Bisanzio, fine del VII secolo: c’è tensione per la crescente potenza araba in Mediterraneo e anche le monete diventano un casus belli per la loro iconografia

 

di Luca Mezzaroba | Siamo nell’anno 692 e sul trono di Costantinopoli siede il giovane basileus Giustiniano II, figlio di Costantino IV e discendente di quella dinastia che aveva avuto come capostipite Eraclio I e che, per prima, aveva dovuto misurarsi con la grande espansione araba del VII secolo.

Dal padre, il ventitreenne imperatore ha ereditato uno stato abbastanza stabile, certamente minacciato da varie insidie (in primo luogo il nascente regno bulgaro) ma con una situazione tranquilla almeno sulla frontiera orientale in quanto gli arabi, tormentanti da problemi interni, pagano a Bisanzio un tributo per mantenere la pace.

Giustiniano II tuttavia si sente troppo sicuro; rifacendoci al celebre ritratto di Georg Ostrogorsky, ripreso da tanti altri studiosi, la personalità del giovane racchiude in sé, nel bene e nel male, tutte le caratteristiche tipiche della dinastia: al coraggio personale, alla totale devozione per lo stato e allo spirito di iniziativa si affiancano gravi difetti e ossessioni come l’ambizione, la sete di gloria, uno sfrenato dispotismo e una notevole crudeltà, debolezze che lo spingeranno a rompere la tregua con gli arabi portandolo, di fatto, al disastro.

casus belli

Solido di Giustiniano II con globo crucigero e clamide, classe II. Oro; 4,40 g, 16 mm, 6 h

Ma cosa c’entra la numismatica con la personalità di Giustiniano II e la politica bizantina del VII secolo? La risposta è semplice: furono proprio delle monete, o per meglio dire la loro particolare iconografia, a fornire il casus belli per l’inizio delle ostilità.

“In quest’anno, spinto dalla sua dissennatezza, Giustiniano ruppe la pace con Abdal Malik. Stupidamente egli era ansioso di reinsediare [gli abitanti] dell’isola di Cipro. Un certo numero di ciprioti, che avevano operato il tentativo, affogarono o morirono di malattia; gli altri fecero ritorno a Cipro. Inoltre non avrebbe accettato le monete che Abdal Malik gli aveva mandato in quanto esse presentavano un nuovo tipo di iconografia mai usata prima.

Quando Abdal Malik udì ciò, dissimulò diabolicamente invitando Giustiniano a non rompere la pacee ad accettare invece il suo denaro. Sebbene gli arabi non potessero accettare l’iconografia [usata] dai romani sulle proprie monete, avrebbero dato ai romani il corretto valore in oro e così la nuova moneta degli arabi non avrebbe comportato alcuna perdita. Ma Giustiniano pensò che la richiesta di Abdal Malik fosse causata dalla paura” (The Chronicle of Theophanes, edited and translated by Harry Tartledove, p. 63; traduzione dell’autore).

Questo passo, tratto dalla Cronaca di Teofane, in effetti fa capire come, per gli storici antichi, la questione delle monete usate per il tributo e la loro iconografia costituissero dei fattori molto importanti nelle trattative diplomatiche che portarono al conflitto.

Nel prosieguo di questo articolo, alla luce di analisi più moderne, cercheremo di indagare quanto di tutto questo sia vero: se cioè la “questione monetaria” abbia costituito il reale casus belli o sia stata solo un’esagerazione letteraria. Per farlo tuttavia ci sembra opportuno fare chiarezza su alcuni passaggi della narrazione di Teofane, che ci aiuteranno per una piena comprensione degli avvenimenti.

casus belliSolido di Giustiniano II con il Cristo (dritto) e l’imperatore con loros e akakia (rovescio), classe III. Oro; 4,45 g, 18 mm, 6 h

Per prima cosa infatti dobbiamo capire il motivo per cui Giustiniano II non volesse accettare le monete offerte dal califfo Abd al Malik; il fatto è legato alla famosa riforma monetaria voluta dal basileus il quale, proprio nel 692, decide di emettere un nuovo tipo di solido (classe III) rivoluzionando completamente l’iconografia precedente.

Se infatti nelle monete d’oro realizzate fino a quel momento il dritto e il rovescio erano caratterizzati rispettivamente dalla raffigurazione del sovrano in abiti civili e dalla grande croce posta su gradini, nei nuovi solidi l’immagine dell’imperatore, rivestito del loros e con in mano una grande croce su tre gradini e l’akakia, viene inserita al rovescio mentre il dritto è dedicato interamente alla rappresentazione di Cristo.

