Dalla corona ostentata di Cipro a quella effettiva di Sicilia, storia e coniazioni per Torino e Palermo di Vittorio Amedeo II (1713-1719)

 

un inedito di Mario Traina | Il Trattato di Utrecht dell’aprile 1713 rappresentò l’agognata fine della Guerra di successione spagnola e, per Casa Savoia, un evento di enorme importanza dato che a Vittorio Amedeo II – già XV duca di Savoia – venne posta sul capo una effettiva corona reale, quella di Sicilia.

Grazie alla politica tanto abile quanto coraggiosa e spregiudicata di Vittorio Amedeo II, una politica di compromesso e di equilibrio tra i potentissimi vicini, i Savoia facevano così il grande salto, conquistando quel titolo regio che avevano sempre inseguito.

Dalla reggenza della madre al titolo di duca e alla corona reale

Dopo avere rischiato più volte di perdere tutto, Vittorio Amedeo II riuscì, nel corso di un regno che superò i limiti del mezzo secolo, a rendere la monarchia forte ed unita, libera dalla influenza francese, con il centro di gravità della sua azione in Italia. Chambery, la culla di Casa Savoia, rappresentava ormai il passato, l’avvenire era Torino.

Vittorio Amedeo II, primo esponente di Casa Savoia a passare dal titolo ducale a quello di re, all'inizio del XVIII secolo
Vittorio Amedeo II, primo esponente di Casa Savoia a passare dal titolo ducale a quello di re, all’inizio del XVIII secolo

Ora i Savoia potevano smettere di ostentare quel titolo di re di Cipro e Gerusalemme che esisteva solo sulla carta (anche se in realtà lo fecero solo nel 1861, quando diventarono sovrani d’Italia). Piemonte e Sicilia si trovavano unite sotto la stessa dinastia, e per di più una dinastia finalmente “italiana”.

Nel successivo Trattato di Rastatt del 1714 venne riconosciuto ai Savoia il diritto di successione al trono spagnolo, se si fosse estinto il ramo dei Borboni di Spagna; clausola che come noto portò nel 1871 Amedeo di Savoia Aosta, figlio di Vittorio Emanuele II, a diventare re di Spagna.

Vittorio Amedeo II sbarcò a Palermo il 19 ottobre 1713 dopo una settimana di mal di mare, tanto era durato il viaggio da Nizza e fu accolto con grandi festeggiamenti. Ma l’idillio durò poco, come di breve durata sarebbe stata la sovranità sabauda sulla Sicilia.

L’illusione di Palermo nuova capitale e le abissali distanze col Piemonte

I Siciliani si erano illusi che la loro isola tornasse ad essere un Regno indipendente e non più la provincia di un dominatore straniero; non avevano dubbi: tra la splendida ex capitale dei Normanni e la nebbiosa e fredda Torino, Vittorio Amedeo non avrebbe potuto scegliere che Palermo come capitale; Palermo sarebbe così tornata ai fasti di quattro secoli prima.

Il Parlamento, senza protestare, accettò di pagare un donativo di 450.000 scudi più un altro straordinario di 400.000 scudi, il doppio di quello che aveva versato al re di Spagna Filippo e i Siciliani, in gran fretta, eressero perfino una statua a Vittorio Amedeo, ricorrendo alla fusione del monumento equestre già eretto al re di Spagna.

I duchi di Savoia si imbarcano dal porto di Nizza nel 1713 per recarsi a Palermo e prendere possesso della corona di Sicilia a seguito di quanto sancito dal Trattato di Utrecht
I duchi di Savoia si imbarcano dal porto di Nizza nel 1713 per recarsi a Palermo e prendere possesso della corona di Sicilia a seguito di quanto sancito dal Trattato di Utrecht

Ma poi si dovettero ricredere e rimpiansero il fasto e il lassismo degli Spagnoli; scoprirono che c’era un abisso di costumi, di idee e modi di vivere a separarli dagli austeri, pignoli e parsimoniosi piemontesi, che pretendevano di cambiare e “piemontesizzare” tutto da un giorno all’altro. Furono soprattutto urtati dalla famosa efficienza piemontese. L’ostilità verso i Piemontesi mise radici così profonde che ancora un secolo dopo i carusi siciliani si divertivano per strada a tirare pietre contro un fantoccio chiamato Vittorio.

