Anche nel mondo italico il semidio è indiscusso protagonista di tante emissioni e il mito numismatico si perpetua nell’età romana

 

di Francesco Billi | Dopo aver preso in esame – nella prima parte di questo studio, clicca qui – la figura di Eracle nelle monetazioni di area greca, ci spostiamo ora nell’altra grande culla della civiltà mediterranea, l’Italia.

Le genti italiche avevano iniziato precocemente a recepire il culto mediterraneo di Eracle, diffuso dai coloni greci insediatisi nella penisola meridionale. La clava dell’eroe, ad esempio, comparve nel III  secolo a.C. sul rovescio di alcuni pesanti nominali in bronzo fuso della città etrusca di Volterra (fig. 16).

Fig. 16 | Monetazione etrusca, Volterra, aes grave fuso, 230-220 a.C. circa, Historia Numorum, Italy 109a. D/ Testa gianiforme con pètaso. R/ Legenda VELATHRI, in etrusco, intorno alla clava

 

Anche Roma, ovviamente, aveva colto con tempismo il prestigio derivante dalla tradizione erculea, inserendola nella propria mitologia fondativa. Accanto alla popolare leggenda di Romolo e Remo, infatti, venne elaborata una narrazione parallela che attribuiva al greco Evandro, re degli Arcadi e prezioso alleato di Enea nel poema virgiliano, un ruolo da protagonista nelle vicende che portarono alla fondazione della città eterna.

Questa versione, attestata nelle autorevoli opere di Strabone e Tito Livio, fu opportunamente intrecciata con la leggenda delle dodici fatiche. In una di queste Ercole era stato inviato da Euristeo all’estremità occidentale del mondo conosciuto per impadronirsi dei buoi di Gerione, una mostruosa creatura con tre corpi.

L’eroe, ritornando dalla missione, attraversò l’Iberia, la Gallia e l’Italia dove, però, subì il furto della preziosa mandria da parte di Caco: il ladro sputafuoco che terrorizzava gli abitanti del Lazio. In questo frangente Ercole venne accolto da Evandro che gli riservò onori e gli dedicò sacrifici nella sua città adagiata sul colle Palatino, inaugurandone il culto presso la futura Roma.

Fig. 17 | Repubblica Romana, didramma romano-campano in argento, Roma, 269-268 a.C., Historia Numorum, Italy 287. D/ Testa di Ercole con i capelli tenuti da un nastro, leontè legata al collo e clava sulla spalla. R/ Lupa intenta ad allattare i gemelli

 

Il prestigioso ospite, da parte sua, uccise il tremendo Caco, riappropriandosi dei buoi di Gerione e liberando i pastori locali da quella minaccia. Gli antichi rapporti fra Ercole e Roma, dunque, risalirebbero all’età della sua mitica fondazione e vennero presto esibiti in un didramma d’argento datato intorno al 268-269 a.C. (fig. 17) nell’ambito della monetazione cosiddetta romano-campana, cioè commissionata dalla Repubblica Romana alle maestranze coloniali di origine greca prima dell’introduzione del denario.

L’emissione in questione raffigura al dritto la testa di Ercole, identificato dagli attributi della clava e della leontè sulla spalla, e al rovescio la Lupa intenta ad allattare i gemelli: un programma iconografico estremamente significativo che sembra voler sintetizzare in un’unica moneta le due più nobili tradizioni collegate all’origine leggendaria della città eterna.

Fig. 18 | Repubblica Romana, C. Poblicius, denario serrato in argento, Roma, 80 a.C., RRC 380/1. D/ Busto elmato e drappeggiato di Roma. R/ Eracle che lotta con il leone di Nemea. Ai suoi piedi si trova la clava. In basso a sinistra sono appoggiati arco e faretra

 

Non a caso, per lo studioso Adriano Savio proprio questa serie potrebbe essere stata la prima d’argento coniata a Roma, a differenza dei precedenti didrammi romano-campani prodotti forse a Neapolis o, comunque, in una zecca magno greca.

