Passato alla storia come reazionario, Gregorio XVI Cappellari conia, nei primi anni di pontificato, l’ultima serie papale di pregio artistico del XIX secolo

 

di Roberto Ganganelli | Nato a Belluno da una famiglia della piccola nobiltà locale col nome di Bartolomeo Alberto, il 18 settembre del 1765, il cardinale Mauro Cappellari entrò nel Conclave per la scelta del successore di Pio VIII – che era rimasto al timone della Chiesa per poco più di un anno e mezzo – con più di una speranza di vedere il proprio nome nella lista dei papabili. Già nella Sede vacante precedente, infatti, il prelato bellunese era stato in lizza per il soglio di Pietro assieme ai cardinali Pacca e Di Gregorio.

Un camaldolese sul trono di Pietro ai tempi dei “papi re”

Monaco camaldolese, il Cappellari prese le redini degli Stati Pontifici col nome di Gregorio XVI Cappellari  in un momento quanto meno complesso, determinato sia dai moti insurrezionali che iniziarono a divampare in varie città appena due giorni dopo la sua elezione, sia dalla situazione di debolezza politica effetto di due pontificati – quelli di Pio VI e Pio VII – durante i quali la Chiesa non aveva saputo opporre interlocutori credibili allo strapotere napoleonico.

“Di tendenze moderatamente conservatrici, ma senza alcuna pratica di politica e di amministrazione” – come scrive Giancarlo Alteri – il nuovo pontefice seppe tuttavia prendere in mano la situazione e sedare le sommosse, come avrebbe fatto in più occasioni nel corso del suo pontificato, grazie all’aiuto delle baionette austriache.

Gregorio XVI

Ritratto di Gregorio XVI, papa dal 1831 al 1846  e la medaglia, emessa in argento e bronzo (mm 44), che ricorda la riforma monetaria attuata negli Stati Pontifici nel 1835

Il governo pontificio – nonostante le proteste della popolazione – negli anni che seguirono rimandò più volte l’attuazione delle promesse di riforme, riuscendo a far infuriare persino Metternich e facendo passare alla storia Gregorio XVI come un reazionario tout court.

Celebri, e più volte citate ad esempio, le opinioni del pontefice sulle ferrovie e sull’illuminazione a gas; l’invenzione del treno a vapore, ad esempio, fu condannata in modo lapidario con una frase che ha il sapore di una sentenza: “Chemin de fer, chemin d’enfer“, ovvero: “La ferrovia, strada verso l’inferno”. Con la bolla Mirari vos, inoltre, Gregorio XVI chiuse la porta – era il 1832 – ad ogni movimento innovatore interno alla Chiesa e nei rapporti con la cultura europea dell’epoca, condannando la libertà di coscienza e di stampa e la separazione tra Stato e Chiesa e tracciando la strada al Sillabo che sarebbe stato promulgato da Pio IX.

In realtà le complesse condizioni – sociali e finanziarie – in cui Gregorio XVI avrebbe lasciato gli Stati Pontifici e la Chiesa cattolica al momento della sua morte, nel 1846, furono determinate, per una parte non trascurabile, dalle ingenti spese autorizzate dal pontefice per opere architettoniche e di ingegneria, oltre che nel fondamentale settore dell’educazione e dell’assistenza pubblica.

Dipinto che ritrae Gregorio XVI in solenne processione sotto il colonnato della Basilica di San Pietro, attorniato da alti prelati e dignitari della corte pontificia

Con il “reazionario” pontefice camaldolese, fra le altre cose, venne introdotta in modo sistematico la somministrazione del vaccino anticolera, come pure fu adottato il sistema metrico decimale (di invenzione rivoluzionaria francese, parbleu!); papa Gregorio favorì inoltre lo sviluppo della navigazione a vapore, il potenziamento delle banche di credito e delle camere di commercio, lo sviluppo di strumenti assicurativi e finanziari moderni.

Durante il suo pontificato, infine, venne affrontato con forza anche il cocente tema della schiavitù, ancora praticata soprattutto nel continente americano. Nel 1839, con l’enciclica In Supremo Apostolatus, Gregorio XVI condannò infatti la tratta e lo sfruttamento di esseri umani come “delitto”, rafforzando quanto già affermato nel magistero dai suoi predecessori.

Zecche e monete pontificie ai tempi di papa Cappellari

Come durante i pontificati dei suoi predecessori, dall’inizio del XIX secolo, anche sotto papa Cappellari nello Stato Pontificio furono attive solo due officine monetarie, quelle di Roma e Bologna, che produssero monete in oro, argento e rame distinguibili in due fasi distinte.