Non è questa la sede per soffermarci sulle ragioni e sulle caratteristiche iconografiche dell’innovazione introdotta da Giustiniano II; qui basterà ricordare come l’immagine di un Cristo maturo, benedicente, con barba e capelli lunghi e associato a una croce (e non a un nimbo) si rifaccia con ogni probabilità a quella presente sulla Chalkè, la porta del Gran Palazzo imperiale, e sia strettamente legata al Concilio Quinisesto voluto dallo stesso sovrano sempre in quel 692, durante il quale viene accettata la possibilità di rappresentare la divinità in forma umana.

casus belliSolido di Eraclio I con i figli Eraclio Costantino e Eracleona, classe IV. Oro; 4,46 g, 19 mm, 6 h

La decisone del sovrano, che nelle sue nuove monete si definisce Servus Christi, non può certamente essere accolta con favore dagli arabi i quali, come è noto, non possono accettare la raffigurazione della divinità. In realtà, fino a quel momento, essi si sono per così dire “adattati” nella gestione dell’iconografia monetaria; risalgono proprio al regno di Abd al Malik delle monete d’oro palesemente rielaborate da originali bizantini; ne sono un esempio alcuni solidi databili agli ultimi anni di Eraclio I (rappresentato al dritto con i figli) opportunamente modificati.

Così, tutte le croci presenti vengono sostituite con altri elementi: da notare ad esempio come la grande croce su gradini del rovescio venga trasformata in un pilastro o come le varie croci sui globi al dritto siano cancellate e sostituite dalla professione di fede musulmana.

Oltre a queste monete poi, va segnalato che proprio verso il 693, forse a Damasco, sono create delle altre monete d’oro che presentano al dritto non più un imperatore bizantino ma un califfo arabo, identificabile proprio come Abd al Malik.

casus belliMoneta arabo bizantina del periodo di Abd al Malik copia, opportunamente privata dei simboli cristiani, di un solido di Eraclio I (classe IV). Oro; 4,40 g, ? mm, ? h

Tali monete dunque non sono accettate da Giustiniano II il quale, forte di alcuni incoraggianti successi militari nei Balcani all’inizio del suo regno, assume un atteggiamento aggressivo. Questa scelta, che potrebbe apparire irresponsabile, non deriva unicamente dalla giovane età del basileus ma anche dalle conseguenze della situazione cipriota.

Come narrato da Teofane Giustiniano II decide di spostare gli abitanti di Cipro in Asia Minore; questa scelta è provocata con ogni probabilità dall’atteggiamento ostile degli arabi volto a danneggiare gli abitanti dell’isola i quali, secondo il trattato di pace, dovevano pagare tributi non solo a Bisanzio ma anche al califfo. La scelta di Giustiniano II, contraria ai patti in quanto toglieva contributi agli arabi, è da molti considerata il vero pretesto per la guerra.

Di questa opinione è ad esempio Ostrogorsky, il quale non fa alcun cenno alla questione legata alle monete e si concentra unicamente sul problema di Cipro; al contrario altri studiosi, pur riconoscendo l’evidente ostilità di Teofane nei confronti di Giustiniano II, si soffermano con maggior attenzione sulla vicenda rilevando come le tensioni causate dall’iconografia monetaria e dai trasferimenti di popolazioni facciano in realtà parte di un piano accuratamente studiato.

Secondo Gastone Breccia (Lo scudo di Cristo. Le guerre dell’impero romano d’oriente, pp. 268-269), Giustiniano II sarebbe caduto nella trappola preparata dal califfo Abd al Malik il quale, consolidata la sua posizione e sconfitti i nemici interni, cercava solo un pretesto per non pagare più il tributo a Bisanzio e per farlo non avrebbe esitato ad aggrapparsi a qualsiasi motivazione, sfruttando la giovane età del basileus e la sua avventatezza.

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Dinar di Abd al Malik (post 696). Oro; 4,32 g, 19 mm, 6

I nuovi solidi con il volto di Cristo costituiscono dunque il casus belli per il conflitto? Certo, ma non sono l’unico pretesto, che va identificato anche nella questione di Cipro e di altri contrasti minori; è dunque interessante notare, ancora una volta, come la monetazione – lungi dall’essere qualcosa di distaccato rispetto alla vita delle persone o degli stati – costituisca invece parte integrante della cultura e della storia di un popolo, che può utilizzarla con finalità positive ma anche negative, nel tentativo ad esempio di provocare i propri vicini, come di fatto fecero, in modo diverso, Giustiniano II e Abd al Malik.

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Solido di Giustiniano II, secondo regno (705-711). Oro; 4,44 g, 19 mm, 5 h

Tutto questo è confermato proprio dalle scelte in materia monetaria dei due protagonisti negli anni successivi: se infatti il califfo, a partire dal 696, iniziò ad emettere i primi dinar aurei totalmente epigrafici (con iscrizioni che occupano tutta la moneta sia nel dritto che nel rovescio) abbandonando definitivamente il modello bizantino in favore di caratteristiche tipicamente arabe, d’altro canto Giustiniano II sceglierà di mantenere la sua innovazione iconografica e, pur spodestato e mutilato del naso (da qui il soprannome Rinotmeto), riuscirà a tornare a sedere sul trono di Costantinopoli reintroducendo il solido con la figura di Cristo, questa volta giovane, con capelli corti e privo di barba, che i suoi immediati successori avevano abbandonato proprio per distaccarsi dall’odiato sovrano.