Una coniazione del 1665 esalta i lavori nell’abbazia dei Castelli, specchio della maestria del “medajaro” Travani e dei giochi di potere fra potenti casate

 

di Giancarlo Alteri | Grottaferrata, ridente località dei Castelli romani, è famosa per un’abbazia fondata da san Nilo oltre un millennio fa che, con l’annesso convento, costituisce tuttora uno dei più suggestivi monumenti altomedievali del Lazio. Eppure, pochi, perfino tra gli stessi abitanti di questa nota cittadina, sanno che una delle maggiori attrazioni dell’abbazia è riportata su una medaglia.

Si tratta dell’altare, posto dietro l’iconostasi dell’abbazia, in cui è conservata un’icona miracolosa della Vergine, tenuta nascosta, per un certo periodo di tempo, per sottrarla alla furia delle milizie teutoniche di Federico Barbarossa, ed esposta di nuovo nel 1230, dopo circa un secolo, alla venerazione dei fedeli che non l’avevano mai dimenticata.

Nel 1577, il cardinale Alessandro Farnese procedette a radicali restauri e ad una nuova sistemazione dell’intera chiesa, facendo costruire, tra l’altro, un altare “latino” centrale e, dietro di esso, una macchina in legno, che fosse di supporto alla sacra icona. Il ruolo che allora il potente cardinale, nipote di Paolo III Farnese, che era suo nonno, ricopriva, gli permetteva questo ed altro! Infatti, era vicecancelliere di Santa romana Chiesa, nonché commendatario di Farfa e di Grottaferrata.

Esterno e interno dell'abbazia di Santa Maria a Grottaferrata, nelle vicinanze di Roma: la cittadina dei Castelli, al pari di altre località, era prediletta da papi, cardinali e nobili per l'edificazione di ville e palazzi e per le villeggiature
Esterno e interno dell’abbazia di Santa Maria a Grottaferrata, nelle vicinanze di Roma: la cittadina dei Castelli, al pari di altre località, era prediletta da papi, cardinali e nobili per l’edificazione di ville e palazzi e per le villeggiature

Se già il nipote di un papa aveva fatto costruire un altare nella celebre abbazia, cosa poteva fare nella stessa abbazia un altro nipote di un altro papa? Questa domanda si pose certamente Francesco Barberini, figlio del fratello di Urbano VIII, che lo aveva elevato della porpora cardinalizia nel 1623, quando Francesco aveva soltanto 26 anni.

Insieme ai nipoti Carlo ed Antonio junior, anch’essi porporati, il cardinal Barberini era a capo di una vera e propria fazione assai potente all’interno del Sacro collegio, ma anche nello Stato della Chiesa, dal momento che tutti e tre ricoprivano ruoli chiave e Francesco nel 1632 era stato insignito pure del titolo do vicecancelliere. Perciò, alla morte di Urbano VIII, i tre cardinali di famiglia tentarono di far eleggere come nuovo pontefice un uomo legato ai Barberini.

Non ci riuscirono ed il nuovo papa Innocenzo X Pamphilj, sebbene avesse avuto il loro appoggio in Conclave, li mise subito sotto inchiesta; anzi, essendo sua intenzione addirittura dichiararli decaduti dalla dignità cardinalizia, cominciò col sequestrare tutti i beni della famiglia. Capì allora Francesco Barberini che sarebbe stato meglio per lui cambiare aria; così con il nipote Antonio junior fuggì a Parigi dove ottenne la protezione del Mazzarino. E fece bene; fu infatti grazie all’opera persuasiva del potente primo ministro francese, nonché cardinale, se ci fu la riappacificazione con il Pamphilj, che alla fine permise il rientro suo e del nipote in Italia.