La prima, che si apre con l’elezione di Gregorio XVI il 2 febbraio 1831, vede una sostanziale ripetizione dei tipi e delle metrologie precedenti, è caratterizzata dalla coniazione di oro in piccola quantità, di nominali in argento e di due specie in rame e termina con il chirografo del 10 gennaio 1835; con questo strumento normativo, infatti, avviene l’introduzione negli Stati della Chiesa del sistema metrico decimale in applicazione al sistema monetario.

Da quel momento in poi, la serie pontificia venne basata sullo scudo romano d’argento suddiviso in 100 baiocchi, con lo scudo a 900/.. avente peso di g 26,898. In precedenza, lo stesso nominale era invece al titolo di 917/.. con un peso di g 26,430. Per quanto riguarda l’oro, alla doppia con titolo di 917/.. e peso di g 5,470 venne sostituito lo scudo d’oro a 900/.. e del peso legale di g 1,732. Il rapporto ufficiale di valore tra oro e argento rimase invece invariato, pari a 1 a 15,515690.

Nel 1831 le zecche di Roma e Bologna ricadevano sotto la gestione di Francesco Mazio, che in quello stesso anno venne affiancato dal figlio Giuseppe il quale avrebbe sostituito il padre come “direttore generale delle zecche e degli uffici del bollo per la manifattura dell’oro e dell’argento” a partire dal 1833.

Dettaglio con stemma ricamato di una pianeta appartenuta al cardinale Mauro Cappellari e conservata nel monastero dei Camaldoli, luogo caro al pontefice

Gregorio XVI visitò la zecca romana nel gennaio 1835, appena dopo la promulgazione del chirografo di riforma monetaria, quasi a voler “benedire” la nuova fase di attività dell’officina. Era accompagnato da alti prelati e da monsignor Francesco Saverio Massimo, presidente delle zecche pontificie. Dopo aver assistito ad alcune dimostrazioni di coniatura, papa Cappellari ricevette l’onore di un busto e una lapide eretti nella sala dei torchi, nonché di una medaglia incisa da Giuseppe Cerbara con effigie del pontefice al D/ e iscrizione GREGORIVS . XVI . PONT . MAX . AN . IV . e al R/ legenda BONO PVBLICO | LEGIBVS OPTIMIS | CONSVLIT | REM NUMMARIAM | CONSTITVIVIT.

Sotto il profilo dell’amministrazione della moneta, la riforma decimale contribuì senza alcun dubbio alla modernizzazione dello Stato Pontificio, semplificandone il circolante e togliendo di mezzo gli spezzati e le specie precedenti come zecchini, doppie e mezze doppie, mezzi grossi ecc… Inoltre, il ritiro sistematico delle monete calanti e degli esemplari logori rese la monetazione papale più uniforme e, complessivamente, di qualità tecnica superiore, in linea con il livello degli altri paesi europei.

A completare il quadro vanno ricordati il nuovo regolamento della zecca di Roma emesso il 31 dicembre del 1843 e, pochi anni prima, l’offerta fatta al grande Benedetto Pistrucci (1785-1855) di assumere l’incarico di incisore capo, che egli dapprima accettò per poi lasciare, nel 1841, tornandosene a Londra dove gli emolumenti erano molto più elevati e le prospettive di carriere più promettenti.

L’ultima serie di monete artistiche del XIX secolo 

Con Gregorio XVI, la monetazione pontificia segnò una frattura epocale rispetto ai secoli in cui le monete dei papi avevano rappresentato personaggi, allegorie, capolavori architettonici ed artistici, scene delle Sacre scritture ed effigi di santi e beati. Con un tratto di penna – è il caso di dirlo – papa Cappellari, nel 1835, di fatto cedette al modello monetario napoleonico non soltanto dal punto di vista metrico e tecnico, ma anche sotto il profilo iconografico e simbolico.

Sulla serie post riforma, tuttavia, non ci soffermiamo; in questa sede preferiamo soffermarci sulle belle emissioni del periodo 1831-1834, quelle su cui – per l’ultima volta – l’estro artistico degli incisori pontifici (di uno in particolare, Nicola Cerbara) ebbe modo di esprimersi con sapienza ed eleganza.

Due soli nominali furono coniati in oro: la gregorina da 5 scudi romani, estremamente rara e di cui possiamo qui presentare uno splendido esemplare grazie alla disponibilità di un privato collezionista, e la doppia.

