Un soggetto ricorrente nelle monete delle Grecia e della Magna Grecia, un viaggio affascinante attraverso “il mito numismatico”

 

di Francesco Billi | Se gli appassionati di numismatica antica dovessero eleggere il proprio nume tutelare fra gli dei dell’Olimpo, credo che sarebbe giusto votare Eracle, non tanto per la proverbiale forza fisica, ma piuttosto per la comprovata capacità di condizionare l’iconografia monetale durante quasi un millennio di storia greca e romana.

Infatti la leggenda dell’eroe, anzi le sue molteplici leggende, affondano le loro radici nelle origini dell’identità mediterranea sia cultuale, che culturale, e si sono evolute attraverso l’intero arco cronologico che va dall’epoca omerica al tardo impero romano (fig. 1).

Il fortunato mito di Eracle, Ercole per i Romani, ha pervaso l’immaginario classico attraverso le molteplici rielaborazioni prodotte dai più illustri pensatori, letterati, artisti e regnanti dei diversi secoli.

Una straordinaria continuità, con rare analogie nel mondo antico, motivata innanzitutto dalla predisposizione di questo semidio, figlio di una mortale e di Zeus, ad interpretare i progressivi mutamenti religiosi, filosofici e ideologici del tempo.

Fig. 1 | Metopa raffigurante Eracle che uccide il gigante Alcioneo, Heraion alla foce del Sele, 570-560 a.C., Museo Archeologico Nazionale di Paestum
Fig. 2 | Eracle-Melquart, statuetta arcaica cipriota di inizio V sec. a.C., Museo di scultura antica Giovanni Barraco, Roma

 

Non sorprende, dunque, che la sua presenza abbia lasciato riferimenti indelebili nella stessa toponomastica mediterranea. Ad Eracle vennero dedicate città su ogni sponda dal Mar Nero alla Magna Grecia. Solo per citarne alcune: Heracleum in Taurica (l’attuale Crimea), Heraclea Pontica nelle coste settentrionali dell’Anatolia, l’Heraclea fondata da Filippo II in Macedonia, Heraclea in Cirenaica sulle coste nord africane e, procedendo verso ovest, Heraclea in Lucania ed Heraclea Minoa in Sicilia, nell’Agrigentino (Per informazione vale la pena chiarire che Eraclea nella laguna veneta venne invece chiamata così dal VII secolo d.C. per omaggiare l’Imperatore bizantino Eraclio e non l’eroe greco).

Ancora oggi, inoltre, chiamiamo Colonne d’Ercole lo stretto di Gibilterra che per tanti secoli venne considerato l’estremo confine occidentale del mondo, il luogo di passaggio per eccellenza, la porta di transito dalla terra nota all’ignoto Oceano, spalancata proprio dalle braccia possenti dell’eroe per separare l’Europa dall’Africa: una versione mitologica che conferma l’evidente parallelismo con l’analogo antico dio fenicio Melqart (fig. 2).

 

Gli esordi nella monetazione greca

La tradizione mitologica riguardante Eracle risulta molto complessa e diversificata proprio perché si sviluppò in un arco temporale straordinariamente lungo, durante il quale alcune fonti vennero tramandate, altre dimenticate o accantonate, altre ancora rielaborate dando origine a nuovi filoni narrativi.

Fig. 3 | Ionia, Eritre, sesto di statere in elettro anepigrafo, 520-480 a.C. circa, SNG Aulock 1942; D/ Testa di Eracle con copricapo leonino. R/ Quadrato incuso

 

In questo senso la numismatica antica ci fornisce un punto di osservazione privilegiato per comprendere attraverso l’iconografia la molteplicità dei ruoli assunti dall’eroe nell’immaginario greco e romano. In una prima fase, dal V  secolo almeno fino alla metà del IV  secolo a.C., la monetazione greca contribuì a diffondere l’immagine di Eracle nel Mediterraneo ellenico, fissandone gli attributi destinati a caratterizzare i tipi erculei anche nei secoli successivi: la clava, il mantello di pelle leonina indossato con la testa della belva come copricapo (la cosiddetta leonté), e ovviamente la forza sovrumana, resa attraverso le proporzioni anatomiche e la muscolatura accentuata (figg. 3 e 4).

Fig. 4 | Lucania, Heraclea, statere in argento, 415-400 a.C. circa, Historia Numorum, Italy 1362; D/ Testa di Atena all’interno di una corona. R/ Eracle muscoloso, con a fianco la clava, siede su una roccia coperta dalla pelle leonina e porge una brocca con la mano destra

 

Accanto alla definizione ritrattistica, decisamente più puntuale rispetto alle generiche descrizioni di omerica memoria, vennero selezionati e coniati gli episodi epici ritenuti maggiormente rappresentativi. La fama del personaggio e delle sue imprese fu tale che la varietà delle scene monetali note è sufficiente per comporre un racconto illustrato della vita leggendaria dell’eroe. Eracle era nato dall’amore fra una mortale, Alcmena della stirpe d’Argo, e Zeus. Adirata per l’infedeltà dello sposo, la dea Hera si accanì contro il neonato e gli mandò due serpenti ad ucciderlo nella culla. Ma il piccolo Eracle, che già possedeva una forza sovrumana, li strangolò entrambi (fig. 5).

