analizzare il tema della circolazione monetaria nella città di Ascoli Piceno e nel suo territorio nei secoli precedenti l’apertura della zecca cittadina.

Consapevole del fatto, perciò, che la trattazione dell’argomento era così ristretta ad un campo d’interesse geograficamente limitato e volendo allargare il contesto studiato alla Marche meridionali – e cioè ai territori dell’antica Marca Fermana e dello Stato ascolano – ho potuto notare che, comunque, i dati raccolti nell’originaria ricerca non erano molto difformi per le due realtà in quanto queste, trovandosi in un territorio contiguo, da un punto di vista storico vivevano vicende simili e subivano le stesse influenze esterne.

La Marca d’Ancona in una cartina risalente al secolo XVII
La Marca d’Ancona in una cartina risalente al secolo XVII

La base dei documenti di riferimento è quella contenuta nel fondo appartenuto al monastero di Sant’Angelo Magno in Ascoli Piceno. ora conservato presso l’Archivio di Stato cittadino. il quale consta prevalentemente di atti enfiteutici e testamentari riguardanti il predetto monastero ed è un preziosissimo aiuto per comprendere quali fossero le monete realmente in circolazione nei secoli presi in considerazione (non solo per la città di Ascoli, ma anche per tutto il territorio piceno).

Dalla caduta dell’Impero romano alla lira carolingia: una premessa


Ritengo però opportuno fare una piccola premessa, in relazione al periodo considerato, concernente il sistema economico in Italia in quegli anni. Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente e le seguenti invasioni barbariche l’uso della moneta era divenuto molto ristretto; si era passati infatti da un’economia prevalentemente monetaria ad una naturale col ritorno in uso del baratto (che si manterrà fino all’XI secolo) e la moneta aveva una rilevanza minore negli scambi ed era utilizzata solo per le grosse transazioni: non a caso la monetazione longobarda era basata prevalentemente sull’oro.

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Histamenon d’oro del secolo XI emesso dagli imperatori di Costantinopoli. Probabilmente è questa la moneta riportata nei documenti col nome di bisante

Tutto ciò, è bene precisare, non vale chiaramente per l’Oriente dove gli scambi e le contrattazioni erano rimasti strettamente legati all’uso della moneta. In Occidente, invece, un primo tentativo di unificazione e riqualificazione di essa venne attuato da Carlo Magno tra il 771 e il 794, anni nei quali l’imperatore riformò il sistema monetario vigente basandolo esclusivamente sull’argento, introducendo la libbra (o lira) equivalente a 20 soldi e 240 denari (1 soldo = 12 denari) e solo questi ultimi erano moneta effettivamente circolante.

Il denaro d’argento carolingio pesava circa g 1,7 con un titolo intorno ai 950 millesimi di fino ed aveva un potere d’acquisto molto elevato, forse non come quello riferito dal Pirenne nella sua Storia economica e sociale del Medioevo dove dice che con uno di essi si poteva acquistare un intero appezzamento di terreno, ma sicuramente il dato ci fa capire come fosse considervole il valore nominale di quella moneta e, quindi, il suo scarso uso nei piccoli commerci ancora tra i secoli VIII e X.

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Denaro provisino emesso dalla zecca di Roma a nome del Senato Romano a partire dal secolo XII. Prende il nome dai denari di Provenza che ebbero molto successo all’epoca

Degli importanti cambiamenti che influirono sull’uso della moneta negli scambi si verificarono sul finire del X secolo, infatti, la migliore organizzazione delle aree produttive, la riorganizzazione e l’espansione dei centri urbani e il rifiorire delle attività favorirono la domanda di merci e la necessità di reperire mezzi per acquistarle, creando così maggiore richiesta di moneta e di conseguenza anche l’incremento di produzione di circolante.

Naturalmente, un aumento di emissione di moneta comporta anche degli effetti inflativi su di essa generando una inevitabile perdita di peso ed intrinseco associata ad una diminuzione del valore nominale stesso, ma questo perché il denaro in circolazione deve soddisfare un aumentato volume di commerci e quindi deve essere più disponibile.

