Insegne imperiali nelle monete bizantine: la “akakia”

3074

Oggetti dal grande valore simbolico, le insegne imperiali nelle monete bizantine spiccano per la loro ricorrenza

 

di Luca Mezzaroba | L’aspetto certamente più affascinante di quella società romano-orientale alla quale oggi noi diamo il nome di “bizantina” è costituito dalle complesse cerimonie che si svolgevano nel Palazzo e nelle chiese di Costantinopoli, la grande capitale imperiale.

Il sovrano a Bisanzio, un uomo tra terra e cielo

Protagonista di queste vere e proprie liturgie politico-religiose era il sovrano, il basileus, rappresentante in terra di Cristo e fulcro della vita della corte bizantina, autentica rappresentazione terrena della “corte celeste”. Questa era la teoria politica imperiale, non deve quindi sorprendere che l’intera vita del sovrano all’interno del Gran Palazzo fosse scandita non solo da processioni, banchetti e cerimonie, ma dovesse osservare anche rigide norme per quanto concerne l’abbigliamento e imponesse numerosissime insegne del potere da ostentare nella più svariate occasioni.

Tale sfoggio di ricchezza e potenza era voluto in primo luogo proprio dal sovrano stesso al fine di mostrare al mondo la grandezza dell’impero: oltre ad essere esibiti durante le udienze con gli ambasciatori, abiti e insegne dovevano apparire anche nei più efficaci strumenti di comunicazione e di propaganda dell’epoca: i mosaici delle chiese e la monetazione.

Le insegne imperiali nelle monete bizantine, una chiave di lettura

Sportello del dittico di Flavio Anastasio (517). Parigi, Bibliothèque Nationale de France
Sportello del dittico di Flavio Anastasio (517). Parigi, Bibliothèque Nationale de France

Considerata la sua longevità e stabilità, è proprio la monetazione bizantina a fornire un’importante chiave di lettura sull’evoluzione di tali elementi; osservando le figure imperiali rappresentate sulle monete, infatti, ci si rende conto dei cambiamenti nella foggia delle vesti e delle insegne durante i secoli, con la comparsa di nuove ma soprattutto con la modifica di altre di origine più antica.

In questo e nei prossimi articoli mi concentrò proprio su quest’ultima categoria, analizzando tre simboli particolarmente importanti per la concezione imperiale: lo scettro, il loros e l’akakia.

Per comprendere lo sviluppo di queste insegne nelle monete imperiali, è necessario per prima cosa cercare di capirne l’origine, individuata da diversi studiosi negli elementi che componevano l’abito dei consoli tra il IV e il VI secolo e che noi possiamo analizzare grazie ai cosiddetti “dittici consolari”, preziose tavolette in avorio a bassorilievo che, spesso, rappresentavano il magistrato nei suoi abiti ufficiali e con le insegne del suo ruolo.

In essi il console appariva seduto su un trono decorato e avvolto in una voluminosa “sciarpa” detta trabea triumphalis; nella mano sinistra reggeva lo scettro d’avorio sormontato da un’aquila (scipio eburneus) mentre nella destra, portata in alto sopra la testa, stringeva una drappo chiamato mappa, che egli lanciava nell’arena per dare inizio ai giochi.

L’akakia, un oggetto non privo di misteri

Dall’evoluzione di questi tre elementi dunque si svilupperanno, in modi e tempi diversi, lo scettro sormontato dalla croce, il loros e l’akakia; sarà proprio da quest’ultima particolarissima insegna che partirà la mia analisi.

La prima apparizione nelle monete di un oggetto che ricorda vagamente l’antica mappa dei consoli risale ai solidi di Leonzio, poco fortunato usurpatore del trono imperiale tra il 695 e il 698. Artefice di interessanti modifiche alla stereotipata iconografia monetaria della precedente dinastia, Leonzio volle infatti introdurre un maggior realismo nella rappresentazione della sua figura e una posa quasi “dinamica”, facendosi raffigurare nei suoi solidi con il braccio alzato (in una posa molto simile a quella degli antichi consoli) e con un oggetto dalle estremità arrotondate e dalla forma cilindrica e allungata stretto nella mano destra.

Solido di Leonzio. Oro, gr 4,34; mm 20; h 6
Solido di Leonzio. Oro, gr 4,34; mm 20; h 6

Che questo oggetto sia proprio l’akakia è confermato, come vedremo, da testimonianze sia scritte che iconografiche.

Ciò che invece potrebbe stupire è il motivo per il quale l’insegna pertinente ad un antico magistrato fosse finita, se pure modificata nella forma, niente meno che nelle mani di un imperatore della fine del VII secolo.

Ciò ha diverse spiegazioni: già nel VI secolo, a causa delle enormi spese richieste, il consolato era entrato in una fase di crisi e sempre più spesso erano gli stessi imperatori ad assumere tale incarico appropriandosi quindi anche delle insegne ad esso legate (si parla in questo caso di “consolato imperiale”).

