L’oro africano “invade” il Mediterraneo e Messina, per un breve periodo, convalida per la circolazione, tramite una contromarca, le doppie barbaresche

 

di Carmelo R. Crupi | Prima della scoperta dell’America, nei secoli XIV e XV la vita economica dei paesi del Mediterraneo è alimentata da numerose miniere d’oro e d’argento europee, però quasi tutte incapaci di mantenere ritmi estrattivi abbastanza alti. L’oro è estratto nelle Alpi, in Sardegna, in Crimea e in Serbia, mentre l’argento proviene dalle rinomate miniere dell’Erzgebirge e da quelle di Schwaz, nel Tirolo, che faranno la potenza economica dei Fugger a partire dal XV secolo.

In realtà, la gran parte del biondo metallo che a quel tempo alimenta i mercati del Mediterraneo arriva da fuori dell’Europa, linfa indispensabile ai paesi rivieraschi del Mediterraneo, per sostenere le proprie bilance commerciali, perennemente deficitarie nei confronti dei mercati orientali.

Quel fiume d’oro africano che invade l’Europa tra XIV e XV secolo

L’oro arriva dal cuore dell’Africa: dal Sudan, dalla Nubia, dall’Abissinia. L’intenso commercio dei paesi mediterranei con l’Oriente è collegato ai movimenti dell’oro che, sotto forma di polvere e di monete, affluisce nei ricchi mercati delle città commerciali del nord Africa.

doppie brabaresche contromarca zecca messina oro fwerdinando il cattolico dinar aquilaMappa dell’Africa tratta da Sebastian Munster Cosmographia uniuersalis, Basilea 1554

Non vi è dubbio che, dal X secolo in poi, i più importanti movimenti di risalita transahariani sono quello dell’oro e, in seconda battuta, quello degli schiavi. La magnifica civiltà dei regni musulmani di Spagna dei secoli X e XI testimonia che l’oro del Sudan, della Nubia e dell’Abissinia è arrivato in abbondanza sulle rive africane del Mediterraneo, per poi attraversare lo Stretto di Gibilterra.

L’oro africano continua ad arrivare sulle sponde del Mediterraneo, attraverso il Sahara, nei secoli XII e XIII: le fonti musulmane coeve sono concordi nel parlare di una grande ricchezza in metalli preziosi, in dinar aurei, esportata in tutto il mondo ad opera dei mercanti e dei loro intermediari. Certamente i protagonisti di questi traffici sono il cammello e il dromedario, senza i quali le carovane non avrebbero potuto affrontare i lunghi viaggi attraverso il deserto del Sahara. Le fonti narrano di carovane che contano anche più di mille camelidi.

L’Africa secondo Abraham Ortelius Theatrum orbis terrarum, Anversa 1584

Dal XIII secolo i paesi musulmani del Maghreb rappresentano la miniera d’oro che alimenta incessantemente il fiorente commercio dei paesi dell’Europa mediterranea col Levante.

Il particolare ruolo economico del Maghreb a favore dello sviluppo commerciale dell’Europa mediterranea diventa ancora più evidente nel XV secolo, quando gli stati barbareschi del nord Africa registrano la massiccia presenza di mercanti e mercenari cristiani. Infatti gli stati di Fez, Tlemcen, del Marocco e quello degli Hafsidi di Tunisi erano soliti reclutare soldati nei paesi poveri e già sovrappopolati del mondo mediterraneo di fede cristiana.

D’altronde l’obiettivo dei mercanti e degli avventurieri è quello di sempre: accumulare oro, ricchezza, vendendo la propria prestazione, come i mercenari, o commerciando mercanzie di ogni genere in cambio di pagamenti in oro, in polvere o monetato. In tal senso parlano chiaramente i documenti conservati negli archivi di tutt’Europa: i paesi africani rivieraschi del Mediterraneo in quel periodo sono invasi da genovesi, veneziani, marsigliesi, catalani.

