Le ferree leggi dei Romani impedivano l’uso di denari e sesterzi – simboli dello Stato – in questi luoghi, punendo i trasgressori perfino con la morte

 

di Antonio Castellani | Lo sapevate che nell’antica Roma, durante l’Impero, un decreto proibiva severamente di usare la moneta corrente nelle pubbliche latrine e nei postriboli?

Per entrare in questi luoghi i romani dovevano munirsi in anticipo di speciali contromarche bronzee, le spintriae, recanti figurazioni erotiche al dritto, mentre al rovescio figurava una cifra forse progressiva per stabilire il turno. La mancata osservanza di questo divieto veniva punita addirittura con la morte.

Un esemplare di "spintria" in bronzo probabilmente usato nelle case di piacere dell'antica Roma come "contromarca di servizio"; quella che in tempi più recenti sarebbe diventata la ben nota "marchetta"
Un esemplare di “spintria” in bronzo probabilmente usato nelle case di piacere dell’antica Roma come “contromarca di servizio”; quella che in tempi più recenti sarebbe diventata la ben nota “marchetta”

Il fatto è che, per i Romani, la moneta è sacra. Quando Roma per necessità commerciali, abbandonato il vecchio e scomodo sistema del baratto e della pesatura dei pezzi di bronzo informi (l’aes rude), introdusse nella sua economia la moneta, a somiglianza di quella che circolava in Oriente in Grecia e nella Magna Grecia, su di essa venne impressa l’effigie personificata di una divinità, per dare alla moneta quel carattere di sacralità che sanciva la sovranità, potestas et imperium, propri dello Stato.

L’unità monetaria, l’asse di bronzo, porta al dritto la testa bifronte di Giano, divinità originaria dei Latini, che presiedeva a tutti gli inizi, che “apriva” e “chiudeva”; le due facce indicavano infatti i due aspetti del passaggio. La moneta è sacra, a tutti gli effetti, e i simboli che reca lo dimostrano.

Giano era una divinità indigena, fortemente contrapposta alle divinità novensides, cioè acquisite al culto romano da popoli stranieri, e tradizione vuole che fosse un monarca italico che, per primo, aveva fabbricato monete.

Un magnifico esemplare di "aes grave" fuso a Roma (289-225 aC); al dritto la resta di Giano bifronte e al rovescio la "prora navis" rivolta a sinistra, con segno di valore I (Ae, g 79,15)
Un magnifico esemplare di “aes grave” fuso a Roma (289-225 aC); al dritto la resta di Giano bifronte e al rovescio la “prora navis” rivolta a sinistra, con segno di valore I (Ae, g 79,15)

Giano era anche venerato come dio della guerra e della pace, poiché la guerra è sempre un “inizio” con esito incerto. A lui, a Roma, era dedicato un tempio chiuso in tempo di pace, aperto durante la guerra.

Dopo Giano, tutto l’Olimpo degli dei, delle dee maggiori e minori, dei semidei, delle personificazioni deificate delle virtù, dei pregi e dei sentimenti umani è presente sulle monete di Roma. La moneta – sia durante la Repubblica che durante l’Impero – portò quasi sempre il riferimento ad una divinità o ad un monarca divinizzato come simbolo della potestas statale ed anche per rendere simile ad un sacrilegio qualsiasi contraffazione o falsificazione.

La religione dei Romani consisteva infatti in un feticismo antropomorfo che deificava sia i fenomeni naturali sia i sentimenti e le attività umane ed era ad una istituzione dello Stato che veniva affidata la suprema direzione del culto. Fu proprio la superstizione religiosa, in definitiva, uno dei maggiori elementi di coesione della nazione romana.