Il repertorio erculeo, quindi, caratterizzò la numismatica romana fin dalle sue prime esperienze monetali, testimoniando la notevole diffusione di tale culto. Per i suoi trascorsi locali l’eroe era originariamente venerato presso l’Ara Massima del Foro Boario come protettore del raccolto agricolo e della salute del bestiame. Inoltre era collegato agli specchi d’acqua e ai contratti verbali che si siglavano giurando “Mehercle!” cioè “Per Ercole!”.

Fig. 19 | Repubblica Romana, Fausto Cornelio Silla, denario in argento, Roma, 56 a.C., RRC 426/4b. D/ Testa di Ercole con copricapo leonino, lettere S. C. R/ Quattro corone legate con lastri intorno a un globo, in basso aplustre e spiga

 

Tuttavia, in uno stato dalla spiccata vocazione militarista e imperialista, divenne ben presto simbolo dell’invincibile forza militare di Roma e dei suoi generali. In questo senso numerosi magistrati monetali e personaggi illustri della Repubblica Romana vollero omaggiare Ercole e il suo mito attraverso i denari dell’epoca. Ad esempio un’emissione a nome di Poblicius nell’80 a.C. raffigurò al dritto il busto elmato di Roma e al rovescio l’uccisione del leone di Nemea (fig. 18), mentre il denario del 56 a.C. di Fausto Cornelio Silla, figlio del dittatore, propose come tipo di dritto il ritratto di Ercole con il tradizionale copricapo leonino (fig. 19).

Fig. 20 | Impero Romano, Traiano, tetradramma in argento, Antiochia, 98-117 d.C., Mc Alee 202. D/ Testa di Traiano laureata con clava e aquila. R/ Testa laureata di Melqart-Hercules con pelle leonina al collo

Ercole modello imperiale

Con la fine del governo repubblicano gli augusti trovarono in Ercole un punto di riferimento collaudato a livello mediterraneo per esprimere la retorica celebrativa e trionfalistica del potere imperiale.

La natura intermedia fra l’umano e il divino, insieme alla forza sovrumana, consolidarono l’interpretazione latina dell’eroe come simbolo di virtù militare, di vittoria e di invincibilità. Fu soprattutto a partire dal II  secolo d.C. che si instaurò un rapporto particolare fra Ercole e gli imperatori (fig. 20), i quali riconobbero in lui un modello con cui identificarsi, un tramite fra la romanità e l’immortale esempio di Alessandro Magno, e, infine, un’icona funzionale alla diffusione del culto imperiale.

Fig. 21 | Ritratto di Commodo in figura d’Ercole, 190 d.C. circa, Musei Capitolini, Roma
Fig. 22 | Impero Romano, Commodo, medaglione in oricalco, zecca incerta, 192 d.C., BMC Roman Medallions 42. D/ Testa di Commodo-Ercole con “leontè”. R/ Commodo-Ercole in nudità eroica conduce i buoi; con la destra tiene il giogo e con sinistra la clava e pelle leonina

 

Il legame fra l’augusto e l’eroe assunse toni eclatanti durante il regno di Commodo (180-192 d.C.), come risulta dalle abbondanti testimonianze numismatiche. A dire il vero fin dai tempi di Adriano (117-138 d.C.) la dinastia antonina aveva dato nuovo impulso al culto erculeo, cosicché la monetazione di Commodo rappresentò allo stesso tempo l’apice di questo percorso e una rottura con i suoi predecessori.

Già tra il 183 e il 189 d.C. le emissioni commodiane tradirono una particolare venerazione per Ercole, annoverato fra i comites imperiali, ma la consacrazione della totale simbiosi fra i due personaggi avvenne negli ultimi anni di governo attraverso l’adozione esplicita della leontè e degli attributi dell’eroe nella rappresentazione imperiale (figg. 21 e 22).

Il culmine venne probabilmente raggiunto nel 190 d.C. quando, stando all’Historia Augusta, Commodo fu acclamato come Romanus Hercules durante un’esibizione nell’anfiteatro di Lanuvio, sua città natale e luogo privilegiato per la religiosità erculea. Negli anni seguenti l’Imperatore cominciò a presentarsi come Hercules Commodianus e la sua titolatura mutò ufficialmente in Invictus Hercules Romanus.