Una vera e propria migrazione in grande stile, da Nord verso Sud, alla volta delle sponde mediterranee dell’Africa. Esattamente il contrario di ciò che è in atto oggi, ma sempre all’insegna di un sogno, quello di una vita migliore.

doppie brabaresche contromarca zecca messina oro fwerdinando il cattolico dinar aquila

Dinar aureo coniato dalla zecca di Fez, nell’attuale Marocco, alla metà del XIV secolo

Nelle città commerciali dell’Islam mediterraneo i cristiani hanno propri quartieri, fondachi, godono di privilegi e garanzie. Tutte le merci che l’Europa di fede cristiana produce o rivende, affluiscono nelle città commerciali dell’Africa settentrionale, e queste ultime, ovviamente, sperimentano un notevole sviluppo urbanistico. Ecco che le città commerciali del nord Africa diventano ricche e splendide, attraversano un periodo di indipendenza politica e ricordano ciò che era avvenuto in Italia nel XII secolo, con lo sviluppo delle Repubbliche marinare.

E’ il caso di Ceuta, Tripoli, Tunisi, Orano, Tlemcen: sono tutte città indipendenti del Maghreb che, in quanto collegamento tra l’Europa cristiana e l’oro dei territori a sud del Sahara, assurgono a fulcro dell’economia internazionale di quel tempo, essenzialmente concentrata nel bacino del Mediterraneo.

La singolare vicenda delle doppie barbaresche e la zecca di Messina

In questo contesto economico si colloca una singolare vicenda numismatica messinese, che mi appresto a illustrare. I documenti della zecca di Messina della seconda metà del XV secolo, i cui contenuti ci sono stati tramandati da Vicenzo Ruffo nel secondo decennio del secolo scorso, ci dicono che a quel tempo la Sicilia registra una grave carenza di monete in metallo prezioso. Queste, infatti, sono sistematicamente estratte dall’Isola dall’esoso sistema tributario spagnolo, ma anche dall’incessante azione di incetta ed esportazione praticata dai mercanti esteri, soprattutto genovesi.

Nell’Isola a quel tempo circolano invece, con relativa abbondanza, le monete auree di coniazione africana, le doppie barbaresche o dinar, del peso di circa 4,7 grammi ed aventi titolo di 21 carati, che riscuotevano scarsa appetibilità presso l’Erario ed i mercanti sia per le legende arabe che le caratterizzavano, incomprensibili, ma soprattutto per il relativamente basso titolo dell’oro.

Nel 1489 i paesi dell’Africa settentrionale restano afflitti da una grave carestia, che comporta notevoli importazioni di cereali e frumento dalla vicina Sicilia. I prodotti siciliani sono pagati con doppie barbaresche in oro che si riversano in grandi quantità nell’Isola. Carmelo Trasselli sitma che tra il 1489 e il 1490 arrivino in Sicilia non meno di 1,5 tonnellate di oro fino sotto forma di monete di conio africano.

Questo copioso afflusso di monete auree dall’Africa settentrionale innesca, logicamente, una sensibile diminuzione del valore dell’oro e induce il re di Spagna Ferdinando il Cattolico alla riforma monetaria siciliana del 1490, relativa alla coniazione, nella zecca di Messina, di una nuova moneta aurea, il trionfo, pesante 3,52 grammi circa al titolo di 23 carati e ⅞, nonché di nuove monete argentee, l’aquila e la sua metà.

Un bell’esemplare di trionfo coniato a Messina da Ferdinando il Cattolico nel periodo 1490-1503

Nel tempo intercorso tra il primo arrivo in quantità delle doppie barbaresche e l’inizio della coniazione dei trionfi, a causa della penuria di monetazione aurea in Sicilia, il vicerè Ferdinando d’Acuna decide di vietare l’estrazione delle monete auree africane dalla Sicilia.

A garanzia dei giusti peso e titolo delle doppie barbaresche (africane) è disposto che debbano essere contromarcate nella zecca di Messina con un’aquila cornata sormontata dalla lettera F, iniziale del nome del re Ferdinando. Tutto ciò si desume dal verbale della riunione del Sacro Regio Consiglio di Sicilia presieduto dal vicerè, avvenuta il 22 settembre 1489. A quel punto qualcuno avanza la questione se le doppie barbaresche contromarcate dovessero correre in Sicilia come denaro corrente o se dovessero essere accettate a peso, alla stregua di merce.

