di Roberto Ganganelli | Il Corpus neppure lo riporta, altri testi si limitano a citarlo talvolta in modo incompleto oppure scorretto: si tratta, in effetti, di un esemplare unico di scudo delle marche coniato dalla zecca di Piacenza nel 1685 e conservato oggi nelle raccolte ducali parmensi, presso il Complesso monumentale della Pilotta. La moneta, di ben 42 millimetri di diametro e pesante 47,2 grammi d’argento al titolo di 11 once e 12 denari, al momento della sua ideazione valeva 22 lire e 2 soldi.

L'unico esemplare noto di scudo delle marche 1685 per Piacenza è conservato presso il medagliere di Parma
L’unico esemplare noto di scudo delle marche 1685 per Piacenza è conservato presso il medagliere di Parma

A quanto si sa, avrebbe dovuto essere coniata in quantità (200  mila esemplari) ad uso delle fiere dei cambi monetari che si tennero a Piacenza fra il 1685 e il 1693 (ogni anno il 1° febbraio, 1° maggio, 1° agosto e 2 novembre). Oltre allo scudo, si sarebbero dovuti coniare anche i mezzi e i quarti di scudo, con stesso titolo e pesi a proporzione. La battitura, tuttavia, non ebbe seguito e il 20 agosto 1685 venne emanato un proclama che definì lo scudo di marche come una moneta di conto, fissando la valutazione rispetto ad esso delle monete plateali accettate in fiera

Questo unicum piacentino reca al dritto il busto di Ranuccio II Farnese (1630-1694) corazzato e volto a destra, intorno RAN . FAR . PLA . ET . PAR . DVX  VI. e sotto al busto sigla P. B. F.; nel campo, un angolo o genio alato, semi sdraiato a sinistra, drappeggiato, regge con le braccia lo stemma dei Farnese coronato; intorno la legenda latina ARGENTEA REDDET SOECVLA (“L’argento sarà per sempre”, si noti l’errore SOECVULA invece di SAECVLA) con in basso il millesimo (1685).

Ranuccio II Farnese, duca di Parma e Piacenza, ritratto assieme ad uno dei suoi fedelissimi cani
Ranuccio II Farnese, duca di Parma e Piacenza, ritratto assieme ad uno dei suoi fedelissimi cani

L’esemplare riporta sigla P. B. F. che, secondo alcune fonti, potrebbe essere la sigla di “uno zecchiere di cui non ci è pervenuto il nome”. L’Affò ipotizza tuttavia possa trattarsi di Pietro Paolo Borner (1656-1727), artista nato a Lucerna e conosciuto soprattutto per le sue monete e medaglie realizzate alla corte pontificia sotto i papi Alessandro VII, Innocenzo XII e Clemente VII.

Il Forrer, nelle sue note biografiche sull’artista elvetico che tanta fortuna ebbe in Italia, riporta come firme conosciute P. P. BORNER F., P. BORNER F., P. B., B. F., BORNER F. e P. P. B. F. alle quali si aggiungerebbe quella (P. B. F.) incisa sullo scudo delle marche farnesiano del 1685.

A confermare questa ipotesi, e a mostrare come un grande artista rielabori e riproponga – anche a distanza di molto tempo – un’idea felice troviamo, diciassette anni più tardi, una seconda moneta: l’argentea mezza piastra di Clemente XI Albani, 1702-II, battuta a Roma e firmata P B, al pari della stessa moneta contrassegnata dalla data 1704-IIII.

La mezza piastra papale con dritto araldico inciso dal Borner ispirandosi chiaramente alla precedente moneta piacentina
La mezza piastra papale con dritto araldico inciso dal Borner ispirandosi chiaramente alla precedente moneta piacentina

Su questa elegante tipologia pontificia del diametro di mm 37-38 e del peso medio di 16,2 grammi, al rovescio è modellato San Crescentino, patrono della città natale del papa (Urbino), al galoppo verso destra e in atto di trafiggere il drago (splendida prova di abilità incisoria di un giovane Ermenegildo Hamerani, appena diciannovenne). Al dritto, invece, spicca una composizione nella quale un angelo – voilà le dejà vu! – reclinato e drappeggiato sostiene lo stemma a targa di papa Clemente XI con tiara e chiavi completato, a simboleggiare una nuova era di prosperità, da una classica cornucopia traboccante di spighe.

Osservando con attenzione le due composizioni araldiche, quella del 1685 e quella del 1702, si nota in ogni caso più di una differenza, non soltanto nella posizione del volto (frontale o di profilo) o nell’anatomia dell’angelo (più massiccio quello piacentino, più snello quello papale) oppure, ancora, nella forma della targa dello stemma.

Ciò che emerge più evidente è la maturazione tecnico stilistica di un artista di zecca già talentuoso in gioventù e che, col tempo, seppe affinare le proprie doti al punto da realizzare alcune delle più belle monete papali a cavallo tra ‘600 e ‘700 e da proporre per due volte un soggetto fino ad allora inedito nella numismatica italiana. Con fiducia tale nelle proprie capacità… da metterci tanto di firma!