In secondo luogo, con il trascorrere del tempo, il senso stesso delle insegne era venuto meno; come il loros (che tratteremo in un articolo successivo) anche l’antica mappa aveva cambiato la sua forma e il suo nome, divenendo akakia (letteralmente “bontà”) o anexikakia (letteralmente “sopportazione”), rappresentata come una sorta di sacchetto contenente polvere di tombe: un monito costante, all’onnipotente sovrano di Bisanzio, della caducità delle cose umane. L’affermarsi di tale simbologia aveva fatto sì che, infine, l’akakia apparisse come insegna nelle monete dei sovrani, i quali fino a quel momento avevano preferito gli abiti militari o civili.

L’evoluzione di un simbolo nel corso dell’VIII secolo

Solido di Anastasio II. Oro, gr 4,46; mm 20; h 6
Solido di Anastasio II. Oro, gr 4,46; mm 20; h 6

Che l’akakia avesse ormai assunto tale significato e che stesse divenendo, se pure lentamente, una delle insegne di maggior importanza per gli imperatori è dimostrato proprio dalla monetazione aurea di alcuni dei sovrani che si succedettero in modo effimero sul trono di Bisanzio nei primissimi anni dell’VIII secolo.

Solido di Teodosio III. Oro, gr 4,39; mm 20; h 6
Solido di Teodosio III. Oro, gr 4,39; mm 20; h 6

Sia Anastasio II (713-715) che Teodosio III (715-717) nei loro solidi scelsero infatti di affiancare al già consolidato globo crucigero il sacchetto dell’akakia.

Pur essendo del tutto identico a quello introdotto da Leonzio, esso è però tenuto da costoro nella mano sinistra e stretto al petto in una posizione frontale del tutto diversa dal modo in cui gli antichi consoli mostravano la mappa.

Quali significati nascosti?

La monetazione offre dunque per prima una rappresentazione di questa particolarissima insegna: è tuttavia legittimo a questo punto chiedersi se, proprio per il suo significato, essa non avesse un valore più simbolico che pratico; per rispondere sarà necessario guardare ad alcune testimonianze artistiche e letterarie del X secolo.

La prima è costituita dal mosaico di Santa Sofia dedicato all’imperatore Alessandro (912-913): il sovrano, raffigurato durante la processione di Pasqua, indossa le più importanti insegne della sua carica; oltre alla corona e al loros, nella mano destra (posta all’altezza del petto) si nota chiaramente un involucro di seta porpurea, decorato alle estremità da strisce viola e tessere dorate.

L’imperatore Alessandro in abiti cerimoniali, mosaico del secolo X. Istanbul, Santa Sofia
L’imperatore Alessandro in abiti cerimoniali, mosaico del secolo X. Istanbul, Santa Sofia

La presenza dell’akakia in questo tipo di funzioni è testimoniato anche dall’opera dell’imperatore Costantino VII, il quale nel Libro delle Cerimonie descrive puntualmente questo tipo di abbigliamento per le processioni a Santa Sofia e per le feste religiose più importanti.

L’akakia nelle fonti letterarie

È certamente interessante infine notare che anche scrittori stranieri furono attratti da tale insegna e, se pure non ne capissero chiaramente il significato o la forma, non esitarono a descriverla; l’esploratore arabo Ibn Rosteh, ad esempio segnalava che “L’imperatore regge in mano una scatola d’oro che contiene della terra. Procede a piedi, e ad ogni due passi il visir a lui dice in greco […] «ricordati della morte». A quelle parole, l’imperatore volta a volta s’arresta, schiude la scatola e posa lo sguardo sulla terra che v’è racchiusa, poi la bacia e piange”.

Le testimonianze appena proposte dimostrano dunque l’importanza che l’akakia aveva assunto nel X secolo; per capire come essa abbia potuto consolidare la sua presenza nel cerimoniale di corte tra VIII e IX secolo sarà invece necessario tornare all’analisi della monetazione imperiale.

Il cerimoniale di corte, le successioni al trono, la monetazione

L’avvento di dinastie alla guida dello Stato bizantino favorì infatti una situazione di maggior stabilità nella successione al trono; tale situazione ebbe sicuramente effetto anche sull’iconografia monetaria, la quale assunse caratteristiche più regolari e uniformi nella rappresentazione di elementi importanti quali le insegne del potere.

La scelta di Leone III (717-741) di inserire l’akakia come elemento caratteristico del potere imperiale nei suoi solidi favorì la diffusione dell’insegna anche nelle monete dei suoi successori.