Vittorio Amedeo, deluso e amareggiato, constatata l’impossibilità di varare le riforme che aveva progettato, lascò la Sicilia per la sua Torino il 7 settembre 1714, lasciando come viceré il conte Maffei, un settentrionale naturalmente.

Il re, prima di partire, aveva precisato che la Sicilia avrebbe avuto bisogno d’ora in poi di una minore autonomia, dato che la distanza tra Palermo e Torino era minore di quella tra Palermo e Madrid. Altro che Regno indipendente. Inoltre la Sicilia era lontanissima dal Piemonte e dalla Savoia, bisognava passare il mare; l’isola era praticamente indifendibile.

Medaglia celebrativa dell'incoronazione di Vittorio Amedeo II di Savoia a re di Sicilia, anno 1713, con al dritto il ritratto della moglie Anna Maria d'Orléans
Medaglia celebrativa dell’incoronazione di Vittorio Amedeo II di Savoia a re di Sicilia, anno 1713, con al dritto il ritratto della moglie Anna Maria d’Orléans

L’intervento della Spagna, l’addio alla Sicilia e la fine di Vittorio Amedeo II

Così quando Filippo V, mal sopportando la perdita della ricca Sicilia, decise di riprendersi l’isola, trovò nei Siciliani dei potenziali alleati; anche sul piano internazionale il tempo giocava a favore della Spagna: l’imperatore Carlo VI, che non aveva perdonato a Vittorio Amedeo il voltafaccia del 1703, diede il suo appoggio; l’Inghilterra non si oppose essendo salito su quel trono Giorgio d’Hannover, legato agli Asburgo; in Francia, morto Luigi XIV, era salito al trono un fanciullo di cinque anni.

Filippo V di Spagna, con la sua flotta, pose fine alla breve parentesi dei Savoia come re di Sicilia, anche se la dinastia piemontese ottenne poi la corona di Sardegna
Filippo V di Spagna, con la sua flotta, pose fine alla breve parentesi dei Savoia come re di Sicilia, anche se la dinastia piemontese ottenne poi la corona di Sardegna

Filippo V mandò una flotta alla conquista dell’isola. Sbaragliati i pochi presidi piemontesi (appena 6000 uomini), gli Spagnoli s’impadronirono in pochi giorni di tutta l’ isola. Nel 1720 con il Trattato di Londra e dell’Aja, la Sicilia – 1.150.000 anime – veniva ceduta a Carlo III d’Asburgo, mentre a Vittorio Amedeo II veniva data in cambio la Sardegna, appena 310.000 anime.

Vittorio Amedeo II morì il 31 ottobre 1732 e fu la sua una morte tragica, lui – il primo re di Casa Savoia – morì infatti nelle vesti di un nemico di Stato.

Dopo avere abdicato in favore del figlio Carlo Emanuele III il 3 settembre 1730, non condividendone la politica, manifestò l’intenzione di riprendere nelle sue mani lo scettro. Il figlio lo fece arrestare e rinchiudere prima nel castello di Rivoli e poi in quello di Moncalieri, da dove Vittorio Amedeo non uscì più vivo.

Le zecche di Palermo e Torino e le monete di Vittorio Amedeo II

Nella zecca di Palermo furono approntati i coni delle nuove monete da parte del maestro di zecca don Antonio Calcerano. Non sono note le ordinanze che riguardano questa serie né si hanno rendiconti sulla quantità battuta. Una cosa è però certa: le monete d’oro e d’argento furono battute in quantità limitata, tanto che oggi sono tra le più rare dell’intera serie monetale italiana del XVIII secolo (dei 4 e 3 scudi non si conosce alcun esemplare e così dei 4 tarì); mentre delle monete da un grano e da 3 piccioli si ebbe una vera e propria inflazione.