Denaro emesso dall’officina monetaria di Pavia in diverse fasi fra i secoli XI e XII a nome degli imperatori Enrico II, III e IV di Franconia

Quali monete erano in uso nelle Marche meridionali? Bisanti e non solo


Con queste premesse si ha un’idea di qual era l’uso della moneta in questi secoli in Europa – Ascoli e le Marche meridionali incluse – tant’è che anche nei documenti troviamo spesso menzionati beni di prima necessità al posto del denaro; ma ora vediamo con cosa si pagava nei territori delle Marche meridionali.

Un primo documento riferibile al 1028 parla di “solidos franciscos”, soldi francesi quindi, che probabilmente erano i soldi all’uso carolingio composti da denari imperiali, tanto è vero che in altre città italiane il denaro di Carlo Magno e suoi successori è chiamato “denarius franciscus”, ma è da notare che la moneta in questione è menzionata solo in questo caso.

Nel 1067, poi, si parla dei bisanti i quali altro non sono che i solidi d’oro degli imperatori bizantini (histamenon) molto diffusi in Occidente specialmente in questo secolo, addirittura in un altro documento del 14 dicembre 1104 si parla del peso di una catena d’oro riferito in bisanti: “catena de purissimo auro pensante trigintaunum besantios”.

Denaro della zecca di Lucca cosiddetto “enriciano”, molto diffuso in ampie aree d’Italia. Caratteristico per la H e il nome LUCA della città disposto a croce attorno a un globetto

Ad ogni modo queste sono le sole menzioni di moneta – d’oro in particolare – che si fanno nell’XI secolo, testimoniando il fatto che essa era ancora poco diffusa; il secolo seguente invece è meno avaro di citazioni numismatiche, segno di un’evidente ripresa. Nel 1150 infatti si parla per la prima volta di soldi in denari (cioè di una moneta di conto riferita al suo sottomultiplo effettivamente circolante), ma procediamo per anni; nel 1130 si parla di denari e di bisanti, nel 1150 ancora di bisanti, ancora denari (senza mai specificarne il tipo) nel 1157.

Nel 1189 viene finalmente nominata una moneta a cui si possa fare preciso riferimento: il denaro provisino del Senato Romano emesso per la prima volta a Roma nell’ultimo quarto del XII secolo ad imitazione dei denari coniati a Provins dai conti dello Champagne; di provisini se ne parla ancora nel maggio 1202 e ovviamente nei documenti che partono dalla città eterna, ad esempio in una pergamena di Innocenzo IV del 21 febbraio 1251 si fa una concessione del valore di cento libbre di provisini. Nel 1191 troviamo il denaro di Pavia, “duos denarios Henrici”, (denarius Henrici allora era sinonimo del denaro di Pavia e più tardi anche di quello di Lucca) ed è l’unica volta di cui se ne parla.

Denaro della zecca di Ancona, un'altra tipologia ovviamente molto in uso nelle Marche meridionali in quanto di produzione locale
Denaro della zecca di Ancona, un’altra tipologia ovviamente molto in uso nei canali commerciali delle Marche meridionali in quanto di produzione locale

Nel 1208 compaiono i soldi di Lucca – “solidos Lucenses” – e debbo dire con più fortuna dei pavesi perché almeno i denari lucchesi hanno in città una più larga, seppur breve, diffusione: se ne parla ancora nel 1208, nel 1214, nel 1222 (come denarium Henrici) e nel 1235 insieme ai volterrani. Ne troviamo un po’ ovunque nelle Marche meridionali.

I denari di Pavia e Lucca erano i più antichi, coniati già dal X secolo, ed ebbero una larga diffusione in tutta Italia, ma nelle Marche meridionali ben più credito troveranno le monete emesse da zecche attivate in epoca più tarda rispetto alle suddette. È il caso di Volterra, Ancona e Ravenna.

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Denaro della zecca di Ravenna del periodo delle emissioni anonime arcivescovili. Riprendendo i tipi di questa moneta la zecca di Ascoli conierà il proprio denaro

I denari volterrani, una tipologia di successo a inizio XIII secolo


Le monete di Volterra, in particolare, sono quelle di maggior successo: non c’è anno nel Ducento in cui non se ne faccia menzione e si può affermare – come ritiene anche il Fuiano – che in città fosse moneta realmente circolante (per sapere quale fosse effettivamente il tipo di denaro volterrano circolante ved. A. Finetti, La zecca e le monete di Perugia, p. 43).