Uno dei rarissimi esemplari di gregorina da 5 scudi in oro emessa nel 1834: si suppone che ne esistano da 8 a 11 esemplari (mm 22-23)

Della gregorina da 5 scudi (mm 23, g 8,67) si ritiene esista in un numero di esemplari ridottissimo (otto oppure undici, secondo le fonti, ma non vi è certezza sul numero effettivo) e l’unico passaggio in vendita pubblica recente che siamo riusciti a censire è quello, del 1988, che ha visto una di queste rarissime monete (ex Collezione Guia) andare venduta in asta Bowers & Merena in conservazione Spl per 15.496.000 lire.

La moneta raffigura al D/ Gregorio XVI con zucchetto, mozzetta e stola decorata dall’araldica del pontefice, e con legenda GREGORIVS . XVI . PON . MAX AN . IV; in basso, il segno di zecca e la data (R . 1834) tra due rosette quadrifille. Sotto il taglio del busto le iniziali N. C. dell’autore e, sulla stola indossata dal papa, gli elementi araldici del suo stemma. Al R/, le figura in piedi dei santi Pietro e Paolo nimbati e con i loro tradizionali attributi (il libro per entrambi, le chiavi per Pietro e la spada per Paolo), legenda PRINCEPS . | APO | STO | LORVM (nel giro) e il valore SCV. 5. ROM. (in esergo). Il bordo è rigato.

Vari autori, tra cui Moroni e Martinori, sostengono che i pochissimi esemplari realizzati furono trattenuti dal pontefice e donati “a forestieri” e che una prova coniata in argento fu acquistata da un cittadino straniero che la fece dorare; questi, poi, a quanto pare non volle mai farla toccare ad alcuno dal momento che il peso ne avrebbe denunciato il materiale non conforme agli originali. Il motivo dell’esigua produzione di questa solenne moneta – secondo alcuni – sarebbe da ricercare nella riluttanza del pontefice a veder effigiate le figure degli Apostoli su moneta, cosa peraltro fatta per secoli e che non si spiega, del resto, alla luce di altre monete del periodo.

Gregorio XVI

Raffigura san Pietro la doppia in oro (mm 22) battuta nell’anno III di Gregorio XVI, con millesimo 1833 a Roma e 1834 a Bologna; il soggetto si ispira alla statua del principe degli Apostoli conservata nella Basilica vaticana

La doppia, ad esempio, ad un D/ simile (il ritratto differisce solo per la decorazione della stola, ad arabeschi, e per la firma CERBARA per esteso), raffigura infatti al R/san Pietro in trono, nimbato con le chiavi nella sinistra e la destra sollevata e benedicente.

La moneta (mm 21, g 5,47) ha il taglio rigato e reca al R/ il valore (DOPPIA) in esergo e la legenda (lungo il giro) . TV . REM . TVERE . PVBLICAM . (“Tu tutela lo Stato”) in riferimento al ruolo di principale patrono del principe degli Apostoli nei confronti dello Stato della Chiesa. Di questa rara tipologia furono coniati 1300 esemplari a Roma nel 1833-III, mentre non è noto il contingente prodotto a Bologna con data 1833-IV.

Bellissima e solenne, ricca di dettaglio, la scena della Presentazione al Tempio incisa al rovescio dello scudo gregoriano pre-riforma (mm 38)

Venendo alle coniazioni in argento appare “pittorica”, senza dubbio, anche la moneta da uno scudo coniata nel 1831-I a Roma e Bologna, e nel 1833-III e 1834-IV solo nella zecca capitolina. Con contorno rigato, lo scudo (mm 38, g 26,43) presenta il ritratto del pontefice al D/ (con nome ed anno di pontificato nel giro, data e firma NIC . CERBARA in basso e stola con decori e colomba raggiante dello Spirito santo) mentre il rovescio è dominato dalla scena della Presentazione al Tempio di Gesù.

Una scena nella quale la Madonna e san Giuseppe (sulla destra) consegnano ai santi Simeone ed Anna il piccolo Gesù avvolto in un drappo. San Giuseppe – delizioso dettaglio iconografico – reca in mano un cestino con due colombe (presenti anche, in forma diversa, nell’arma del pontefice) recate come offerta al Tempio. Lungo il giro si trova la legenda latina LVMEN AD REVELATIONEM GENTIVM, in esergo la zecca di produzione (ROMA o BOLOGNA, in caratteri minuti). La legenda (“Luce per illuminare i popoli” è tratta dal Vangelo di Luca (cap. 2, v. 32) e completa la scena nella quale, sotto il profilo teologico, ad essere effigiati sono i giusti dell’Antico testamento che riconoscono il Messia e lo indicano pubblicamente come tale alle genti.