In questo, almeno, Vittorio Amedeo II si adeguò alla tradizione siciliana, che aveva sempre visto battere da tutti i sovrani succedutisi sul trono dell’isola poche monete in metallo nobile ed una gran quantità di monete basse e vili.

Tutte le monete – in oro 4, 3, 2 scudi ed 1 scudo; in argento 4, 3 , 2 tarì ed 1 tarì; in rame 1 grano e 3 piccioli – furono coniate al piede del sistema monetario vigente allora in Sicilia. Esiste sia per il valore che per le impronte una sistema parallelo ed uniforme tra le monete d’oro e d’argento.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Grano 1716
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Grano 1716

Probabilmente le monete furono coniate solo a partire dal 1714 e la loro emissione dovette cessare prima del 1718. Le monete nobili recano tutte la data 1713, date diverse invece presentano le monete in rame: una reca la data del 1713, due rispettivamente le date del 1718 e del 1719, anacronistica quest’ultima dato che nella seconda metà del 1718 la Sicilia era stata già tutta occupata dagli Spagnoli.

La flotta spagnola di Filippo V, forte di trecento navi, nel giugno del 1718 si era presentata davanti alle coste siciliane, sbarcando 20.000 soldati. La guarnigione piemontese lasciata in Sicilia da Vittorio Amedeo II era di soli 6.000 uomini, per di più dispersi tra i vari presidi. La popolazione, nobiltà compresa, la stessa Chiesa, erano ostili ai Piemontesi e favorevoli ad un ritorno sotto la sovranità della Spagna.

L’appello del viceré, conte Maffei, rivolto ai nobili perché assolvessero il loro obbligo militare cadde nel vuoto; anzi i nobili inviarono un messaggio di lealtà a Filippo V. La Sicilia, troppo lontana dal Piemonte, era in pratica indifendibile e Maffei lasciò Palermo riparando a Siracusa.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Tarì 1713
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Tarì 1713

La capitale cadde in mano agli Spagnoli nei primi giorni del luglio 1718. Vittorio Amedeo II fin dal 23 agosto aveva dato l’ordine ai suoi uomini di lasciare l’isola, che venne devastata per due anni dai contrapposti eserciti, quello spagnolo e quello austriaco. Messina, assediata via terra dagli Spagnoli, tuttavia si difese ad oltranza e si arrese solo il 28 settembre.

La coniazione di monete a nome di Vittorio Amedeo II continuò a Palermo nella prima metà del 1718, quando già gli Spagnoli premevano alle porta della città, come testimoniano i molti grani battuti con questa data.

È molto probabile che sia stata anticipata insieme ai grani 1718 anche l’emissione di una piccola quantità di monete datate 1719 per affermare la legittima sovranità di Vittorio Amedeo II e protestare contro l’invasione e l’usurpazione degli Spagnoli.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Tarì 1719 (a riaffermare la sovranità dei Savoia sull'isola nonostante l'arrivo degli Spagnoli)
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Tarì 1719 (a riaffermare la sovranità dei Savoia sull’isola nonostante l’arrivo degli Spagnoli)

Esistono molti altri casi del genere, di emissioni “di pretenzione”, ossia di coniazioni con titoli non più esistenti. Per quanti decenni i Savoia si proclamarono sulle monete re di Cipro, pur essendo da tempo l’isola in mano ai Turchi? Probabilmente le monete datate 1718 e 1719 appartengono alle ultime emissioni fatte dai Piemontesi in Sicilia prima della perdita dell’isola, ma non si può escludere un’emissione posteriore. Vittorio Amedeo II infatti conservò sopra le monete il titolo di re di Sicilia anche dopo che questa era passata a Carlo III d’Asburgo.