La lira di volterrani appare per la prima volta in Ascoli nel 1222 (in maggio, p. 48 dell’elenco delle pergamene) e subentra a quella di denari di Lucca. Il vescovo di Volterra aveva ottenuto il privilegio di zecca da Enrico VI nel 1189 e i suoi denari circolavano già nel 1194 (il Fuiano riporta in nota un documento del Regestum Volterranum del 2 gennaio 1194 che parla di 400 libbre di volterrani), bisogna notare però che queste monete conobbero un successo abbastanza breve, che durò solo per parte del XIII secolo; comunque è importante il fatto che esse furono apprezzate per quasi tutto il Duecento e, in modo particolare, nelle Marche meridionali erano altresì equiparate per bontà di intrinseco a quelle di Ancona e Ravenna.

Denaro di Ascoli degli inizi del secolo XIV a imitazione di quello ravennate allora abbondante quale moneta effettivamente circolante nella città picena. Probabilmente si tratta delle prime emissioni ufficiali questa officina
Denaro di Ascoli degli inizi del secolo XIV a imitazione di quello ravennate allora abbondante quale moneta effettivamente circolante nella città picena. Probabilmente si tratta delle prime emissioni ufficiali questa officina

In un documento rogato a Fermo nel 1253 (sempre dal Fuiano, p.13 nota 42) questi tre tipi di monete sono valutati egualmente, ma debbo precisare che già in Ascoli un pratico riferimento al cambio o ragguaglio dei volterrani con altre monete di stesso peso e lega era stato fatto nel 1241 : in un documento del 14 agosto di quell’anno troviamo scritto “denarii trium vult. ut alterium monete que tantum valeret”.

Successivamente, sul cadere del XIII secolo il denaro volterrano iniziò a perdere il suo credito e l’interesse dei concittadini d’allora passò alle monete delle zecche di Ancona e Ravenna. Difatti, nel 1288 i denari volterrani sono associati a quelli di Ancona e nel 1295 a quelli di Ravenna, segno della sostituzione di circolante in corso in quegli anni; poi nei primi anni del 1300 la moneta volterrana scompare definitivamente dai documenti, dopo quasi un secolo di glorioso apprezzamento, per lasciar spazio alle due nuove valute che già avevano fatto capolino – solo in un anno – nel 1240.

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Tarì d’oro emesso nelle zecche di Brindisi e Messina dall’imperatore Federico II di Svevia

La moneta di Ravenna, più che quella d’Ancona, avrà maggior successo in città per il primo trentennio del Trecento e poi il suo declino avrà inizio allorquando Ascoli prenderà, proprio in questi decenni, a battere moneta (non a caso le prime emissioni di denari della zecca di Ascoli richiamano i tipi propri dei denari di Ravenna). L’esistenza di moneta ascolana è testimoniata da un atto di vendita del 9 marzo 1329 dove si parla di “asculani argenti et moneta parva” (mistura) il che significa probabilmente che la zecca era in attività già da qualche anno.

Monete delle zecche di Ancona e Ravenna nei documenti ascolani


A questo punto termina la mia ricerca e un ultimo approfondimento meritano le zecche di Ancona e Ravenna. Nei documenti ascolani i nominali di queste due città sono sempre associati, nel 1240, nel 1301 e nel 1302 (dopo di che dal 1310 in poi la moneta ravennate è menzionata da sola) e questo per un motivo ben preciso: verso la metà del XIII secolo tra le due città intervenne una convenzione monetaria che le impegnava ad emettere monete uniformi per peso e lega, basta analizzare gli esemplari di ciascuna zecca per confermare e cogliere le similitudini; bisogna ricordare però che le due zecche erano attive da diverso tempo e le loro monete – secondo il Castellani – erano attestate già nel 1170.

