Vari furono i passaggi di Garibaldi in Maremma, tanto da fargli meritare l’affetto della gente, un monumento e una medaglia nel 1887

 

di Riccardo Martina | Il rapporto tra la Maremma e Giuseppe Garibaldi è sempre stato speciale. Le radici di questo legame, ancora oggi inalterato nonostante il trascorrere del tempo, risalgono alle due tappe maremmane dell’epopea garibaldina, nel 1849 a Scarlino e nel 1860 a Talamone, dove il Generale trovò sempre una fervida accoglienza, un ricovero sicuro e un valido supporto. Ripercorriamo, a grandi linee, i due eventi.

Garibaldi a Scarlino

Fig. 1: Palazzo Guelfi a Scarlino | Fig. 2: Cala Martina
Fig. 1: Palazzo Guelfi a Scarlino | Fig. 2: Cala Martina

Dopo il tragico epilogo dell’effimera Repubblica Romana, Garibaldi e il fidato amico Giovan Battista Culiolo, detto Leggero, in fuga da Modigliana (FC) e braccati dalla gendarmeria austriaca e pontificia, il 25 agosto 1849 – tre settimane dopo la morte di Anita – giunsero sul suolo toscano, a Montecuccoli. Da qui ebbe inizio la cosiddetta “trafila” attraverso i territori di Prato, Poggibonsi, Volterra, Colle Val d’Elsa, Pomarance, Monterotondo Marittimo, Massa Marittima e Gavorrano, fino alla notte tra il primo e il due settembre 1849, quando i due fuggiaschi giunsero a Scarlino. Qui furono ospitati nel palazzo di campagna (fig.1) di Angiolo Guelfi, facoltoso proprietario terriero, repubblicano e patriota di convinta fede. Garibaldi e Leggero alloggiarono al primo piano dell’abitazione ove, in un salottino, venne preparato del caffè caldo. Alle due e mezza della notte fu consigliato al Generale di riposare un po’, prima di affrontare l’ultimo tragitto verso il mare. I due ospiti entrarono dunque nella camera a fianco del salotto padronale e Garibaldi si gettò sul letto. Leggero si sistemò su un altro lettino lì accanto. Lo stesso Guelfi si prodigò ad organizzare il proseguimento della fuga: alle quattro del mattino i due vennero svegliati e alle cinque, accompagnati dai patrioti scarlinesi, partirono da Casa Guelfi e, a piedi, giunsero a Cala Martina (fig. 2), amena insenatura tra Follonica e Punta Ala, dove si imbarcarono alle dieci del 2 settembre sulla tartana del capitano marittimo Paolo Azzarini di S. Terenzo (SP). Dopo tre giorni, compresa una breve sosta all’Isola d’Elba, Garibaldi e il suo compagno approdarono finalmente sani e salvi a Porto Venere, in Liguria, nel territorio del Regno di Sardegna.

Fig. 3: monumento a Garibaldi a Cala Martina | Fig. 4: Porta Garibaldi a Talamone | Fig. 5: lapiede e monumento all'eroe in Piazza Garilbaldi a Talamone
Fig. 3: monumento a Garibaldi a Cala Martina | Fig. 4: Porta Garibaldi a Talamone | Fig. 5: lapiede e monumento all’eroe in Piazza Garilbaldi a Talamone

Palazzo Guelfi fu dichiarato monumento nazionale da Vittorio Emanuele III il 20 ottobre 1942 ed è rimasto tale e quale fino alla morte di Luigi Socini Guelfi, proprietario e ultimo della famiglia Guelfi ad aver mantenuto intatto l’immobile e il suo contenuto, con fedeltà e rispetto verso i valori risorgimentali dei propri avi.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 2008 all’età di quasi 102 anni, ha avuto inizio – per opera degli eredi – il progressivo svuotamento dei cimeli storici ivi conservati, compresi il letto, i comodini, la specchiera e altri arredi. Fino ad allora, tutto era stato conservato come all’epoca: per la precisione, mancava solo il mezzo sigaro toscano che Garibaldi fumò prima di addormentarsi. Sparì, letteralmente in una nuvola di fumo, nei tragici mesi che seguirono l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Ancora oggi una lapide marmorea, sopra il portone d’ingresso del palazzo, ricorda l’avvenimento: “Ovunque cercato a morte Giuseppe Garibaldi la notte dell’1 al 2 settembre 1849 sotto questo tetto ospitale di Angelo Guelfi poche ore posò – a storico ricordo del fortunato evento ad onore dei generosi che sfidarono la morte salvarono la vita all’eroe il Municipio di Gavorrano pose questa memoria il II settembre MDCCCLXXXII”. A Cala Martina, a poca distanza dalla spiaggia, un monumento, realizzato nel 1949 dallo scultore Tolomeo Faccendi (fig. 3) rammenta ai turisti il luogo del fortunato imbarco.