Fig. 5 | Bruzio, Crotone, nomos in argento, 350-340 a.C. circa, Historia Numorum, Italy 2157; D/ Testa laureata di Apollo. R/ Eracle infante lotta con i due serpenti mandati da Hera

 

Quindi, il giovane semidio crebbe addestrandosi all’uso delle armi, distinguendosi in particolare come arciere, tant’è che arco e faretra divennero suoi attributi specifici, al pari della clava (figg. 6 e 7). Faticava, invece, ad imparare l’arte musicale e finì per spaccare la testa al suo maestro con una pesante lira.

Fig. 6 | Eracle arciere, scultura del frontone orientale del tempio di Aphaia nell’isola di Egina, 500-480 a. C., Gliptoteca di Monaco di Baviera
Fig. 7 | Tracia, Thasos, dracma d’oro, 380-340 a.C. circa, HGC 6, 327; D/ Testa di Dioniso coronata con foglie di vite. R/ Eracle arciere coperto dalla pelle leonina

 

Nonostante ciò anche l’immagine di Ercole musagete, cioè suonatore e ispiratore delle muse, trovò spazio nel diversificato repertorio numismatico riferito all’eroe (fig. 8). Proprio per questo omicidio venne inviato dal padre putativo, Anfitrione, a pascolare le greggi sul monte Citerione, dove compì il suo primo atto eroico uccidendo un leone che terrorizzava i pastori. Tuttavia la pelle indossata tradizionalmente da Eracle non doveva appartenere a questa belva, bensì al mostruoso leone di Nemea, sconfitto durante la prima delle celebri dodici fatiche, ovvero la parte del mito rimasta probabilmente più popolare fino ai giorni nostri. Come ci si arrivò?

Fig. 8 | Q. Pomponius Musa, denario in argento, Roma, 66 a.C., RRC 410/1; D/ Testa di Apollo con i capelli legati da fascia. R/ Ercole musagete suona la lira coperto dalla pelle leonina

Le dodici fatiche e la fama dell’eroe

L’oracolo di Delfi, interpellato da Eracle, gli aveva svelato il suo inevitabile destino e cioè quello di obbedire all’odiato Re di Tirinto Euristeo, protetto di Hera, che lo reclamava come servitore. L’eroe, che non si rassegnava a questa sorte ingrata, divenne furibondo e uccise la propria moglie e i propri figli. Ma poi, per espiare lo sterminio della sua famiglia, si sottopose al volere di Euristeo che gli commissionò le celebri dodici fatiche.

Il numero di dodici, già citato nel VII  secolo a.C. da Pisandro da Rodi, autore del poema Herakleia, venne fissato definitivamente nel tardo IV  secolo a.C., in epoca alessandrina, per creare un collegamento con la teologia fenicia e con i dodici segni zodiacali. La prima fatica fu quella di liberare il territorio di Nemea dal feroce leone con la pelle invulnerabile. Non potendo abbatterlo a colpi di clava, né trafiggerlo con le frecce, Eracle dovette strangolarlo a mani nude (figg. 9 e 10).

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 9 | Lucania, Heraclea, nomos in argento, 390-340 a.C. circa, Historia Numorum, Italy 1377; D/ Testa di Atena con elmo crestato e decorato. R/ Eracle che lotta con il leone di Nemea. La clava è appoggiata dietro di lui e tra le sue gambe si trova una civetta

 

Fig. 10 | Sicilia, Siracusa, 100 litre o doppio decadramma d’oro, 400-370 a.C. circa, Bérend 42,3; D/ Testa della ninfa Aretusa con orecchini, collana e simbolo dietro la nuca. R/ Eracle che lotta con il leone di Nemea

 

Quindi, ricavò un mantello dalla pelliccia della creatura, come ci racconta Euripide, tragediografo greco di V  secolo a.C.: “In principio liberò il sacro bosco di Zeus dal leone, avvolgendosi nel fulvo pelo e ricoprendo il biondo capo nelle mascelle della fiera spalancate in orribile voragine” (Heracle, 359-363).

Praticamente tutte le dodici fatiche vennero citate nelle emissioni monetali greche o romane: l’idra di Lerna, il cinghiale di Erimanto, la cerva di Cerinea, i pomi d’oro delle Esperidi… solo per elencarne alcune (fig. 11). Ma le luci della ribalta numismatica si concentrarono soprattutto sull’episodio del leone di Nemea e sull’inconfondibile leontè, destinata a dominare la retorica erculea nella monetazione ellenistica e romana.

Il successo internazionale di Eracle fu rapido e giustificato dalla complessità del personaggio. Né uomo, né dio, con la sua forza sovrumana si distingueva per le imprese di straordinaria generosità, ma anche per aver compiuto atroci delitti in preda all’ira, arrivando a sterminare i propri figli.