La Presentazione di Gesù al Tempio in un antico dipinto di stile orientale che ne mostra tutti i personaggi e gli elementi tradizionali

La più bella ed artistica moneta della prima serie di Gregorio XVI, tuttavia, è probabilmente il mezzo scudo in argento (50 baiocchi, coniati nel 1832-II a Roma e Bologna, e solo a Roma nel 1834-IV) creato da Nicola Cerbara nel quale il pontefice al D/ è ritratto a destra con stola decorata da chiavi e tiara, croce e rami intrecciati, mentre il R/ rappresenta un omaggio di papa Cappellari al proprio ordine di appartenenza, i Camaldolesi.

Il D/ è completato dalla classica legenda con nome e anno di pontificato, dal millesimo e dalla firma dell’autore N. CERBARA; il R/, invece, tra la legenda S. ROMVALDVS . AB . CAMAL . (in alto) e il valore in piccolo BAJ. .50 intervallato dal segno di zecca (R o B), mostra san Romualdo, nimbato, inginocchiato a terra in mistico rapimento, mentre protende verso l’alto il crocifisso con la mano sinistra stringendo la destra al petto. Accanto, una pietra dalla quale spuntano ciuffi d’erba e sulla quale poggiano un bastone ed un teschio; a sinistra un albero antico dal quale spunta rigoglioso un ramo pieno di foglie.

Gregorio XVI

San Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, sul rovescio del mezzo scudo in argento coniato nel 1832 e nel 1834 (mm 32) e la Visione di san Roumaldo, un dipinto del XVII secolo opera di Filippo Pasquali

Nato a Ravenna tra il 951 e il 953, morto a Fabriano nel 1027, Romualdo fondò l’eremo di Camaldoli (Ar) e diede vita alla Congregazione camaldolese, una diramazione riformata dell’Ordine benedettino (l’albero da cui germoglia un nuovo ramo è un probabile riferimento alla riforma camaldolese). Figlio del duca Sergio degli Onesti e di Traversara Traversari, dal 998 circa si dedicò a vita eremitica dapprima a Pereo, presso Ravenna; rinunciò quindi alla carica di abate e sul Monte Fumaiolo fondò, dove oggi sorge la località di Verghereto (Fc), un nuovo monastero.

Fu poi, per breve tempo, a Sant’Apollinare, presso la natia Ravenna, e infine si recò a Montecassino (Fr). Intorno al 1014 fondò un eremo a Sitria nei pressi del Monte della Strega, nell’odierno territorio di Scheggia (Pg); rimase in Umbria per circa sette anni, poi si trasferì a Camaldoli. Fu beatificato cinque anni dopo la morte e dichiarato santo nel 1595 da Clemente VIII.

Sono incentrati sul consueto ritratto e sullo stemma con chiavi e tiara di Gregorio XVI le monete da 30 e 20 baiocchi pre-riforma (mm 27 e mm 24)

Tornando alle monete in argento della prima fase del pontificato di papa Cappellari, queste si completano con i due tagli inferiori da 30 baiocchi (testone) e 20 baiocchi (doppio giulio). Piccoli dettagli iconografici distinguono le due tipologie, entrambe caratterizzate al D/ dal ritratto a sinistra del pontefice e al R/ dal suo stemma e dal valore.

I 30 baiocchi (mm 26, g 7,93) hanno taglio rigato e furono coniati solo a Roma nell’anno 1834-IV; sulla stola, il papa porta impresse la croce, decori floreali ed una curiosa bilancia intrecciata ad un serpente. A proposito di tale simbolismo, si potrebbe ipotizzare – in chiave arladico simbolica – un ovvio richiamo alla giustizia (la bilancia) e, al tempo stesso, alle doti di riflessione e prudenza del serpente (o meglio, della biscia). Al R/, inoltre, le chiavi di san Pietro terminano con impugnature circolari.