Papa Alessandro VII Chigi e il suo stemma: senese, figlio di banchieri e amante delle arti, fu a capo della Chiesa dal 1655 al 1667 e affidò importanti commissioni al Bernini, a Pietro da Cortona, a Carlo Maratta e altri maestri
Papa Alessandro VII Chigi e il suo stemma: senese, figlio di banchieri e amante delle arti, fu a capo della Chiesa dal 1655 al 1667 e affidò importanti commissioni al Bernini, a Pietro da Cortona, a Carlo Maratta e altri maestri

Da quel momento, Francesco Barberini, che non era neppure vescovo, abbandonò ogni carica che avesse un qualsiasi peso politico e si dedicò esclusivamente a completare la costruzione del Palazzo Barberini sul Quirinale. Nel frattempo, non trascurava, però, le tante cariche ecclesiastiche che ricopriva e che gli rendevano numerose prebende. Anzi la commendatoria di Farfa e di Grottaferrata rimanevano in cima alla lista delle sue preoccupazioni. Ma era quest’ultima cittadina ad essere continuamente oggetto delle sue attenzioni, come accadde, per esempio, nel 1664, durante il pontificato di Alessandro VII.

Dal momento che papa Chigi, uomo di raffinata cultura, stava valorizzando un’altra perla dei Castelli romani, Ariccia, il cardinal Barberini decise che era venuto il momento di costruire un nuovo altare per la Madonna nell’Abbazia di Grottaferrata; quello vecchio, risalente a quasi un secolo prima, infatti, non rispondeva più ai gusti artistici dell’epoca: si era nel momento più fulgido del Barocco. Pertanto, ordinò di demolirlo e di sostituirlo con una macchina scenografica, figlia del suo tempo, realizzata in modo che inquadrasse l’icona duecentesca, la quale si sarebbe venuta a trovare, sistemata in questo modo, al centro di una splendida composizione, con due angeli adoranti ai lati, che le avrebbero fatto da cornice.

Dei lavori furono incaricati Giovanni Battista Bozolasco, un artigiano di cui abbiamo poche notizie, e Antonio Giorgetti, un allievo del Bernini e che sarà anche l’autore di uno degli angeli marmorei, precisamente quello che regge la spugna, che ornano Ponte Sant’Angelo a Roma. I lavori nella chiesa di Grottaferrata, però, non procedettero così speditamente come si era sperato e ciò perché le finanze del Barberini, pur sostanziose, ad un certo punto sembrava che non potessero più coprire le spese. Ma alla fine la “machina marmorea” della Madonna di Grottaferrata riuscì di un livello artistico così elevato, che si decise di celebrarla addirittura con l’emissione di una medaglia.

La magnifica medaglia (bronzo, mm 77) di Gioacchino Francesco Travani con al dritto il busto del cardinale Francesco Barberini e al rovescio la "macchina d'altare" inaugurata nel 1656 nell'abbazia di Grottaferrata
La magnifica medaglia (bronzo, mm 77) di Gioacchino Francesco Travani con al dritto il busto del cardinale Francesco Barberini e al rovescio la “macchina d’altare” inaugurata nel 1656 nell’abbazia di Grottaferrata

Sul dritto fu inciso il ritratto del cardinale stesso in semplice abito talare, ma con i tratti del volto di un realismo quasi impressionante: basti osservare la curva del naso, i capelli ispidi che sporgono da sotto il berrettino, lo sguardo profondo, l’espressione assorta e decisa, il piglio battagliero. La leggenda, che si snoda attorno al bordo della medaglia, ricorda i suoi titoli: cardinale portuense, cioè titolare della diocesi di Porto e Santa Rufina e, di conseguenza, cardinale sottodecano, nonché vicecancelliere di Santa romana Chiesa.

Sul rovescio della medaglia risalta la raffigurazione del nuovo altare, completamente avulso dall’ambiente architettonico in cui si trova e magnificamente isolato, mentre la leggenda esprime a chiare lettere che si tratta di una “machina” costruita in onore della Vergine, Madre di Dio, di Grottaferrata. Sull’ultimo gradino è posta la data in cui, presumibilmente, fu realizzata la medaglia: MDCLXV, anno, questo, in cui il nuovo altare era ben lungi dall’essere terminato, ma ne erano noti i progetti; pertanto, secondo una prassi comune nel campo della medaglistica, il cardinale volle che l’artista modellatore riproducesse sul tondello metallico proprio quelli.

