Una riforma monetaria senza successo | Salari, monete e prezzi ad inizio IV secolo | L’andamento del prezzo dell’oro

 

di Antonio Castellani | Pochi giorni fa, parlando con un amico dei rincari selvaggi di alcuni presidi sanitari attuati da venditori senza scrupoli con l’emergenza Covid-19, mi è tornato in mente come – oltre diciassette secoli fa – neppure un imperatore potente come Diocleziano (244-313, sul trono dal 284) sia riuscito, ai suoi tempi, a calmierare i costi delle merci.

Anno 301, istantanea di un Impero

Correva l’anno 301 dopo Cristo, l’Impero romano si estendeva dalla Penisola iberica all’intero Nord Africa fino all’Asia Minore e, a nord, a Gallia e Britannia; dal 293 questa enorme estensione era retta in forma di tetrarchia, con una Pars Occidentalis ed una Pars Orientalis rette entrambe da un augusto e da un cesare.

La suddivisione tetrarchica dell'Impero romano sancita nel 293 e che sarebbe rimasta immutata fino al 305: in ciascuna delle due parti un augusto e un cesare per reggere le "dioceses" amministrative
La suddivisione tetrarchica dell’Impero romano sancita nel 293 e che sarebbe rimasta immutata fino al 305: in ciascuna delle due parti un augusto e un cesare per reggere le “dioceses” amministrative

A occidente Massimiano con Costanzo Cloro, ad Oriente lo stesso Diocleziano e Galerio tentavano di governare un territorio vastissimo e abitato da popolazioni non sempre così assimilate al modello romano né facilmente controllabili, sia sotto il profilo sociale e militare sia dal punto di vista economico.

Ed è proprio nel campo dei commerci che, negli anni di Diocleziano e della prima tertrarchia, si fece più pressante un’esigenza, ossia quella di riagganciare monete e prezzi delle merci e, parallelamente, di colpire quanti cercassero di trarre illeciti guadagni da questi aumenti prestando, ad esempio, il denaro a tassi opprimenti e rovinosi.

L’editto sui prezzi massimi e i salari

Nacque così, e venne promulgato tra novembre e dicembre del 301, il celebre editto di Diocleziano – Edictum De Pretiis Rerum Venalium – il cui testo rappresenta una delle fonti più significative per lo studio dell’economia e della monetazione del periodo.

Ricostruito quasi per intero sulla base di 132 frammenti recuperati – il primo nel 1709 – in varie città site soprattutto nella Pars Orientalis, l’editto era redatto il latino e greco, le due lingue fondamentali dell’Impero, e stabiliva i prezzi oltre i quali non era consentito andare in merito a numerosissime merci, senza escludere la possibilità che in alcune regioni o periodi dell’annosi potesse godere anche del beneficio di prezzi più bassi.

Il frammento più consistente conservatosi dell'editto di Diocleziano su prezzi e monete esposto al Pergamonmuseum di Berlino
Il frammento più consistente conservatosi dell’editto di Diocleziano su prezzi e monete esposto al Pergamonmuseum di Berlino

L’editto era suddiviso in 32 sezioni e le categorie merceologiche spaziavano dai generi alimentari (carni, granaglie, vino, birra, salsicce e altro) ai capi d’abbigliamento (calzari, mantelli, stoffe), fino alle spese di trasporto per i viaggi in mare e ai salari settimanali di numerose categorie di lavoratori.

Parlando di monete e prezzi va sottolineato come il record indicato nell’editto è quello stabilito per una libbra di seta colorata con la porpora, che non poteva esser venduta a più 150.000 denari (lo stesso prezzo di un leone!).

Per i contravventori era prevista la pena capitale e, con questo provvedimento calmiere, l’imperatore tentò di riequilibrare l’economia e favorire la pace sociale ma, nemmeno a dirlo, si scontrò con l’opposizione dei mercanti e non sortì mai gli effetti sperati tanto che, rimasto in molte regioni lettera morta, venne revocato.

Edilizia e alimentazione nell’editto di Diocleziano

A titolo di esempio ci piace mettere in evidenza alcuni prezzi e salari definiti nel provvedimento imperiale del 301 e legati al settore alimentare e all’attività delle costruzioni.

Trenta libbre di sale, circa 10 chili, vedono stabilito un prezzo massimo di 76 denari, mentre la stessa quantità di grano ha un prezzo limite di 81 denari; ceci e lenticchie, diffusissime come fonte proteica, non più di 10 denari per tre libbre (circa un chilo); due polli o dieci tordi 60 denari; dieci uova non più di 10 denari.

L'editto di Diocleziano fissava un prezzo massimo di 10 denari per un cestino di 25 fichi, lo stesso prezzo di 10 pesche di prima scelta
L’editto di Diocleziano fissava un prezzo massimo di 10 denari per un cestino di 25 fichi, lo stesso prezzo di 10 pesche di prima scelta

E ancora: se il vino comune ha un prezzo limite di 16 denari ogni due sestari (circa un litro) il celebrato falerno può arrivare a 60 denari; tre libbre di sardine un massimo di 48 denari, la stessa quantità di pesce di scoglio fino a 72 denari.

La frutta, infine: per dieci pesche di prima scelta o per venticinque fichi il prezzo massimo decretato è di 4 denari.

Per quanto riguarda i materiali da costruzione, sappiamo invece che un mattone da un piede costa 4 denari, un piede cubico di buon marmo 40 denari e un’asse di legno grezza ben 200 denari.

