Ritorna all’asta, tra le monete veneziane dell’incanto Nomisma 10 del 24-35 maggio (al lotto 549) un rarissimo esemplare di quella che possiamo ribattezzare “osella del leone”, anno 1701, secondo di governo del doge Alvise II Mocenigo (1700-1709).
Il dritto della moneta donativo, valore 4 zecchini in oro, è abbastanza classico e ci mostra il doge in ginocchio che riceve il vessillo da san Marco; attorno, entro due cerchi di perline e fra stelle S M V ALOYS MOGENIGO D. In esergo le lettere G T S che indicano lo zecchiere Giovanni Tommaso Soranzo.
È il rovescio di questa osella del leone, tuttavia, ad essere più intrigante dal momento che, per l’appunto, raffigura il maestoso felino selvatico – simbolo anche di san Marco, nella sua versione alata – in posizione di riposo, acquattato a sinistra con in esergo l’indicazione, fra stelle, ANN II dell’anno di emissione e, attorno, la legenda latina OCVLIS CVBAT APERTIS.
L’allusione è al proverbio latino VIGILANTEM DORMIRE (“Dormire ad occhi aperti”) da Plauto (Pseudolo, 396) e, in senso figurato, alla neutralità dichiarata da Venezia nella Guerra di successione spagnola. Con questa osella si apre una serie che rispecchia, al di là della marzialità del soggetto, un periodo di scarsa incidenza di Venezia nello scenario diplomatico e militare dell’epoca.
Dopo la pace di Carlowitz, la Serenissima si trincerò dietro le parole d’ordine “acutezza e sorveglianza” per nascondere una politica debole, una diplomazia incapace di prendere una posizione netta e una serie di perplessità interne al governo veneziano in merito agli eventi bellici scoppiati in Italia.
La Repubblica dichiarò in modo esplicito alle corti di Vienna, Versailles e Madrid la sua neutralità, pur volendo far intendere di essere sempre “un leone che dorme ad occhi aperti”, ossia pronto ad azzannare alla prima minaccia. In realtà, quando le armate francesi e austriache penentrarono in Val Padana violando i territori veneziani l’opposizione fu blanda se non inesistente.
L’osella del leone del 1701 che va in asta Nomisma Verona 10, dunque, rimase come beffardo segno numismatico e vuoto, per quanto prezioso oggetto di propaganda, sebbene oggi sia (come tutte le oselle in oro) rara, ricercata e apprezzata dai collezionisti.