Il 24 settembre 1489 si riunisce, quindi, nuovamente il Sacro Regio Consiglio, con la partecipazione straordinaria di alcuni “pratici” in materia monetaria, in affiancamento ai consueti alti funzionari e giuristi. Quasi tutti concordano sul valore di scambio delle doppie contromarcate, pari a 29 carlini, ovvero 14 tarì e mezzo di buona moneta d’argento, ma alcuni propongono che le doppie contromarcate si spendano a peso e senza obbligo di accettarle nelle transazioni; i “pratici”, invece, guidati da tale Aloisio Sanchez, che ne importava dall’Africa a decine di migliaia, votano per l’obbligo di accettarle. Al parere del Sanchez si uniformano i banchieri Pietro Aglata e Battista Lambardi, il mercante Ranieri Vernagallo, nonchè un “Criseldus florentinus” esperto di cose monetarie.

Un tarì in argento battuto dall’officina monetaria di Messina sotto Ferdinando il Cattolico

Il Sacro Regio Consiglio si uniforma al parere dei tecnici nel successivo bando del 3 ottobre 1489: le doppie barbaresche (dette anche “tripoline”) contromarcate in quel di Messina hanno corso legale e devono essere accettate nelle transazioni.

Le doppie barbaresche vengono contromarcate a Messina per non più di sei mesi, ovvero, in base a quanto sopra, dal 3 ottobre 1489 fino alla data di coniazione dei primi trionfi, decisa dal Sacro Regio Consiglio del 19 gennaio 1490 ed annunziata con bando del 19 marzo 1490. Certamente, dopo il gennaio 1490 a Messina non si contromarcano più doppie barbaresche, in quanto si devono preparare i conii per la nuova, riformata, monetazione: trionfi d’oro, aquile e mezze aquile d’argento.

E’ molto probabile che da quel momento le doppie africane, contromarcate e non, finiscono nei crogiuoli della zecca di Messina, onde ricavare l’oro necessario per coniare i trionfi di Ferdinando il Cattolico, e che quelle poche sopravvissute servano, in futuro, ad apprestare il metallo per gli aurei di Carlo V. Tutto ciò spiega perché oggi le doppie barbaresche contromarcate a Messina siano eccezionalmente rare.

Le ricerche dello storico Carmelo Trasselli sulle doppie contromarcate

Carmelo Trasselli (1910-1982) è stato il primo storico ad eseguire ricerche su questa interessante contromarca messinese e narra come, nel 1959, avesse interpellato alcuni collezionisti, e come, addirittura, si fosse spinto fino a Tunisi per chiedere informazioni ad un anziano orefice francese, che aveva fama di essere stato uno dei fornitori di monete per Vittorio Emanuele III. Purtroppo nessuno sembrava conoscere le doppie barbaresche contromarcate a Messina. Soltanto il cavalier Cusumano, palermitano, gli confida di aver acquistato, anni prima, una moneta simile a quella da lui descritta, da alcuni pescatori che l’avevano ritrovata in una rete da pesca e che, poi, l’aveva rivenduta.

Sempre Trasselli nota che nel 1963 si aveva notizia di due soli esemplari di doppia barbaresca contromarcata a Messina: uno posto in vendita nel 1932 in un catalogo della ditta Baranowsky di Roma, al n. 3517, con l’errata attribuzione a Federico II di Svevia, e un secondo esemplare esitato all’asta Santamaria di Roma tenutasi nel maggio 1961, lotto n. 347, correttamente descritta ed identificata. Per la cronaca, l’esemplare dell’asta Santamaria venne acquistato dalla Fondazione Ignazio Mormino del Banco di Sicilia, ed ancora oggi ne costituisce uno dei nummi più pregiati.

Lo storico Carmelo Trasselli ha affrontato in molte sue ricerche aspetti di storia economica e monetaria della Sicilia e del Meridione

Lucia Travaini ci fa sapere che una doppia tripolina contromarcata a Messina è stata esitato da Classical Numismatic Group n. 57 del 4 aprile 2001, lotto 1587 e che lo stesso esemplare è illustrato da Pierluigi Martorana Genuardi di Molinazzo ne La monetazione aurea in Sicilia dal periodo punico al Regno d’Italia (P.M.G., Palermo, 2007) e da Danilo Maucieri ne Il pierreale di Pietro III d’Aragona. Nascita ed evoluzione di una moneta nella Sicilia aragonese (1282-1476) (Quaderni di Cronaca Numismatica, giugno e luglio-agosto 2008).

