Nella Lombardia tra ‘500 e ‘600 due scudi del sole “sanguinati” raccontano una vicenda che coinvolge Monza, Francesco II Sforza e san Carlo Borromeo

 

di Antonio Castellani | Per molti, il tesoro di san Giovanni Battista del Duomo di Monza è famoso dato che conserva la Corona ferrea, quella con cui sono stati incoronati tanti re d’Italia e che la Chiesa considera come una reliquia dal momento che sarebbe stata in parte forgiata con uno dei chiodi della Croce.

Come in molti altri “tesori” di luoghi di culto sparsi per l’Italia, tuttavia, anche a Monza si ravvisa la presenza di monete la cui storia si mescola con religione e leggenda: parliamo di due scudi del sole “sanguinati”, ossia macchiati del sangue del Battista.

La tradizione vuole che quegli scudi furono coniati con l’oro di oggetti sacri sottratti al tesoro del Duomo di Milano all’epoca del duca Francesco II Sforza, nel 1531. Tingendoli in modo miracoloso col proprio sangue, il Battista avrebbe così voluto rendere evidente l’origine sacrilega impedendo, di fatto, che potessero circolare.

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I due protagonisti della nostra storia: a sinistra Francesco II Sforza che, per riavere il Ducato di Milano, è costretto a pagare a Carlo V 900 mila scudi; a destra San Carlo Borromeo

La politica si mescola con la leggenda dal momento che il tutto inizia quando, nel 1530, Carlo V restituisce il Ducato di Milano allo Sforza, ma non certo gratis bensì dietro pagamento di 900 mila scudi in oro (quasi tre tonnellate di metallo prezioso, al fino). Francesco II, pur di racimolare l’ingente cifra, cerca di drenare ricchezze non solo da Milano ma tutte le città, cittadine e borghi del Ducato, compresa ovviamente Monza che si trova a dover sborsare 100 mila lire imperiali.

La città, tuttavia, è in ginocchio per i lunghi anni di guerra, i saccheggi e la peste che ha imperversato pochi anni prima e così si attinge al tesoro del duomo e far coniare monete con questo metalli prezioso. Per l’appunto, gli scudi del sole “sanguinati”.

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La tipologia di moneta milanese a cui appartenevano i due scudi del sole “sanguinati” che erano nel tesoro del duomo di Monza e che il Borromeo fece portare a Milano

Giungiamo così al 1578 quando Carlo Borromeo, futuro santo e all’epoca arcivescovo di Milano, si reca in visita alla città di Monza e, nel duomo, trova esposte le due monete incriminate. Il Borromeo, ligio nel a far osservare i decreti del Concilio di Trento – e in attrito con Monza, contraria all’adozione del rito ambrosiano – fa prelevare i due scudi d’oro “sanguinati” per collocarli dove sono ancora oggi, in una sacrestia del duomo di Milano.

I misteri delle monete miracolose di Monza non finiscono qui perché esiste un terzo esemplare che ancora si trova in città e che recenti studi hanno rivelato essere un falso seicentesco, coniato secondo le fonti nel 1688 da un privato cittadino ad imitazione degli scudi d’oro del sole “sanguinati” del 1530. Una pseudo moneta, insomma, creata apposta per essere donata al clero monzese da questo privato, forse per ingraziarsene i componenti e ottenere qualche prebenda.

Una rara immagine del reliquiario con le due monete che avrebbero stillato il sangue di Giovanni Battista, essendo state coniate con oro proveniente da oggetti sacri

I due scudi del sole “sanguinati” di Milano sono oggi conservati, come detto, nel duomo di Milano in un reliquiario in argento dentro una custodia ricamata con cappello cardinalizio su fondo in velluto rosso, il tutto incorniciato in legno e corredato sul fondo da una pergamena autografa di Carlo Borromeo recante la scritta: “Sanguinati doi d’oro trouati nel Tesoro di Monza”. Le due monete tuttavia, non presentano tracce di sangue e come tutti gli scudi del sole del periodo hanno un peso di 3,4 grammi circa, diametro di 26 millimetri o poco più e titolo pari a circa 920 millesimi.

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Il terzo esemplare che compare in questa vicenza fra fede, numismatica e leggenda: si tratta in realtà di un falso coniato per sostituire gli scudi del sole “sanguinati” portati a Milano

Sul dritto di questo tipo monetale, raro ma ben noto, campeggia lo stemma degli Sofrza inquartato con l’aquila imperiale e la biscia viscontea, sormontato dalla corona ducale da cui escono rami di palma e di olivo; ai lati dello stemma le iniziali FR | II di Francesco II Sforza. La legenda inizia come prassi con un piccolo sole e riporta DVX MEDIOLANI ETC.

Sul rovescio una grande croce ornata alle estremità da quattro corone ducali da cui escono rami di palma e di olivo e attorno la legenda SALVS ET VITORIA NOSTRA (“Salvezza e vittoria nostra”, in riferimento alla Croce di Cristo).

Lo scudo del sole “sanguinato” (e contraaffatto) entrato nel tesoro di san Giovanni Battista nel 1688 sipresenta identico ai due esemplari di Milano e alle altre monete di questo tipo, salvo recare la parola VICTORIA invece di VITORIA al rovescio.