Lunedì 22 novembre, domenica 5 dicembre 1813: fra queste date si colloca la fase calda dell’assedio di Zara, all’epoca parte dell’Impero francese guidato da Napoleone Bonaparte dopo essere stata per lunghissimo tempo dominio veneziano e poi asburgico, dal 1797, a seguito del trattato di Campoformio.

Dal 1805 la città dalmata e il suo porto sono passati al Regno d’Italia napoleonico, e rappresentano un affaccio strategico per il controllo del Mare Adriatico. La guarnigione franco-italiana della città di Zara, perciò, viene attaccata da forze congiunte composte da truppe austro-britanniche al comando del generale Franz von Tomassich e del capitano George Cadogan.

Uno scorcio delle fortificazioni di Zara, oggi Zadar, in Croazia, edificate in buona parte dai Veneziani nei lunghi secoli di amministrazione della città dalmata

Zara era una piazzaforte ben difesa, con fortificazioni armate di centodieci cannoni, sette mortai e undici obici in posizioni fisse servite da una guarnigione di circa duemila uomini. Così, quando arrivò a Zara il 22 novembre, Cadogan trovò la città pronta a sostenere un lungo assedio e decise di bloccarla e di prepararsi a prenderla d’assalto.

La resistenza proseguì per alcune settimane ma a un certo punto i battaglioni croati si ammutinarono contro i comandanti francesi e molti ribelli riuscirono a uscire dalla fortezza e a consegnarsi nelle mani degli austro-britannici, privando Zara di circa i due terzi della sua guarnigione a difesa. Il 6 dicembre, dopo tredici giorni di bombardamenti e quando le anche batterie britanniche disponevano ormai di pochi colpi con cui proseguire il tiro, il generale francese Roize che comandava la piazza spedì una delegazione con bandiera bianca offrendo la resa della città.

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Dall’asta NAC Numismatica Ars Classica 147, la moneta ossidionale da 18,40 franchi coniata durante l’assedio di Zara del novembre-dicembre 1813

Nel giro di poche settimane anche le altre piazzeforti francesi nelle Province Illiriche caddero in in mano degli austro-britannici: Cattaro il 3 gennaio 1814, Ragusa il 27 gennaio; a fine marzo tutto il territorio delle Province Illiriche tranne Corfù era in mano ai coalizzati o ai ribelli croati insorti contro i francesi. Il congresso di Vienna del 1815 ristabilì infine il pieno dominio dell’Impero austriaco su Zara e il resto della Dalmazia.

Zara e l’assedio del 1813 entrano nella numismatica italiana per una serie di tre monete in argento coniate durante il blocco con il metallo requisito in chiese e conventi; una misura attuata per pagare il soldo alle truppe e che venne decisa dopo che la municipalità aveva, già l’11 novembre, respinto una richiesta francese per 4000 zecchini. L’amministrazione e la popolazione, infatti, erano già economicamente prostrate dalle tasse e dalla mancata restituzione di quanto versato per l’assedio di quattro anni prima.

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L’aquila imperiale napoleonica con i fulmini fra gli artigli, peso in once e valore in franchi: ecco le semplicissime impronte delle monete di Zara di inizio XIX secolo

Tre i valori nominali delle monete relative all’assedio di Zara: 18,40 franchi, 9,20 franchi e 4,60 franchi. Tre valori inusuali, ma dovuti al fatto che i tondelli usati corrispondevano nel peso, rispettivamente, a quattro, due e un’oncia di metallo prezioso.

A curare i coni, anch’essi molto particolari, tre maestri orafi – Michele Fasolo, Simeone Bortolotti e Sebastiano Picchi – i quali, a garanzia, posero sul contorno in rilievo, entro un rettangolo, le loro iniziali (MF SB SP). La fusione dei tondelli per le monete dell’assedio di Zara, per complessive 64 mila once d’argento (pari a circa 300.000 franchi), avvenne usando uno stampo in terra, per poi procedere alla pulizia e all’impressione di dritto e rovescio e alla rifinitura, niente meno che nella cucina del palazzo del governatore.

Il rombo con l’aquila imperiale potrebbe essere stato ispirato al fregio militare che i soldati francesi di molti reparti portavano all’epoca sul copricapo

Al dritto, l’aquila imperiale napoleonica, coronata, che stringe dei fulmini fra gli artigli, accantonata in verticale dal nome ZARA e dall’anno 1813; un’impronta semplicissima, presa probabilmente dai timbri a secco degli uffici militari o ispirata al fregio in bronzo che i soldati portavano sui copricapo delle uniformi. Un’altra possibilità è che l’impronta derivi da quella delle medaglie distribuite in tutto l’impero nel 1808, in gran numero, per la lotteria imperiale.

Al rovescio, ancora più semplice, troviamo invece un rettangolo con indicato il valore in franchi e, sulla riga superiore, il peso in once: il peso delle monete da 18,40 franchi oscilla fra i 119,1 e i 120,5 grammi; quello degli esemplari da 9,20 franchi fra i 59,7 e i 59,8 grammi e, infine, quello dei 4,60 franchi fra i 29,5 e il 29,9 grammi. Il tutto, a fronte di pesi legali teorici rispettivamente di 122,28, 61,19 e 30,59 grammi.

Un’altra ipotesi è che l’impronta di dritto delle monete ossidionali del 1813 coniate a Zara derivi dalla medaglia della lotteria imperiale di Francia del 1808

Ma, si sa, in tempo di guerra e sotto assedio il denaro non basta mai: lo dimostra il fatto che il comando francese della città dalmata fece anche stampare ben 70 mila banconote del valore di due franchi, in sette serie da 10.000 biglietti ciascuna, che completano la monetazione dell’Assedio di Zara assieme ai biglietti da 1 franco (una serie da 30.000 biglietti?), di cui fino a tempi recenti si ignorava l’esistenza e di cui un esemplare, ritenuto “unico”, è nella The Trevor Wilkin collection of siege notes (clicca qui).

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Completa la serie ossidionale del 1813 il pezzo da 4,60 franchi, peso in argento di un’oncia

Le tre affascinanti monete in argento dell’assedio di Zara del 1813, invece, appaiono di quando in quando sul mercato e un’ottima occasione per accaparrarsi tutti e tre i nominali è data dall’asta NAC Numismatica Ars Classica 147 del 5 giugno prossimo, dove queste rare monete sono proposte ai lotti 302, 303 e 304. Una rarità dovuta al fatto che molte di quelle coniate nelle complesse settimane dell’assedio finirono rifuse dal momento che contenevano una quantità d’argento ben superiore al valore facciale.