Fiorino d’oro di Firenze. Questa moneta aurea è citata nei documenti del periodo preso in esame solo nell’ultimo quarto del secolo XIII (essendo stata emessa solo a partire dal 1252), ma sarà onnipresente nei secoli successivi a testimonianza della sua diffusione quale mezzo di pagamento in tutte le economie del tempo
Fiorino d’oro di Firenze. Questa moneta aurea è citata nei documenti del periodo preso in esame solo nell’ultimo quarto del secolo XIII (essendo stata emessa solo a partire dal 1252), ma sarà onnipresente nei secoli successivi a testimonianza della sua diffusione quale mezzo di pagamento in tutte le economie del tempo

Inoltre non si deve dimenticare che Ancona fu la prima ad emettere nella seconda metà del Duecento una famosa e assai diffusa moneta: il grosso agontano d’argento da 24 denari che venne imitato da moltissime zecche, tra le quali anche Ascoli. Infine per non tralasciare nulla devo segnalare la presenza – seppur minore – nel Duecento dell’oro monetato nella circolazione. Abbiamo visto che nell’XI e XII secolo erano molto diffusi i solidi bizantini, ma nel XIII essi vengono sostituiti da altre monete auree e cioè dal tarì d’oro (citato per la prima volta nel 1232, 11 aprile) coniato nel Regno di Sicilia dai Normanni e dagli Svevi ad imitazione dei loro predecessori Arabi e dal fiorino d’oro di Firenze – importantissima moneta per i commerci di tutta l’Europa medievale coniata dal 1252 – che fa la sua prima apparizione in un documento del 7 novembre 1283.

Le Marche meridionali nel quadro monetario dell’Italia centrale


In conclusione, da questa ricerca emerge il fatto che l’area di circolazione analizzata – le Marche meridionali – rientra, per la tipologia di monete usate, nel quadro generale simile per le altre zone dell’Italia centrale ed è perfettamente in linea, salvo alcune eccezioni, con le altre città della Marca d’Ancona e pure poco si discosta dalle altre realtà regionali quali l’Umbria, la Toscana, l’alto Lazio e la Romagna.

Grosso agontano da 24 denari emesso dalla zecca del Comune di Ancona sul finire del secolo XIII alla bontà di once 11 e denari 14 di argento fino e del peso di circa gr. 2,35. Anche questa moneta d’argento riscosse largo successo nei mercati dell’Italia centro-settentrionale tra i secoli XIV e XV e venne imitata da numerose zecche delle regioni, compresa Ascoli, in un’emissione posteriore di circa venti o trent’anni rispetto al prototipo anconetano
Grosso agontano da 24 denari emesso dalla zecca di Ancona sul finire del secolo XIII alla bontà di once 11 e denari 14 di argento fino e del peso di circa gr. 2,35. Anche questa moneta d’argento riscosse largo successo nei mercati dell’Italia centro-settentrionale tra i secoli XIV e XV e venne imitata da numerose zecche delle regioni, compresa Ascoli, in un’emissione posteriore di circa venti o trent’anni rispetto al prototipo anconetano

Le monete d’argento (i denari) sono principalmente quelle che più si eguagliano per le varie regioni tra i secoli undicesimo e dodicesimo e solo nel secolo tredicesimo si distingueranno diverse aree di circolazione caratterizzate da certe tipologie di monete quali i vari tipi di denari toscani, i provisini e gli anconetani e ravennati.

La parte marchigiana appartenente ai territori di Ascoli e Fermo ricadrà ovviamente nell’area di circolazione dei denari delle zecche di Ancona e Ravenna, poi dal XIV secolo cominceranno a circolare monete coniate dalle proprie zecche ed anche dalle altre che in quel secolo diverranno operative in tutte le Marche.

Tabella cronologica dei ripi di monete in uso nelle Marche meridionali


PERIODO TIPO DI MONETA
Sec. XI e prima metà del sec. XII
  • Solidi d’oro bizantini (bisanti)
  • Denari imperiali
Seconda metà del sec. XII
  • Denari del Senato Romano (provisini, che sicuramente continuarono a circolare anche successivamente)
  • Denari Pavesi
1200 – 1220

1222 – 1290

1290 – Prima metà del sec. XIV

  • Denari di Lucca
  • Denari di Volterra
  • Denari di Ancona e Ravenna
1232 (anno della prima citazione)

1283 (anno della prima citazione)

  • Tarì d’oro
  • Fiorini d’oro