Solido di Leone III (nel R/ il figlio Costantino V). Oro, gr 4,43; mm 20; h 6
Solido di Leone III (nel R/ il figlio Costantino V). Oro, gr 4,43; mm 20; h 6

Consolidata in modo definitivo la forma cilindrica e la posizione frontale nella mano sinistra, l’akakia appare dunque in tutte le tipologie dei solidi di Leone III (da solo o accompagnato, nel rovescio, dal figlio) e nella prima tipologia di quelli di Costantino V (741-775), dove è visibile nelle sue mani e in quelle del padre defunto. La scomparsa dell’insegna nelle monete dei suoi immediati successori non deve sorprendere: il numero sempre maggiore di personaggi rappresentati rendeva infatti molto difficile l’inserimento di quasi tutti gli elementi accessori.

Un’insegna che resiste alla complessa storia del trono bizantino

Questo è evidente se si considerano le monete degli ultimi rappresentanti della dinastia isaurica: sgombrato il campo dal gran numero di figure, l’akakia riappare nel rovescio del solidi di Costantino VI (790-797), tenuta nella mano sinistra proprio dal giovane e sfortunato imperatore; al contrario la madre Irene, posta al dritto in quanto vera detentrice del potere, preferisce lo scettro.

Solido di Costantino VI e Irene. Oro, gr 4,44; mm 19,5; h 6
Solido di Costantino VI e Irene. Oro, gr 4,44; mm 19,5; h 6

La sovrana cambierà invece idea nei particolarissimi solidi emessi durante il suo regno come unica imperatrice (797-802): in essi, infatti, Irene stringe l’akakia nel dritto mentre nella raffigurazione di rovescio tiene una croce.

 

Solido di Niceforo I (nel R/ il figlio Stauracio). Oro, gr 4,43; mm 20; h 6
Solido di Niceforo I (nel R/ il figlio Stauracio). Oro, gr 4,43; mm 20; h 6

La consolidata presenza dell’akakia non subì cambiamenti neppure durante i rari passaggi violenti del potere.

Nei suoi solidi, ad esempio, Niceforo I (imperatore dall’802 all’811 a seguito del colpo di stato ai danni di Irene, madre di Costantino VI) mantenne la sua presenza nonostante l’abbandono di una serie di altre insegne tipiche dei precedenti sovrani.

La dinastia Amoriana e le monete del IX secolo

Follis di Teofilo. Bronzo, gr 8,17; mm 33; h 6
Follis di Teofilo. Bronzo, gr 8,17; mm 33; h 6

L’avvento della nuova dinastia Amoriana (820-867) non apportò, almeno inizialmente, particolari mutamenti all’iconografia imperiale, se non per il fatto che l’akakia appare nelle mani dei soli imperatori più anziani.

Sia nei solidi che nei follis essa è associata rispettivamente a Michele II (e non al figlio Teofilo) e, nelle prime tipologie delle sue monete, allo stesso Teofilo (e non ai suoi figli).

La dinastia Macedone e quella dei Comneni

È proprio con l’avvento della dinastia Macedone, che dominerà l’impero dalla metà del IX alla metà dell’XI secolo, che l’akakia, divenuta elemento essenziale del cerimoniale di corte come testimoniato dalle fonti citate precedentemente, perderà invece la sua centralità nell’iconografia monetaria, venendo soppiantata da altre insegne e apparendo sempre più raramente in monete di scarso valore e nelle mani di correggenti.

Follis di Leone VI con il fratello Alessandro. Bronzo, gr 6,46; mm 26; h 5
Follis di Leone VI con il fratello Alessandro. Bronzo, gr 6,46; mm 26; h 5

A tal proposito basterà citare la sua presenza nei follis di Leone VI il Saggio (886-912), nei quali è il fratello Alessandro (lo stesso del mosaico di Santa Sofia) a tenere nella sinistra l’akakia.

Introdotta negli ultimi anni del VII secolo, divenuta elemento insostituibile tra VIII e IX secolo, l’iconografia dell’akakia nelle monete vive così un momento di crisi lungo il periodo di maggior splendore per la storia di Bisanzio; come detto, tuttavia, la sua importanza nelle cerimonie di corte, nei mosaici e nella letteratura non verrà mai meno.

Hyperpyron di Giovanni II Comneno. Oro, gr 4,38; mm 30; h 5
Hyperpyron di Giovanni II Comneno. Oro, gr 4,38; mm 30; h 5

Non può dunque sorprendere che essa riappaia improvvisamente in alcune monete d’oro e d’argento di sovrani quali Giovanni II (1118-1143) o Manuele I (1143-1180), artefici dell’ultimo sussulto di gloria dell’impero e membri di un’altra grande dinastia, quella dei Comneni.

Per saperne di più

Per uno studio specifico sull’akakia nella monetazione bizantina si rinvia a P. Grierson, Byzantine Coinage, London 1982 e, dello stesso autore, Catalogue of the Byzantine coins in the Dumbarton Oaks and in the Whittemore Collection (vol III, parte 1), Washington DC 1966. Per un’analisi di tipo storico si rinvia a G. Ravegnani, Imperatori di Bisanzio, Bologna 2008 e Il libro delle Cerimonie (a cura di M. Panascia), Palermo 1993.