Una doppia ed un soldo, entrambi datati 1722, coniati a Torino, recano ancora il titolo di re di Sicilia; sono monete di protesta di Vittorio Amedeo II contro l’offesa fattagli dal Trattato di Londra, che aveva leso i suoi legittimi diritti. In effetti fino al 17 giugno 1720 Vittorio Amedeo II fu sempre il legittimo sovrano dell’isola: solo il 20 giugno 1720 la pace firmata a Cambrai tra la Spagna e la coalizione dei suoi nemici assegnò la ricca Sicilia a Carlo d’Austria e, in cambio, la povera Sardegna a Vittorio Amedeo.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Tre piccioli 1715
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Palermo. Tre piccioli 1715

Grani o grana? Nei testi sulle monete siciliane e su quelle napoletane il grano al plurale viene usato in modo indifferente, sia grana che grani. Come documentato ne Il linguaggio delle monete va usato in modo corretto al plurale (grana) per le monete battute a Napoli e nelle altre zecche continentali e grani per le monete siciliane.

Per l’emissione delle monete in rame furono inviati da Torino 4000 rubbi di rame puro. Su alcune monete appare il numerale I dopo il nome del re invece del solito numerale II, alludendo al fatto che Vittorio Amedeo era il primo sia per la sua Casa sia per il nome come re di Sicilia. Quando poi si trattò di battere a Torino le nuove monete con il titolo reale, Vittorio Amedeo ordinò di non mettere alcun numerale, senza rinnegare così il passato e senza contraddire la legenda delle monete siciliane.

Rivelandosi le monete siciliane di mediocre fattura si pensò di ricorrere ad un intagliatore francese per allestire nuovi coni, ma il precipitare degli eventi impedì che questo proposito si realizzasse. Una prova in rame dallo stile più raffinato, che per il dritto si richiama alle monete di Torino e per il rovescio a quelle di Palermo, testimonia che un tentativo di migliorare la qualità delle monete siciliane venne fatto anche nella zecca torinese.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Torino. Doppia 1714
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Torino. Doppia 1714

Un problema da chiarire è quello della identificazione delle sigle che appaiono sulle monete siciliane. Le sigle DD AC o AC indicano senza dubbio il maestro e incisore Antonio Calcerano; la sigla C P è stata sempre indicata come “Corte di Palermo”, così come la sigla R C sulle monete di Carlo II e Filippo V indica “Regia Corte”, una specie di contrassegno per indicare la loro coniazione nella zecca palermitana.

Tuttavia, la stessa sigla apposta su una medaglia commemorativa dell’incoronazione a Palermo di Vittorio Amedeo rimette in discussione questa ipotesi. Non si conosce a chi appartengano le sigle T S e M S ; forse la sigla M S indica lo zecchiere Simone Maurigi, che con la sigla S L firmò le monete sotto Carlo VI nel 1727 e 1730-1734.

Quale è l’esatta denominazione delle monete d’oro? Promis parla di once e così fece Spahr nel suo studio pubblicato nel 1949; dieci anni dopo Spahr corresse la denominazione in ducati. E di ducati parlano Simonetti, Sapio Vitrano, Bobba, Barzan, Biaggi, Cudazzo. Ma perché ducati? Le monete furono battute “secondo il tipo, il peso e la bontà di quelle in uso in quel regno”. Si rifacevano quindi ai tipi e valori che i precedenti sovrani siciliani avevano battuto e che avevano circolato in Sicilia. Come avvenne per le monete d’argento e in rame.

