È il grosso tornese di Luigi IX che, pio e devoto, trovò la morte nella crociata del 1270 e lasciò all’Europa una moneta di grande successo
di Enrico Piras | Il turista in visita a Roma ha soltanto l’imbarazzo della scelta fra i tesori artistici che la nostra capitale offre. Operare una selezione è sempre penoso, ma fra le mete irrinunciabili io porrei senz’altro la Chiesa di san Luigi dei Francesi. Sita nella piazza omonima, non lontano da Via del Corso e costruita nel Cinquecento, essa ospita tre favolosi dipinti del Caravaggio, fra cui la celeberrima Vocazione di San Matteo.
Che cosa ha a che fare tutto questo con la numismatica? La moneta di cui parleremo, il grosso tornese, venne fatta coniare proprio dal san Luigi a cui la chiesa è intitolata, al secolo Luigi IX, figlio di Luigi VIII re di Francia e a sua volta sovrano d’oltralpe dal 1226 al 1270. Un regno molto lungo, come si vede, e ricco di avvenimenti significativi.
Nato nel 1215 (o, secondo altre fonti, nel 1214) e salito al trono ad appena dodici anni, Luigi dovette aspettare sino alla maggiore età per tenere le redini del suo impero. Nel frattempo la reggenza fu assunta da sua madre, Bianca di Castiglia, che comunque gestì il potere con notevole abilità, gettando le basi per la futura grandezza del regno del figlio.
Costretto a fronteggiare gravi disordini interni (molti feudatari francesi, già ostili alla “straniera” regina madre, si erano alleati col re d’Inghilterra Enrico III), il re francese seppe governare con fermezza e al tempo stesso con equilibrio, guadagnandosi in breve la nomea di sovrano illuminato e di alto profilo morale. Fautore di importanti riforme legislative e giudiziarie, nonché instancabile promotore culturale (si deve a lui la fondazione, nel 1257, della Sorbona, inizialmente un collegio teologico), Luigi IX dovette però la sua popolarità presso la gente comune alla fama di santità che lo circondò ancora in vita.
Uomo effettivamente pio e di profonda fede, anche se non ciecamente accondiscendente nei confronti della Chiesa e anzi pronto talvolta a frenarne le ingerenze temporali, condivideva con il popolo una religiosità semplice e intrisa di devozione, che si manifestava per esempio nella ricerca di reliquie (famoso il caso della presunta corona di spine che cinse il capo di Gesù sulla Croce, che fece arrivare da Bisanzio via Venezia e per la quale spese somme ingenti).
È in tale contesto che va inquadrata la partecipazione di Luigi IX a ben due crociate: è verosimile che tale scelta non sia stata guidata da mero calcolo politico (in entrambi i casi egli fu l’unico sovrano d’Europa a rispondere all’appello del papa: impegnarsi nelle crociate non conveniva più), ma ispirata da autentica fede. Fede che, beninteso, non evitò che le spedizioni in Terrasanta di Luigi avessero esiti disastrosi.
La prima crociata, iniziata nel 1248, ebbe una brusca battuta d’arresto nel 1250, con la battaglia di al-Mansourah, durante la quale Luigi perse il fratello Roberto d’Artois e cadde egli stesso prigioniero. Liberato dietro il pagamento di un forte riscatto, il re di Francia poté far ritorno al suo regno solo nel 1257. La seconda crociata, nel 1270, fu addirittura fatale a Luigi IX: colpito dalla peste (o, secondo fonti più recenti, dalla dissenteria causata dall’utilizzo di acque infette), morì subito dopo lo sbarco a Tunisi, prima ancora di combattere.
Il suo corpo, come si usava allora, fu bollito e disossato, e il cuore giunse a Parigi dopo aver attraversato l’Italia. Durante il viaggio si diffuse la voce di miracoli operati dal defunto sovrano. Il passo successivo fu la canonizzazione, nel 1279, ad opera di Bonifacio VIII.
Anche dal punto di vista numismatico la figura di Luigi IX riveste una notevole importanza. Infatti, fu durante il suo regno che si cominciarono a coniare i gros tournois, i celebri grossi tornesi. Si tratta della prima moneta d’argento di ampio modulo emessa in Francia. Presenta al dritto una croce con la legenda LVDOVICVS REX intorno ad essa, mentre nel contorno esterno la legenda è BNDICTV · SIT · NOME · DNI · NRI · DEI · IHV · XPI (“Benedictus sit nomen Domini nostri Dei Jesus Christus”).
Al rovescio, invece, la moneta presenta un castello stilizzato con la legenda TVRONVS CIVIS e, nel contorno, dodici gigli. Questa moneta fu soggetta a molte imitazioni e fu contraffatta in diverse zecche, anche oltre i confini francesi. In Italia, ad esempio, fu imitata dalla zecca di Cuneo, da Carlo II d’Angiò re di Sicilia, a Pietra Castello da Ludovico II di Savoia, a Villa di Chiesa da Guelfo e Lotto della Gherardesca (figli del dantesco conte Ugolino) e da altre autorità e officine monetarie.
I successivi re di Francia, Filippo III l’Ardito (1270-1285) e Filippo IV il Bello (1285-1314), continuarono a coniare i grossi tornesi. Filippo il Bello ne fece coniare di due tipi: à l’O rond e à l’O long, cioè con la O di TVRONVS tonda o allungata. Da quanto detto è facile dedurre che il grosso tornese ebbe un’enorme diffusione e che è tuttora una moneta piuttosto comune, salvo poche eccezioni.
Se questo, indubbiamente, lo priva del fascino che esercitano sul numismatico le monete più rare, va tuttavia ricordato che proprio il fatto di essere stato tanto imitato rende il grosso tornese adatto ad una collezione “a soggetto” e, per così dire, “abbordabile” anche dal semplice appassionato: una bella moneta, insomma, con cui iniziare una nuova raccolta…