Recentemente un esemplare di doppia tripolina contromarcata a Messina nel 1489 è passato tre volte, in poco più di due anni, in asta pubblica: (1) asta Bertolami n. 19 del 11.11.2015, lotto 840, base 6400,00 euro, aggiudicato ad Euro 39.040 euro inclusi diritti del 22%; (2) asta Bertolami n.41 del 20.01.2018, lotto 155, base 6000,00 euro, aggiudicato ad euro 7260,00 inclusi diritti del 21%; (3) asta Artemide n. 51 dell’aprile 2019, lotto 484 (peso 4,67 g), base 6000 euro, aggiudicato ad euro 10.620 inclusi diritti del 18% (sarebbe interessante accertare se trattasi dello stesso pezzo dell’asta CNG 57 del 4 aprile 2001, lotto 1587).

doppie brabaresche contromarca zecca messina oro fwerdinando il cattolico dinar aquilaIl rarissimo esemplare di doppia contromarcata a Messina passata in Asta Artemide nel 2019 (ex Aste Bertolami 19/2015 e 41/2018)

Si conosce anche una mezza doppia con la medesima contromarca messinese del 1489-90, menzionata da Miquel Crusafont i Sabater nel Cataleg generale de la moneda catalana. Paisos catalans i Corona catalano-aragonesa, Societat Catalana d’estudis numismatics, Institut d’estudis catalans, Barcelona 2009 e una seconda mezza dobla contromarcata sarebbe passata in asta Varesi 57 del 2010, lotto 619 (grammi 2,28).

Il nummo contromarcato a Messina passato in Asta Varesi 57 nell’anno 2010

Dal confronto delle due monete africane con contromarca illustrate nelle foto che precedono, sul presupposto che entrambi i nummi abbiano ricevuto una contromarca avente le stesse dimensioni (ipotesi dell’unicità del tipo del conio approntato per la contromarcatura nella zecca di Messina) sembra plausibile che il nummo passato in asta Varesi sia non già una mezza doppia barbaresca, bensì una doppia pesantemente tosata.

Il presupposto alla base di questo ragionamento, ovviamente, non è dimostrabile, pur essendo plausibile tenuto conto del brevissimo periodo temporale in cui, come visto, queste monete di conio africano furono contromarcate sulla riva sicula dello Stretto.

Bibliografia essenziale

  • Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo, vol. II, Einaudi, Torino 1976.
  • Philip Grierson e Lucia Travaini, Medieval European Coinage. 14, South Italy, Cambridge (UK), 1986.
  • Pierluigi Martorana Genuardi di Molinazzo, La monetazione aurea in Sicilia dal periodo punico al Regno d’Italia, P.M.G., Palermo 2007.
  • Danilo Maucieri, Il pierreale di Pietro III d’Aragona. Nascita ed evoluzione di una moneta nella Sicilia aragonese (1282-1476), in Quaderni di Cronaca Numismatica, giugno e luglio-agosto, Firenze 2008.
  • Vincenzo Ruffo, La Regia zecca di Messina da documenti inediti, in Archivio Storico Siciliano, Palermo 1913 ed anni seguenti.
  • Carol Humphrey Vivian Sutherland, L’oro. Bellezza, seduzione, potenza, Mondadori, Milano 1961.
  • Carmelo Trasselli, Per la cronologia delle coniazioni siciliane di Ferdinando il Cattolico, in Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, numero unico, Napoli 1958.
  • (idem), Un aureo barbaresco ribattuto in Sicilia, in Numismatica, I, Roma 1963.
  • (idem), Note per la storia dei banchi in Sicilia nel XV secolo, Fondazione Mormino del Banco di Sicilia, Palermo 1959.
  • Lucia Travaini (a cura di), Le collezioni della Fondazione Banco di Sicilia. Le monete, Milano 2013.
  • Pierre Vilar, Oro e moneta nella storia 1450-1920, Laterza, Bari 1971.