Dagli scomodi pezzi di metallo usati come moneta primitiva alle prime coniazioni | Plutarco e le prime “tartarughe” di Egina rimaste nella storia

 

a cura della redazione | Lo sapevate che i lingotti o spiedi di ferro, usati come moneta nel VII secolo a.C., necessari a raggiungere il valore di mille dracme, richiedevano veri e propri magazzini per essere conservati e un paio di buoi per trasportali? Lo racconta niente meno che Plutarco, lamentandosi che queste arcaiche “monete” fossero ingombranti e pesanti.

Plutarco, filosofo, scrittore e sacerdote greco vissuto fra I e II secolo dopo Cristo, così come immaginato in un'incisione antica
Plutarco, filosofo, scrittore e sacerdote greco vissuto fra I e II secolo dopo Cristo, così come immaginato in un’incisione antica

Ogni volta occorreva pesare gli spiedi al fine di assicurarsi che il loro contenuto metallico fosse quello dovuto; quindi, dopo un certo tempo si stabilì che queste ripetute pesature si sarebbero potute eliminare se su ogni lingotto fosse stato impresso un apposito marchio che ne garantisse il peso e la provenienza.

La strada per verso la moneta vera e propria era stata aperta. Ora occorreva trovare il metallo adatto. Tuttavia, nel Peloponneso non c’erano oro e argento mentre abbondava il ferro, per cui il denaro corrente era formato proprio da lingotti e spiedi di questo metallo.

Una drax (pugno) di lingotti spiediformi valeva una dracma. A sostituire queste scomode monete sarebbe stato per primo Fedone di Argo nel cui regno rientrava la città-isola di Egina, il più importante porto commerciale della Grecia, la “spina nell’occhio del Pireo”, come la chiamò Erotodo, alludendo alla concorrenza che Egina esercitava nei traffici marittimi nei riguardi delle vicine Atene e Corinto.

Proprio grazie all’intensa attività commerciale del suo porto, ad Egina tra le tante merci affluiva in grande quantità l’argento, metallo ideale per battere moneta. Da qui la coniazione proprio ad Egina di monete in argento – gli oboli – che pesavano la quattrocentesima parte dei loro “fratelli maggiori” fusi in ferro.

Egina, circa 380 a.C., statere in argento del peso di g 12,24. Al D/ una tartaruga vista dall'alto; al R/ quadrato incuso frazionato in più parti (Millbank tav. 2, 14; SNG Lockett 1995)
Egina, circa 380 a.C., statere in argento del peso di g 12,24. Al D/ una tartaruga vista dall’alto; al R/ quadrato incuso frazionato in più parti (Millbank tav. 2, 14; SNG Lockett 1995)

Queste prime monete portano al dritto una tartaruga di mare, che per Plutarco era il simbolo delle virtù domestiche dato che la sua casa fa corpo con lei ed essa non l’abbandona mai. L’animale, inoltre, appartiene sia alla terra che all’acqua, si trova a suo agio in tutti e due gli elementi e riunisce le loro proprietà e le loro ambivalenze.

Un simbolo ben scelto per un popolo di marinai, che rimase come emblema della polis per ben due secoli. Durante questo periodo le “tartarughe” d’argento (in realtà stateri, oboli e mezzi oboli) furono coniate a migliaia e diventarono la moneta principale del Peloponneso.