Fig. 11 | Creta, Festo, statere in argento, 320-300 a.C. circa, Svoronos 54, tav. 24, 17 var.; D/ Eracle che combatte contro l’Idra di Lerna. R/ Toro in procinto di caricare verso destra

 

Conosciuto inizialmente attraverso i racconti omerici ed esiodei, venne poi celebrato durante la colonizzazione greca del Mediterraneo come un eroe viaggiatore e civilizzatore, al pari di Odisseo, diventando ben presto un mito di riferimento comune a tutte le genti di origine ellenica.

Quando nella Grecia classica di V  secolo a.C. cominciò la crisi dei valori tradizionali, Eracle assunse progressivamente il ruolo dell’uomo tormentato, perseguitato dagli dei e da un destino avverso che non si rassegnava ad accettare. Sempre più incarnazione del conflitto fra umano e divino, diventerà un riferimento privilegiato per chi, lottando contro gli ostacoli della vita, cercava di guadagnarsi l’immortalità: si stavano gettando le premesse, insomma, per una nuova fase (fig. 12).

 

Eracle e Alessandro Magno

La cultura ellenistica, dalla seconda metà di IV  secolo a.C., spostò definitivamente l’attenzione dalla dimensione collettiva dell’antica città stato, la poleis, a quella individuale e soggettiva. Indiscusso protagonista di questa nuova epoca fu Alessandro Magno (356-323 a.C.), il condottiero macedone in grado di conquistare un impero sterminato che dalla Macedonia e dalla Grecia si estendeva in Egitto, in Anatolia, in Mesopotamia, fino al lontano corso del fiume Indo.

Generalmente i tetradrammi d’argento e gli altri nominali alessandrini, coniati in abbondanti quantità presso le zecche del vasto regno, richiamarono il mito di Eracle raffigurando sul dritto un volto caratterizzato dal copricapo leonino (fig. 13).

Fig. 12 | La follia di Eracle raffigurata in un cratere a figure rosse proveniente da Paestum, 350-320 a.C., Museo Archeologico Nazionale di Spagna, Madrid
Fig. 13 | Impero Macedone, Alessandro il Grande, tetradramma in argento, Tiro, 336-323 a.C., MJP 3540; D/ Alessandro Magno-Eracle con leontè. R/ Zeus seduto in trono tiene l’aquila sulla mano destra e un lungo scettro nella sinistra

 

In questa sede non è così importante chiedersi se si trattasse del reale ritratto di Alessandro nei panni di Eracle (tesi in alcuni casi abbastanza convincente), oppure se raffigurando semplicemente l’eroe si volesse alludere al sovrano macedone, suo protetto. Piuttosto, è opportuno riflettere su cosa intendesse comunicare il grande conquistatore, poiché la notevole omogeneità dei tipi monetali presumeva una consapevole programmazione motivata ideologicamente.

Fig. 14 | Ritratto di Alessandro Magno, particolare del mosaico pompeiano della battaglia di Isso, 100 a.C. circa, Museo Archeologico Nazionale di Napoli

 

Alessandro Magno, infatti, aveva mutuato dai sovrani orientali la concezione religiosa del potere regale e, pertanto, sosteneva la natura divina della propria persona. In parole povere si credeva un dio. E quale dio avrebbe potuto essere se non il famosissimo Eracle? Come l’eroe greco anche lui riteneva di essere nato da una mortale, Olimpiade principessa dell’Epiro, e da Zeus, celebrato sui rovesci monetali dei tetradrammi. Tale discendenza gli era stata addirittura confermata dall’oracolo egizio del tempio di Ammone presso l’oasi di Siwa. Alessandro, inoltre, nutriva la stessa ambizione di guadagnarsi quel posto nell’Olimpo che gli spettava in virtù delle sue origini sovrumane e per le fatiche superate nell’incredibile impresa di conquistare il più vasto regno mai visto al mondo (fig. 14).

Fig. 15 | Impero Romano, Massimiano Erculeo, aureo, Roma, 288-289 d.C., RIC 5 II, 494; D/ Busto di Massimiano Erculeo con leontè. R/ Giove stante in nudità eroica con il fulmine nella mano destra e lo scettro nella sinistra

 

L’imperatore macedone, quindi, assegnò all’iconografia monetale erculea e all’esibizione della leontè il delicato compito di diffondere un nuovo messaggio politico molto preciso: lui ed Eracle condividevano lo stesso divino padre, esprimevano lo stesso livello intermedio fra uomo e dio, partecipavano alla stessa missione tesa all’immortalità e, in pratica, erano lo stesso eroe. Una strategia di successo che impressionò molto l’immaginario mediterraneo antico e che, secoli dopo la sua morte avvenuta nel 323 a.C., venne ancora riproposta dalle monete di imperatori romani quali Commodo (180-192 d.C.) e Massimiano (286-305 d.C.) detto, non a caso, Erculeo (fig. 15).