È una delle massime rarità del Rinascimento il doppio ducato su cui la scena evangelica del fariseo si abbina al ritratto di Alfonso I d’Este

 

Alfondo I d'Este, duca di Ferrara, ritratto da Tiziano con la mano significativamente poggiata su uno di quei cannoni che rendevano l'artiglieria ferrarese una delle migliori d'Europa
Alfondo I d’Este, duca di Ferrara, ritratto da Tiziano con la mano significativamente poggiata su uno di quei cannoni che rendevano l’artiglieria ferrarese una delle migliori d’Europa

di Roberto Ganganelli | Quando è passata all’asta da NAC Numismatica Ars Classica nel 2013 (Asta 76, lotto 49), questa magnifica moneta ferrarese di esimia rarità partiva da una stima già altissima, 45 mila euro, e alla fine ne ha spuntati ben 52 mila.

Questo, a riprova che i grandi capolavori della monetazione italiana sono sempre ambiti, oltre che ricchi di una storia e di simbolismi spesso ignoti ai più.

Il doppio ducato di Alfonso I d’Este (1505-1534), infatti, con i suoi appena 6,98 grammi d’oro rappresenta un eccezionale esempio di comunicazione politica dal momento che, sul dritto, già ci propone un espressivo busto del duca, barbuto e rivestito di una corazza arabescata, resa con maestria dallo zecchiere e incisore Giannantonio da Foligno. Il ritratto è circondato dall’iscrizione ALFONSVS DVX FERRARIAE III.

Lo stile rinascimentale, maturo e realista nel suo nitore, si ritrova del resto anche al rovescio che raffigura un episodio evangelico e, potremmo dire, “numismatico”, ossia la scena in cui Gesù riceve la moneta del tributo dalle mani del fariseo.

Il doppio ducato riporta la legenda QV[A]E SVNT DEI DEO estratta dal versetto di Matteo (22, 21) “Reddite ergo quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo” (“Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”). Impronta e legenda – ci ricorda Mario Traina nell’opera Il linguaggio delle monete – alludono alla chiarezza e correttezza dei rapporti instaurati e sempre mantenuti da Alfonso con i suoi sudditi.

Il fiore che si scorge nel campo ricorda probabilmente l’onorificenza della rosa d’oro che papa Giulio II concesse ad Alfonso I d’Este nel 1508. Il più antico donativo della rosa d’oro risulta essere quello che papa Urbano II fece a Fulcone, signore di Fulcone, conte d’Angiò e d’Angers, nel 1096. La ricevettero poi, fra gli altri, Enrico VIII re d’Inghilterra, il conte Amedeo VI di Savoia nel 1364, per aver riconquistato Gallipoli, Federico il Savio elettore di Sassonia, la Serenissima Repubblica di Lucca e Ludovico III Gonzaga, marchese di Mantova, per aver ospitato nel 1459 il Concilio nella sua città.

Il doppio ducato ferrarese con Gesù che riceve la moneta del tributo dal fariseo illustrato nel volume di Vincenzo Bellini "Delle monete di Ferrara" del 1761 (p. 191)
Il doppio ducato ferrarese con Gesù che riceve la moneta del tributo dal fariseo illustrato nel volume di Vincenzo Bellini “Delle monete di Ferrara” del 1761 (p. 191)

Del doppio ducato “del fariseo” è nota anche la variante con ritratto imberbe del duca Alfonso; con lo stesso soggetto, inoltre, vennero coniati sia il quarto (o testone, 15 soldi secondo Lorenzo Bellesia) e il 5 soldi mancante nel Corpus e pubblicato proprio da Bellesia nel suo volume del 2000.