Il provvedimento imperiale del 301 si sofferma su prezzi e salari relativi al settore edilizio, uno dei più importanti nell'economia e nella vita quotidiana dell'Impero romano
Il provvedimento imperiale del 301 si sofferma su prezzi e salari relativi al settore edilizio, uno dei più importanti nell’economia e nella vita quotidiana dell’Impero romano

Un’idea del rapporto con i salari – anche questi imposti dall’editto imperiale, vitto incluso – si ha ancora dal settore dell’edilizia dove un operaio che fabbrica mattoni viene pagato 2 denari ogni quattro mattoni crudi (da cuocere in fornace) oppure ogni otto mattoni da cuocere al sole.

Un muratore o un carpentiere percepiscono 50 denari al giorno più il vitto, un marmista 60 denari come un mosaicista su parete; un mosaicista su pavimento, il cui lavoro è un po’ meno complesso, è invece assimilato ad un muratore a 50 denari.

E se un pittore di rappresentazioni figurate guadagna il vitto più 150 denari al dì, portatori d’acqua e fognaioli devono accontentarsi di appena 25 denari quotidiani più un vitto che, c’è da scommetterci, non è di certo quello dell’artista decoratore…

Una riforma monetaria senza successo

Quali monete e prezzi troviamo nell’editto di Diocleziano? Tutto viene riferito allo storico denario in argento di 4,5 grammi (1/72 di libbra romana), che l’imperatore aveva sperato di sostituire con un nuovo sistema basato sull’argenteo e sulle sue frazioni per riordinare la monetazione ormai confusa e attaccata dalla svalutazione.

Un magnifico aureo di Diocleziano coniato nella zecca di Cizico nel periodo 284-286 (g 4,53 per mm 19)
Un magnifico aureo di Diocleziano coniato nella zecca di Cizico nel periodo 284-286 (g 4,53 per mm 19)

L’argenteo o nummus argenteus, corrispondente a cento denari, pesava 3,41 grammi mentre il nummus aureus corrispondeva a 5,45 grammi di biondo metallo pari a 1200 denari. Vi erano poi le misture e il bronzo.

Le due monete “forti” del sistema, tuttavia, anche se mantennero il loro valore durante il regno di Diocleziano, furono coniate raramente e in piccole quantità, non riuscendo così a far sentire i propri effetti stabilizzatori sull’inflazione.

Argenteo del 294-295 battuto con ritratto di Diocleziano nella zecca di Siscia (g 3,07 per mm 18)
Argenteo del 294-295 battuto con ritratto di Diocleziano nella zecca di Siscia (g 3,07 per mm 18)

Viceversa, la massa enorme di nuove monete in mistura e bronzo favorì l’aumento del costo della vita e così Diocleziano si trovò nella necessità di promulgare un editto anche sul valore delle monete, il cosiddetto editto di Afrodisiade (sempre nel 301) raddoppiandone il valore.

La paralisi dell’economia romana

Nonostante questo provvedimento e quello sui prezzi nell’Impero si verificò un vero e proprio corto circuito monetario ed economico: i mercanti smisero di produrre le merci, esplose il fenomeno del mercato nero e, in molti casi, si tornò all’antica pratica del baratto.

Gli affari e i commerci subirono una paralisi dato che le manifatture non erano più in grado di produrre a costi accettabili e i mercanti di commercializzare secondo quanto stabilito dall’editto imperiale.

Un bel follis in bronzo di ampio modulo battuto a Treviri nel 303-305 (g 8,81 per mm 27)
Un bel follis in bronzo di ampio modulo battuto a Treviri nel 303-305 (g 8,81 per mm 27)

Inoltre coloro che avevano stipendi fissi (in particolare le decine di migliaia di soldati dislocati in tutte le province) si trovarono nella situazione di avere un salario aumentato ma non senza potere d’acquisto, poiché i prezzi decretati non riflettevano quelli reali, assai più alti.

Alla fine del regno di Diocleziano, nel 305, l’editto era già di fatto ignorato e l’economia più grande dell’epoca non si sarebbe stabilizzata fino alla riforma monetaria di Costantino il Grande.

La libbra d’oro e il nummo aureo, valori a confronto

Molto interessante è osservare, infine, come mutarono in un quarto di secolo, dall’anno 300 al 324, il valore in denari del nummus aureus e il prezzo di una libbra d’oro (g 327,45).

Si assiste inizialmente ad un’impennata: una libbra d’oro raddoppia infatti, dal 300 al 301, passando da 60 a 120 mila denari e un aureo, per conseguenza, da 1000 a 2000 denari.

Il ritratto radiato distingue l'antoniniano: questo è del 290-292 e coniato a Lione (g 3,77 per mm 22,5)
Il ritratto radiato distingue l’antoniniano: questo è del 290-292 e coniato a Lione (g 3,77 per mm 22,5)

L’editto di Afrodisiade ristabilisce a fine 301 un valore della moneta d’oro a 1200 denari e quindi il prezzo di una libbra di biondo metallo a 72 mila denari. Fra il 302 e il 303, tuttavia, la svalutazione fa ricrescere a 96 mila denari il prezzo della libbra d’oro e, per conseguenza, aumenta a 1600 denari il valore di una moneta aurea.

La crescita si conferma in seguito fino ad arrivare, nel 324, ad un prezzo dell’oro per libbra di circa 313.500 denari con il conio aureo che arriva ad equivalere a circa 4350 denari. Specchio di come gli editti di Diocleziano su monete e prezzi non furono che una diga d’argilla di fronte all’onda dell’inflazione, specchio peraltro – quest’ultima – di un sistema di potere ormai lontano dai fasti della gloria.