Tra le prime coniazioni spagnole nel Nuovo mondo vi furono le macuquinas, affascinanti monete “maltagliate” che dominarono i mercati per lungo tempo
di Roberto Ganganelli | Non tutti sanno che le coniazioni più rudimentali eseguite nel Nuovo Mondo dopo la conquista spagnola furono chiamate macuquinas.
Secondo alcuni il termine deriva dallo spagnolo da macuqueros, nome che indicava gli scavatori di metallo nelle miniere abbandonate. Secondo altre tesi, invece, il termine verrebbe dall’antica lingua quechua, un idioma originario dell’Impero Inca in cui la parola makkaikuna significa “oggetto colpito” o “impresso”, insomma coniato.
Macuquinas del valore di 1/2, 1 e 4 reales coniate tra il regno di Felipe II e quello di Felipe IV
Le monete che si ricavavano da questi pezzi di metallo nativo, in ogni caso, erano spesso tagliate a mano e di forma e peso molto irregolari ma, anche se non sembravano quasi monete, arrivarono a dominare i mercati.
I conquistatori spagnoli portarono nelle Indie Occidentali il sistema monetario castigliano, regolamentato per tipologia, peso e dimensioni delle monete in un sistema bimetallico dalle ordinanze emanate da Federico e Isabella a Medina del Campo nel 1497.
Macuquinas da 4 e 8 reales coniate da una zecca messicana non identificabile
Le emissioni in oro si basavano sull’excelente, sostituito nel 1585 dall’escudo, e sul real d’argento. L’escudo aureo delle colonie pesava 3,38 grammi; furono emessi anche multipli: il doppio scudo, i quattro scudi e il celebre pezzo da otto, detto anche onza (pesava poco più di 27 grammi, cioè 1/12 della libbra romana). Fu anche emesso il mezzo scudo o escudito, ma soltanto alla fine del Settecento.
Le monete d’argento si basavano invece sul real (3,38 o 3,43 grammi): circolavano anche il mezzo, il quarto o cuartillo come sottomultipli. Come multipli c’erano i pezzi da 2 reali, 4 reali e 8 reali, noto soprattutto come peso fuerte o duro.
Tra le macuquinas più curiose ne conosciamo alcune tagliate a mano in modo davvero bizzarro: a forma di pesce, a forma di aquila e di melagrana. Altre, invece, hanno forma del tutto irregolare e alcune presentano addirittura dei fori: insomma, a contare erano solo il giusto peso di metallo prezioso e un segno dell’autorità spagnola.
Moneta in argento da 4 reales a forma di melagrana coniata a Potosì
Nel 1690, la zecca di Potosí produsse macuquinas d’argento a forma di cuore poi chiamate “corazones de Potosí“. La forma è infatti quella del simbolo cattolico del Sacro Cuore di Gesù, un cuore asimmetrico con delle fiamme che a volte escono dalla sommità.
Molti di questi pezzi avevano un foro nella parte superiore in modo da poterli appendere come medaglie devozionali. Di questa tipologia esistono denominazioni di 1/2, 1, 2, 4 e 8 reales e pesi abbastanza corretti.
È interessante notare che né le zecche i cui lavoratori le realizzavano, né le chiese che un tempo ricevevano alcune di queste macuquinas come offerte votive possiedono alcuna documentazione su questi pezzi. Poiché queste monete rientravano nelle tolleranze di peso dei rispettivi tipi, sembrerebbe che i funzionari della zecca ne tollerassero la fabbricazione.
Fino alla metà circa del Seicento l’oro non fu coniato in maniera uniforme, mentre l’argento ebbe coniazione e circolazione regolare. Il rame fu battuto in piccole quantità soltanto a Santo Domingo nel Cinquecento e sporadicamente in Messico.
Tra le macuquinas più belle, un “corazon de Potosì” da 8 reales usato per scopo devozionale
La tecnica di coniazione comprendeva sia la battitura a mano, a martello, sia lo stampaggio con presse più o meno primitive. Nel Settecento, infine, un’ordinanza di Filippo V di Spagna rese obbligatorio per ogni coniazione l’uso di un macchinario adatto per ottenere monete perfettamente rotonde.
Le macuquinas d’oro furono prodotte per la prima volta nel 1622 dalla zecca di Santa Fe de Bogotá, seguita dalla zecca del Messico nel 1679 e, successivamente, dalla zecca di Lima nel 1696. Il primo conio d’oro a macchina, invece, fu prodotto in Messico in 1732.
A proposito della zecca di Potosì, potete leggere qui un approfondimento riguardante un antico detto legato al mondo della moneta e alle ricche miniere d’argento della città boliviana.