Stemma di papa Cappellari con chiavi, tiara e decori da una stampa ottocentesca e il baiocco tipo della prima parte del pontificato (mm 30)

Sui 20 baiocchi (mm 23, g 5,29) battuti sempre dalla zecca dell’Urbe nel 1834-IV, invece, la stola è trapunta da decori floreali e da una stella raggiante, mentre le impugnature delle chiavi al R/ sono poligonali. Accomuna le due monete l’arma del pontefice Gregorio XVI al R/, che Gorra blasona come: “Partito: nel 1° d’azzurro, al calice d’oro, accostato da due colombe al naturale in atto di bere, e sormontato da una cometa di sei raggi d’oro, ondeggiante in palo; nel 2° troncato d’azzurro e d’argento, al cappello prelatizio di nero posto nel 1°, alla fascia di rosso attraversante nella partizione, e caricata da tre stelle di sei raggi d’oro”.

La prima serie monetale a nome di papa Cappellari si completa con tre specie in metallo vile. I baiocchi in rame 950/.. (mm 30, g 11,9) furono battuti nel 1831-I, 1832-I e 1832-II dalla sola zecca di Roma, con araldica del papa al D/ e al R/ la denominazione BAIOCCO | ROMANO tra una stella e la data, il tutto entro una corona d’alloro.

Gregorio XVI

Il mezzo baiocco e il quattrino in rame (mm 24 e mm 18)

I mezzi baiocchi in rame 950/.. (mm 23,5, g 6) furono coniati invece nel 1831-I a Roma e nel 1832-II, 1832-III, 1833-III e 1834-IV a Bologna, e sono caratterizzati dall’arma pontificia al D/ e dalla denominazione MEZZO | BAIOCCO | ROMANO con data, entro corona d’alloro circolare al R/. Il D/ reca inoltre nome del papa e anno di pontificato, oltre al segno di zecca e alle iniziali N. C. dell’incisore, mentre il R/ si completa con una stella a sei punte nel campo, in alto. Il bordo è liscio.

I quattrini, nella stessa lega dei tipi precedenti (mm 18, g 2,4), presentano un impianto analogo e furono prodotti solo dall’officina monetaria romana con data 1831-I.

Un virtuoso del bulino alla zecca papale, Nicola Cerbara

Nicola Cerbara nacque a Roma nel 1796. Figlio d’arte – suo padre era Giovanni Battista Cerbara, uno dei migliori incisori e medaglisti romani della seconda metà del XVIII secolo – si dedicò ben presto all’incisione di gemme e di conii, complice anche il fratello maggiore, Giuseppe, che era anch’egli incisore di medaglie e monete con bottega a Roma in Piazza di Spagna n. 9, mentre Nicola aveva bottega in Via di Sant’Angelo Custode n. 26.

Nicola Cerbara, a quanto noto dai documenti, iniziò l’attività nel 1823 firmando monete e medaglie per Pio VII, Gregorio XVI e infine per Pio IX; nel turbolento periodo della II Repubblica Romana (1849) produsse inoltre i conii per le monete da 1/2, 1, 3, 4, 8, 16 e 40 baiocchi del Governo capeggiato dai triumviri Saffi, Armellini e Mazzini. Per questo, dopo la restaurazione del potere temporale, venne considerato come “collaborazionista” e messo ai margini del circuito degli incisori romani, al punto che si vide costretto a lasciare la Città eterna per stabilirsi in Toscana, a Montepulciano (Si),  dove morì nel 1869.

Le simbologie sulle stole indossate da Gregorio XVI nei ritratti che compaiono sulla serie monetale che precede la riforma del 1835: in alto la gregorina e la doppia, quindi lo scudo, il mezzo scudo, i 30 e i 20 baiocchi

Tra le sue opere più ambiziose si ricorda la serie di medaglie per gli “illustri” italiani realizzata assieme a Pietro Girometti, successiva a quella che ad inizio XIX secolo aveva realizzato Tommaso Mercandetti. Nicola Cerbara fu autore di tutte le impronte della prima serie di Gregorio XVI che abbiamo presentato in queste pagine, nonché della serie post riforma 1835, non mancando di firmare – in vari modi – anche le pezzature meno prestigiose, quelle in rame, oltre ai nominali maggiori in oro e in argento.

A sua firma conosciamo anche molte belle medaglie ufficiali del periodo, oltre che coniazioni celebrative e devozionali di vario soggetto che – al pari di altri medaglisti dell’epoca attivi a Roma – produceva e metteva in vendita privatamente.

Valido ritrattista, versatile nelle raffigurazione di scene animate come di vedute architettoniche e di paesaggi, Nicola Cerbara, col suo bulino, diede vita a capolavori in tondello ancora oggi apprezzati dai collezionisti e che, come testimoniato in queste pagine, fanno vivere nel presente e proiettano nel futuro il ricordo della sua arte.