Il generale a Talamone

Il nome di Talamone rimanda invece al notissimo episodio della sosta dei Mille nel loro viaggio da Quarto a Marsala a bordo dei due vapori Piemonte e Lombardo. Il porticciolo toscano fu scelto quale scalo dove potersi rifornire di armi e munizioni e far sbarcare un distaccamento di circa sessanta volontari guidato da Callimaco Zambianchi, con il compito di effettuare una diversione entro i confini dello Stato Pontificio. Le cronache raccontano che a bordo dei piroscafi era stato imbarcato qualche migliaio di fucili ma nessuna cartuccia. Saltato per motivi oscuri un appuntamento in mare con alcuni contrabbandieri, scartate le opzioni di cercare appoggio e munizioni all’isola d’Elba, su suggerimento del maremmano Giuseppe Bandi si decise di far tappa a Talamone per i seguenti motivi: la vicina piazzaforte di Orbetello era ben provvista di armi e munizioni, nell’antistante scalo di Porto Santo Stefano si trovava un deposito di carbone e, infine, non era lontano il confine dello Stato Pontificio, obbiettivo della “diversione” ideata da Garibaldi.

Fig. 6: bando per la sottoscrizione del monumento a Garibaldi (per gentile concessione G. Damiani) | Fig. 7: busto dell'eroe (per gentile concessione M. Regina)
Fig. 6: bando per la sottoscrizione del monumento a Garibaldi (per gentile concessione G. Damiani) | Fig. 7: busto dell’eroe (per gentile concessione M. Regina)

All’approssimarsi della costa, all’alba del 7 maggio, Garibaldi indossò l’uniforme da generale dell’esercito Sardo e fece innalzare sulla nave la bandiera sabauda, suscitando il malumore di alcuni volontari ferventi mazziniani che di lì a poco abbandoneranno la spedizione. In tal guisa si presentò ai due ufficiali portuali che salirono a bordo del Piemonte: li mise al corrente della missione segreta in corso, ordinata direttamente dal re Vittorio Emanuele II e chiese di ricevere supporto di viveri e munizioni.

I due ufficiali, rassicurati dalle parole di Garibaldi, invitarono il Generale a sbarcare in paese, all’epoca povero e abitato da circa trecento persone. Garibaldi fu ospitato dal comandante del Forte, Salvatore De Labar, nella sua casa nella piazzetta del paese, dove trascorse anche l’unica notte a terra. Il fido Stefano Türr partì subito per Orbetello, recando una lettera scritta dal Bandi per il colonnello Giorgio Giorgini, comandante della guarnigione, allo scopo di convincerlo a fornire supporto alla spedizione. Nel primo pomeriggio sbarcarono a terra anche tutti i volontari. Il Generale approfittò della sosta per inquadrare i Mille in compagnie, nominare gli ufficiali e i sottufficiali e insegnare i primi rudimenti disciplinari e militari.

Fig. 7: basamento del monumento (per gentile concessione M. Regina) | Fig. 8: busto e lapide in marmo nella loro collocazione definitiva
Fig. 7: basamento del monumento (per gentile concessione M. Regina) | Fig. 8: busto e lapide in marmo nella loro collocazione definitiva

Nel tardo pomeriggio rientrò da Orbetello Türr accompagnato da Giorgini e dal maggiore dei bersaglieri Macedonio Pinelli, raggiunti successivamente anche dal gonfaloniere della città: le autorità avrebbero fornito quanto chiesto, chiedendo in cambio la rassicurazione che nulla sarebbe stato intentato contro lo Stato Pontificio. Nel frattempo, si verificarono alcuni tafferugli tra le camicie rosse e la popolazione, a causa di alcune intemperanze che gli ufficiali non riuscirono a sedare. Alla fine, per placare gli animi e riportare la calma in paese, dovette intervenire direttamente Garibaldi che ordinò ai suoi di tornare tutti subito a bordo.