Fig. 23 | Impero Romano, Commodo, denario in argento, Roma, 192 d.C., RIC 3, 251. D/ Testa di Commodo-Ercole con “leontè”. R/ All’interno di una corona, legenda HER-CVL/RO-MAN/AV-GV (abbreviazione di HERCULES ROMANUS AUGUSTUS), su tre righe divise da una clava

 

Questa inedita immagine dell’augusto, così distante dallo stile aulico dei suoi predecessori antonini, venne criticata dagli autori al pari di altre stravaganze giudicate orientalizzanti. Infatti Erodiano, storico in lingua greca, ci informa che Commodo “giunse a tal punto di follia che per prima cosa rinunciò al nome paterno e decise di farsi chiamare invece di Commodo, figlio di Marco, Ercole figlio di Giove, depose anche il costume degli imperatori romani e portava una pelle di leone con una clava tra le mani; indossava inoltre vesti di porpora e oro, sicché veniva deriso perché in un solo costume emulava il lusso femminile e la forza degli eroi. (Erodiano, 1, 14, 8)” (fig. 23).

Archiviati gli eccessi di Commodo, gli Imperatori di terzo secolo continuarono a citare Ercole sulle proprie monete anche dopo la dinastia antonina, specialmente per manifestare la stabilità del proprio potere in tempi di ricorrenti crisi militari e insicurezza politica: fra questi, ad esempio, possiamo menzionare Caracalla, Postumo e Probo (fig. 24).

Fig. 24 | Impero Romano, Probo, aureo, Lugdunum, 276 d.C., RIC 5 II, 4. D/ Busto laureato e loricato di Probo. R/ Ercole in nudità eroica tiene clava e pelle leonina nella mano sinistra, mentre con la destra incorona un trofeo militare

 

Contemporaneamente le zecche romane provinciali, soprattutto nelle città orientali ellenizzate, stavano ripercorrendo sui tipi di rovescio la saga delle dodici fatiche con straordinaria varietà di scene e di dettagli (figg. 25 e 26).

Fra III  e IV  secolo d.C., in età tetrarchica, il repertorio dell’eroe tornò centrale nelle emissioni dell’Augusto Maximianus Herculius (286-305 d.C.), nuovamente ritratto con il copricapo leonino secondo l’esempio di Alessandro Magno. In realtà la devozione per Ercole non sfuggì a nessuno dei protagonisti politici dell’epoca, tant’è che anche gli altri tetrarchi, come Massimino Daia e Costanzo Cloro, scelsero di far coniare il proprio volto incorniciato dalla leontè, specilamente su prestigiosi nominali aurei (fig. 27).

Fig. 25 | Impero Romano, Strategus Claudiano Terpandro in nome di Settimio Severo, medaglione in bronzo, Pergamo, 193-211 d.C., SNG Copenhagen 497. D/ Busto laureato e drappeggiato di Settimio Severo affrontato al busto drappeggiato della moglie, l’Imperatrice Giulia Domna. R/ Ercole in nudità eroica lotta con la cerva di afferrandola per le corna
Fig. 26 | Impero Romano, Gordiano III, medaglione in bronzo, Perinto (Tracia), 238-244 d.C., Verbanov 4157. D/ Busto laureato e loricato di Gordiano III. R/ Ercole in nudità eroica tiene la clava con la mano destra e con l’altra raccoglie i pomi d’oro del giardino delle Esperidi. La pelle leonina è appoggiata sul braccio sinistro

 

Nemmeno lo scontro fra Massenzio e Costantino il Grande rimase estraneo all’efficacia propagandistica della retorica erculea. Il primo, figlio di Maximianus Herculius e usurpatore nella penisola italica, fece riferimento all’eroe per ribadire la discendenza dall’augusto padre ed esibire la legittimità del proprio preteso ruolo di paladino di Roma e della romanità (fig. 28).

Fig. 27 | Impero Romano, Costanzo Cloro Cesare, multiplo da 5 aurei, Treviri, 295-296 d.C., RIC 6, 31. D/ Busto di Costanzo Cloro Cesare con “leontè”. R/ Marte elmato, in nudità eroica con mantello, procede verso destra con un trofeo sulla spalla sinistra e una lancia nella mano destra

 

Dall’altra parte Costantino, che invece era il genero di Massimiano, celebrò Ercole Vittorioso sulle monete enee coniate in concomitanza della famosa battaglia di Ponte Milvio (312 d.C) che sancì il suo primo importante trionfo, nonché la fine dell’usurpazione di Massenzio.