Splendida medaglia, dunque, che possiamo attribuire ad un noto medaglista romano del Seicento, anche se con un ragionamento un po’ complicato. Esiste un’altra medaglia, che al dritto ha il medesimo ritratto del cardinale Francesco Barberini, mentre al rovescio presenta la complessa allegoria di un sole con faccia umana che sorge dal mare. Orbene, questo stesso rovescio fu modellato da Gioacchino Francesco Travani per una medaglia in onore di Maffeo Barberini, principe di Palestrina, duca di Nocera, conte di Sarno e, tra l’altro, nipote dello stesso cardinale Francesco. Ora, il dritto di questa seconda medaglia è firmato I. F. TRAVANVS, cioè Gioacchino Francesco Travani.

L'interno dell'abbazia di Grottaferrata e, in particolare, lo scenografico altare seicentesco, sono da sempre una delle opere d'arte più note della città laziale: qui, una cartolina d'epoca che ne esalta la bellezza
L’interno dell’abbazia di Grottaferrata e, in particolare, lo scenografico altare seicentesco, sono da sempre una delle opere d’arte più note della città laziale: qui, una cartolina d’epoca che ne esalta la bellezza

Costui era nato a Roma intorno al 1605-1610, e apparteneva ad una famiglia di “medajari” con una bottega officina situata a Roma, in via del Pellegrino, che, come indica il nome, era la strada obbligata che i fedeli dovevano percorrere per recarsi alla Basilica di san Pietro. E ben pochi di essi resistevano alla tentazione di comprare una medaglia a ricordo della visita!

E non solo all’attività privata, tra l’altro molto redditizia, si dedicava Gioacchino Francesco Travani, ma pure a quella “pubblica”: infatti, lo aveva chiamato alla zecca di Roma, per incidere medaglie, lo stesso Alessandro VII. Anzi, il Travani divenne il medaglista preferito di questo papa talmente appassionato di medaglie, che spesso ne forniva egli stesso all’artista i bozzetti disegnati di sua mano. E la fiducia del Pontefice non era certo mal riposta; il Travani, infatti, fu autore di alcune tra le più belle medaglie romane del Seicento.

Eccelleva soprattutto in quelle di soggetto architettonico e la cosa ben si comprende pensando che i disegni glieli fornivano artisti come Gianlorenzo Bernini o Pietro da Cortona. Il suo capolavoro assoluto viene considerato il cosiddetto “Medaglione Jacobacci”, cioè quella celebre medaglia di quasi 98 mm con l’episodio di Androclo ed il leone, che il principe Jacobacci commissionò come omaggio a papa Alessandro VII, che aveva adottato tutte le misure per proteggere i suoi Stati dall’epidemia di peste che allora imperversava in Italia.

Il "Medaglione Jacobacci" modellato dal Travani e fuso nel 1659 (bronzo, mm 97) su disegni di Gianlorenzo Bernini: al ritratto di Alessandro VII abbina una scena mitologica per celebrare la fine della pestilenza a Roma
Il “Medaglione Jacobacci” modellato dal Travani e fuso nel 1659 (bronzo, mm 97) su disegni di Gianlorenzo Bernini: al ritratto di Alessandro VII abbina una scena mitologica per celebrare la fine della pestilenza a Roma

Se il bozzetto è attribuito al Bernini, sul medaglione, ad esso ispirato, il Travani seppe trasfondere la perfetta prospettiva dell’originale, ma arricchendola con i chiaroscuri derivati dal diverso spessore dei rilievi nel metallo. Gioacchino Francesco Travani non lavorò, comunque, soltanto per il papa, ma ebbe pure numoerosi clienti privati tra cui la regina Cristina di Svezia, che dal 1656 si era trasferita a Roma in pianta stabile ed era diventata il vero motore della vita culturale della città.

L’artista si spense nella propria casa in via del Pellegrino nel gennaio del 1675, circa quattro anni prima del cardinale Barberini, che invece andò a raggiungere il suo medaglista il 10 dicembre 1679.

Un’ultima annotazione: Gioacchino aveva sposato, nel 1635, tale Agata Panimella, d’origine “tuscolana”, cioè di Frascati o degli immediati dintorni. I Castelli romani il Travani, è proprio il caso di dirlo, li aveva nel cuore!