Il giorno seguente il Nizzardo visitò il castello di Talamone e scelse un cannone e una colubrina del ‘600. Da Orbetello arrivarono due pezzi di artiglieria da campagna unitamente a numerose casse di polvere da sparo e cartucce. Nel pomeriggio furono imbarcati viveri, rifornimenti vari e le ultime armi e la sera Zambianchi e i suoi lasciarono Talamone per iniziare la loro spedizione verso Perugia e lo Stato Pontificio. La mattina del 9 maggio salparono alla volta di Porto Santo Stefano per “fare il pieno” di carbone e di acqua necessari ad arrivare in Sicilia. La sosta nell’ex Stato dei Presìdi fu dunque fondamentale per il felice esito della spedizione dei Mille e i primi scontri in terra siciliana furono sostenuti e vinti grazie anche alle armi “maremmane”.

Tre sono i memoriali che ricordano ai visitatori della rinomata località balneare, il passaggio di Garibaldi a Talamone: la porta di accesso lungo la cinta muraria, sul cui architrave è scritto PORTA GARIBALDI (fig. 4), la piazza del paese (fig. 5), a lui intitolata, con il monumento – costituito da un busto in bronzo del Generale posto sopra un basamento parallelepipedo – che riporta la dedica A GARIBALDI IL POPOLO DI TALAMONE 1860-1960 e, infine, sempre sulla piazza, una lapide murata sulla facciata della casa che accolse l’illustre ospite, la cui epigrafe recita “Giuseppe Garibaldi proveniente da Quarto sostò in questa casa dal giorno sette al mattino del nove maggio MDCCCLX per ordinare la spedizione Zambianchi entro i domini papali e requisire all’impresa di Sicilia le armi rinvenute a Talamone ed Orbetello accrescendo intanto le sue schiere degli animosi maremmani che si offrivano pronti ancora al cimento – L’Associazione fra i reduci delle patrie battaglie in Grosseto pose a di XXX giugno MCMVII affinché queste mura sacre alla Storia attestino realtà ciò che pare leggenda l’Amministrazione Comunale nell’agosto 1950 deliberava di ripristinare la stessa lapide andata distrutta per gli eventi bellici del 1944 a perenne memoria dell’epica impresa”.

Il monumento a Garibaldi a Orbetello

Il 2 giugno 1882 Giuseppe Garibaldi moriva a Caprera e il cordoglio di una Nazione intera si concretizzò, negli anni seguenti, con una vera e propria gara fra i vari municipi italiani a realizzare e dedicare all’Eroe dei Due Mondi un monumento celebrativo. Anche a Orbetello, il 6 giugno 1882, a soli quattro giorni dalla morte, la Società Operaia di Orbetello stanziò 200 lire e aprì una pubblica sottoscrizione per erigere nella cittadina lagunare un monumento dedicato all’Eroe dei due mondi (fig. 6).

La raccolta dovette però andare per le lunghe, considerato che il monumento fu inaugurato solo cinque anni dopo. Tuttavia, la sottoscrizione ebbe alfine un esito assai soddisfacente tanto che le 1500 lire raccolte furono sufficienti non solo a “innalzare a Garibaldi una statua”, ma anche “a Mazzini una lapide commemorativa”. Per la realizzazione del busto fu conferito l’incarico allo scultore Ettore Ferrari [1] che, dopo aver presentato al Comitato Promotore alcuni bozzetti, terminò e consegnò l’opera nella tarda primavera del 1886. Lo scultore, per realizzare questo lavoro, distaccandosi dal suo stile abituale, sottopose al monumentale busto scolpito nel marmo bianco di Carrara (fig. 7) una composizione allegorica in bronzo nella quale l’alloro simbolo dell’immortalità si frammischiava alle armi, alle bandiere, ai vessilli e ai tipici simboli repubblicani.

Fig. 10: sotto il monumento è visibile la lapide bronzea e, sulla destra, la fontana rimossa nel 1926 | Fig. 11: Il palazzo come appare oggi dopo il restauro del 2015 con la riapertura dell’arco centrale
Fig. 10: sotto il monumento è visibile la lapide bronzea e, sulla destra, la fontana rimossa nel 1926 | Fig. 11: Il palazzo come appare oggi dopo il restauro del 2015 con la riapertura dell’arco centrale

Durante il recente restauro è stato possibile visionare e apprezzare nel dettaglio i particolari del trofeo allegorico [2] (fig. 8): oltre alle armi e alle bandiere è stato identificato anche un fascio repubblicano, in ricordo della Repubblica Romana del 1849 e un’ancora, probabile richiamo agli inizi della carriera militare di Garibaldi come ufficiale nella Marina del Regno di Sardegna. Su una delle bandiere bronzee fu scritta l’epigrafe dettata per l’occasione da Giosuè Carducci: “A Giuseppe Garibaldi la Maremma che lo scampò lo seguitò e giura compiere gli ultimi mandati la gloria dell’eroe si eterna nell’avvenire della patria e del genere umano o posteri vi salutiamo”. Completava la composizione dell’opera una lapide di marmo bianco con l’iscrizione SCARLINO / 2 SETTEMBRE 1849 / TALAMONE / 7 MAGGIO 1860 tra due corone di bronzo, a ricordo delle due tappe dell’epopea garibaldina sulle coste maremmane (fig. 9).