L’ultima moneta aurea battuta in Sicilia, prima di quelle di Vittorio Amedeo II, era lo scudo riccio del 1696 di Carlo II, che corrispondeva per peso, g 3,45, allo scudo di Vittorio Amedeo. Prima di Carlo II avevano battuto scudi d’oro Filippo II nel 1557 e Carlo V nel 1541. Per trovare dei ducati bisogna risalire ai trionfi di Ferdinando il Cattolico, che avevano il valore di un ducato e che, probabilmente, in origine si chiamavano ducati. Con un salto indietro nel tempo di due secoli. Un’altra prova viene dai donativi per 850.000 scudi (e non ducati) votati dal Parlamento siciliano per Vittorio Amedeo II.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Torino. Tre lire o 60 soldi 1717
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Torino. Tre lire o 60 soldi 1717

Dopo due anni la Zecca di Torino riprese la sua attività il 27 aprile 1714, quando il principe di Piemonte, luogotenente per Vittorio Amedeo che si era recato in Sicilia per cingervi la corona reale, incaricò nuovamente Girolamo Ludovico Porta di gestire la zecca in economia.

Scarseggiando la moneta spicciola in Savoia, si ordinò la battitura di pezzi da 6, 4 e 2 denari per 60.000 lire. Negli anni 1715 e 1716 le uniche coniazioni registrate riguardano il progetto da 80 soldi e la prova da 60 soldi del 1716, entrambi in rame..

Con l’editto del 17 gennaio 1717 venne imposta come moneta unica di conto in tutto il Ducato la lira di Piemonte; furono quindi ritirate e fuse tutte le antiche monete che circolavano ancora in Savoia; per il cambio venne fissata la seguente tariffa: fiorino di Savoia = soldi 13,4 di Piemonte; scudino da 9 fiorini del Monferrato = soldi 30 di Piemonte; fiorino del Monferrato = soldi 3,4 di Piemonte.

Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Torino. Una lira 1717
Vittorio Amedeo II re di Sicilia. Zecca di Torino. Una lira 1717

Già il 4 gennaio 1717 Vittorio Amedeo aveva nominato direttore della zecca l’intendente generale d’artiglieria Vittorio Amedeo Reccaldini ed economo il commissario di governo Bartolomeo Boyero con l’incarico di battere per 2 milioni di lire 4.911 doppie pari a lire 77.348,5; 209.661 pezzi da 3 lire pari a lire 628.983; pezzi da 2 lire, da una lira e da mezza lira per complessive 1.053.668 lire.

E ancora, soldi a 124 pezzi al marco pari a 200.000 lire e due denari a 140 pezzi al marco pari a 40.000 lire. Il 20 novembre 1717, essendo ancora giacente in zecca una buona quantità di argento, si stabilì che i pezzi da 3 lire fossero portati a 300.000. Il 18 novembre 1721 furono emesse 9.000 doppie, 20.000 lire di lire e 6.000 pezzi di due denari.

Monete emesse da Vittorio Amedeo II re di Sicilia (1713-1719)

Torino Doppia Au 1714, 1717-1718
Torino 3 lire Ar 1717-1718
Torino Lire 2 e mezzo Ar 1717
Torino 2 lire 1° tipo Ar 1714
Torino 2 lire 2° tipo Ar 1717
Torino Lira 1° tipo Ar 1714
Torino Lira 2° tipo Ar 1717-1718
Torino Mezza lira Ar 1717-1718
Torino Soldo Mi 1717-1718
Torino 2 denari Ae 1717
Torino Progetto delle 4 lire Ae 1716
Torino Prova delle 3 lire Ae 1716
Torino Progetto di ? Ae 1714
Palermo 4 scudi Au 1713
Palermo 3 scudi Au 1713
Palermo 2 scudi Au 1713
Palermo Scudo Au 1713
Palermo 4 tarì Ar 1713
Palermo 3 tarì Ar 1713
Palermo 2 tarì 1° tipo Ar 1713
Palermo 2 tarì 2° tipo Ar 1713
Palermo 1 tarì 1° tipo Ar 1713
Palermo 1 tarì 2° tipo Ar 1713
Palermo Grano Ae 1713-1719
Palermo Prova del grano Ae 1713
Palermo 3 piccioli Ae 1713-1717