Questa scelta iconografica si inserisce coerentemente nella strategia costantiniana finalizzata a sfruttare le proprie emissioni monetali per impadronirsi dei simboli e delle insegne degli avversari, operando una sofisticata competizione ideologica sul terreno dell’immagine pubblica rivolta ai sudditi e all’esercito.

Fig. 28 | Impero Romano, Massenzio, multiplo da 4 aurei, Roma, 307-312 d.C., RIC 6, 167. D/ Testa di Massenzio con “leontè”. R/ Massenzio tiene globo sulla destra e scettro nella sinistra

 

In questo caso la raffigurazione dell’eroe appoggiato alla clava richiamava quella utilizzata sulle monete dello stesso Massimiano: un tipo molto diffuso all’epoca e quasi standardizzato, tanto che per alcuni studiosi sarebbe stato ispirato dal cosiddetto Ercole Farnese. Questa celebre scultura in marmo di III  secolo d.C., rinvenuta presso le Terme di Caracalla a Roma, era una copia dell’originale bronzeo di IV  secolo a.C. attribuito all’artista ellenistico Lisippo. (figg. 29 e 30).

Fig. 29 | Impero Romano, Costantino il Grande, follis in bronzo, Nicomedia, 312 d.C. circa, SMN C 279. D/ Testa laureata di Costantino. R/ Eracle stante in nudità eroica, leggermente inclinato a sinistra verso la clava e la pelle leonina

Fig. 30 | “Ercole Farnese”, copia romana in marmo di III sec. d.C. dall’originale bronzeo attribuito allo scultore ellenistico Lisippo (IV sec. a.C.). La statua, rinvenuta presso le Terme di Caracalla a Roma, è oggi conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli


Un mito immortale anche nel Tardo Impero

Ercole, alle soglie dell’età costantiniana, impersonava sempre più le ambizioni di chi si contendeva il potere assoluto, rappresentando un modello ormai radicato nell’ideologia augustea.

Il riconoscimento del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero portò logicamente ad una rapida scomparsa dei tipi erculei dal repertorio delle zecche romane. Resta, tuttavia, la stupefacente longevità iconografica di Eracle/Ercole che, grazie alla sua fama e ai suoi inconfondibili attributi, accompagnò la numismatica antica mediterranea interpretandone le esigenze comunicative e politiche per quasi un millennio.

Fig. 31 | Metopa ravennate in marmo greco raffigurante Eracle che cattura la cerva di Cerinea. Importata da Costantinopoli è stata datata dagli studiosi ai primi del VI sec. d.C. durante il regno di Teodorico. Museo Nazionale di Ravenna
Fig. 32 | Regno d’Albania, ee Ahmed Zogu, mezzo Lek, nichel, coniato presso la Zecca di Vienna, 1930. D/ Stemma con aquila bicipite. R/ Eracle che lotta con il leone di Nemea

 

La sua scomparsa dalle emissioni monetali del tardo Impero non significò, comunque, un totale abbandono della simbologia erculea da parte dell’arte ufficiale collegata all’immagine del sovrano. Una metopa in marmo greco conservata a Ravenna, raffigurante Eracle che cattura la cerva di Cerinea, è stata datata dagli studiosi al VI  secolo d.C. e attribuita al regno di Teodorico (493-526 d.C.), durante il quale venne restaurata la Basilica Herculis (fig. 31).

L’opera, inserita verosimilmente in un ciclo raffigurante tutte le dodici fatiche, fu importata direttamente da Costantinopoli dove altri rilievi erculei decoravano la Porta d’Oro della capitale bizantina. Possiamo dunque concludere che Ercole, sopravvissuto alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, ha saputo mantenere intatto il proprio fascino fino ai giorni nostri dimostrando un’indiscutibile immortalità non solo mitologica, ma anche storica e numismatica (fig. 32).