La lapide a Mazzini fu commissionata alla ditta Nelli di Firenze e fu realizzata in bronzo mentre per l’iscrizione fu lo stesso Ettore Ferrari a chiedere ad Aurelio Saffi di idearne e suggerirne la composizione che presenta al centro uno scritto di Giovanni Bovio e sui lati un motto mazziniano [3].

Per la degna collocazione delle due opere, il Comune individuò il parapetto della terrazza del Palazzo delle Logge, detto il Padiglione, residenza dei Viceré al tempo della dominazione spagnola, affacciata sull’allora Piazza dell’Indipendenza (fig. 10). Per consentire l’apposizione della lapide a Mazzini e allo scopo di rinforzare la struttura architettonica del sottostante porticato che avrebbe dovuto sostenere il busto marmoreo e il basamento bronzeo, il consiglio comunale il 24 marzo 1885 votò all’unanimità la chiusura dell’arco centrale. Durante il periodo fascista la lapide bronzea fu donata alla patria e sostituita da una copia in marmo bianco (vd. fig. 9). Nel 2015, con la riapertura dell’arco centrale del porticato (fig. 11), la targa marmorea fu rimossa e collocata sulla facciata esterna del Palazzo Comunale.

Finalmente, il 13 maggio 1887, durante le tradizionali feste di maggio, con una solenne cerimonia, nel tripudio di una piazza gremita da una folla festante, avvenne l’inaugurazione del monumento e della lapide (figg. 12 e 13). Contestualmente, con un atto notarile, la Società Operaia di Orbetello cedeva gratuitamente al Comune le due opere.

Fig. 12: la piazza vestita a festa e gremita nel giorno dell’inaugurazione (da da Passalalpi Ferrari 1990) | Fig. 13: inquadratura della parte opposta della piazza e Corso Principe Amedeo (per gentile concessione di M. Regina)
Per l’occasione, fu coniata una medaglia raffigurante al dritto il busto di Garibaldi e in legenda i riferimenti dei due passaggi maremmani dell’Eroe e al rovescio il luogo e la data dell’inaugurazione del monumento.

La medaglia di Orbetello per Garibaldi

Metallo: Bronzo. Dimatro mm 32. Peso g 14. Opus: anonimo. Produzione: Johnson Milano (?). Riferimenti bibliografici: Romussi n. 147, Sarti n. 158, Von Heyden n. 1184, Albertario-Martini-Vismara n. 148, Brambilla p. 465, Platt p. 139, Calci n. 141.

D/ Busto di Garibaldi di profilo a destra entro corona di palma e quercia. Nella metà inferiore, a contorno, SCARLINO 1849 TALAMONE 1860. R/ Entro corona di alloro e quercia, su tre righe ORBETELLO 13 MAGGIO 1887. Maglietta regolare con contro-anello. Nastro: tricolore (Von Heyden), blu e rosso (Calci).

Fig. 14: la medaglia garibaldina del 1887 (collezione privata)
Fig. 14: la medaglia garibaldina del 1887 (collezione privata)

Un’attenzione particolare merita l’iconografia del busto di Garibaldi rappresentato su questa medaglia (fig. 14) per la quale ci avvaliamo della classificazione e dalle considerazioni illustrate da Nicola Vismara (2008). Dopo aver passato in rassegna le diverse varianti dei volti a capo scoperto del Generale raffigurati sulle medaglie, l’autore si sofferma sulla rappresentazione di Garibaldi con le spalle coperte da un mantello – con la pettorina dotata di grossi bottoni con un’ampia falda ripiegata sul braccio – e a capo coperto, con un berretto di ridotte dimensioni con le falde rialzate: in questa tipologia ricade la nostra medaglia. Come prima considerazione, si può notare che il cappello sottrae spazio campale all’incisione della testa, la quale risulta pertanto meno rilevata. Inoltre, il modello introdotto nell’immagine medaglistica del Generale in questi anni (nessuna di questa tipologia di medaglie è anteriore al 1884) segna una visione orami avulsa da precise connotazioni temporali: la composizione dei volumi e il trattamento della barba e dei capelli, fluenti tali da obliare i segni – non solo fisici – del trascorrere del tempo, si riflette anche sulla foggia dell’abbigliamento.

Fig. 15: una foto in cui Garibaldi indossa lo stesso copricapo che ha nella medaglia (da Vismara 2008) | Fig. 16: uno dei francobolli italiani del 1910 con effigie dell'eroe
Fig. 15: una foto in cui Garibaldi indossa lo stesso copricapo che ha nella medaglia (da Vismara 2008) | Fig. 16: uno dei francobolli italiani del 1910 con effigie dell’eroe

La fonte iconografica presa a riferimento dall’incisore rimanda a una delle fotografie analoghe a quella scattata a Livorno nello studio di C. N. Bettini (fig. 15), nelle quali è possibile riconoscere il mantello indossato dall’Eroe, con l’abituale “risguardo” formato dall’ampiezza riportata sulla spalla e il colletto ben evidenziato. Tuttavia, le linee morbide che vengono attribuite alla veste, richiamano in maniera puntuale i tessuti, più leggeri, con i quali erano realizzate le famose camicie rosse.

L’indumento viene perciò a collocarsi a guisa di compromesso iconografico tra il mantello “istituzionale” e la camicia rossa “rivoluzionaria”, espressione quest’ultima stemperata anche dall’assenza del fazzoletto al collo. I prototipi conobbero un grandissimo successo, come dimostra il numero di occasioni nelle quali i committenti ne fecero richiesta, verosimilmente alla ditta Johnson, oltre all’impiego di un’immagine similare per il francobollo stampato nel 1910 dalle Regie Poste (fig. 16) in occasione del 50° del plebiscito meridionale.

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento a Mario Regina, Giovanni Damiani e al gruppo Facebook “Orbetello, amarcord…!” per la concessione delle immagini e i preziosi spunti forniti.

Bibliografia e sitografia

  • ALBERTARIO M. – MARTINI R. – VISMARA N. 2008, Materiali Garibaldini nelle collezioni dell’Accademia Tadini, Milano.
  • CALCI C. 2021, Medaglie e onorificenze del 1860-1861 nel processo di unificazione nazionale fino al cinquantenario del 1911, Roma.
  • PASSALALPI FERRARI E. (a cura di) 1990, Ettore Ferrari. Arte e ideali, Roma.
  • PLATT J. 2018, “Here we make Italy or we die” The medals of Giuseppe Garibaldi, the Risorgimento and modern Italy, London(UK).
  • ROMUSSI C. 1905, Garibaldi nelle medaglie del Museo del Risorgimento in Milano, Milano.
  • SARTI F. 1938, Garibaldi nelle medaglie. Saggio di un catalogo generale, Castel San Pietro dell’Emilia.
  • VON HEYDEN H. 1998, Segni d’onore e distintivi del Regno d’Italia e degli ex Stati italiani, Bologna.
  • www.facebook.com/groups/orbetelloamarcord
  • www.numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-ME593/244
  • www.treccani.it/enciclopedia/ettore-ferrari_%28Dizionario-Biografico%29/
  • www.regione.toscana.it/-/itinerari-garibaldini-in-toscana-e-dintorni-1848-18-1

Note al testo

[1] Ettore Ferrari (1845-1929). Scultore, pittore, uomo politico, faro culturale, gran maestro della Massoneria, svariò in molteplici campi sia sociali che artistici. Disseminò i suoi monumenti in svariate città d’Italia (Venezia, Pisa, Rovigo, catania, Pesaro, Milano, Roma solo per citarne alcune) e dell’intero pianeta (Bucarest, San Pietroburgo, Costanza, Filadelfia, Alessandria d’Egitto, New York, Caracas). Fece parte del gruppo pittorico dei “XXV della Campagna Romana”. Sue opere sono conservate al Metropolitan Museum di New York e nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

[2] Tale particolare tipologia architettonica fu ripresa dall’artista dieci anni più tardi per la scultura dedicata a Giuseppe Avezzana – l’eroico ufficiale difensore della Repubblica Romana – con la variante che l’allegoria a basamento dell’erma fu ricavata dal meno pregiato ferro.

[3] Ai quattro lati, in senso orario, i motti “Pensiero e Azione”, “Consilio a Dio”, “Fede e Avvenire” e “Doveri dell’Uomo”. Al centro il testo recita: “Atti della Repub. Rom. MDCCCLXXXV In picciol corso re dogmi eserciti sparvero innanzi a noi restarono monumenti dell’ideale l’Italia il popolo il dovere ed un nome che da Staglieno manda gli auspici. G. Bovio”.