Le lire usate nel XVIII secolo nei possedimenti sabaudi | La Sardegna, da “fastidioso impiccio” a tessera iniziale dell’Unità nazionale

 

di Enrico Piras | Nel 2011 si è celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Per l’occasione sono state rimesse a nuovo le residenze reali dei Savoia, si sono tenuti convegni di studio, sono stati pubblicati libri e sono state realizzate manifestazioni di ogni genere, sebbene senza particolare enfasi – come al solito – sull’aspetto numismatico e medaglistica.

La moneta, un simbolo di unità nazionale

Nessun oggetto della vita quotidiana, tuttavia, accomuna tutti gli italiani e rappresenta l’unità nazionale come le monete. L’avvento dell’euro, valuta transnazionale per eccellenza, ha un po’ attenuato questa carica simbolica; tuttavia, quando sul rovescio delle monete da un euro scorgiamo l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, ci ricordiamo di essere italiani e di avere fortunatamente ancora qualche motivo per esserne orgogliosi.

Il Regno di Sardegna in una carta geografica pubblicata in un libro inglese di inizio XIX secolo
Il Regno di Sardegna in una carta geografica pubblicata in un libro inglese di inizio XIX secolo

Tanto più che, a pensarci bene, le cose non sono state sempre così: l’Italia è uno Stato giovane e la sua unità è stata la fase finale di un percorso a tappe, partito da molto lontano e costruito palmo a palmo col sudore e non di rado col sangue di migliaia di persone. E una moneta, in particolare, ci ricorda cosa era l’Italia prima di diventare una nazione.

Si tratta di uno scudo d’argento di Carlo Emanuele III (1701-1773). La moneta, coniata fra il 1768 e il 1769, raffigura al diritto il busto del sovrano volto verso sinistra, accompagnato dalla legenda CAR EM D G REX SAR CYP ET IER e dalla data in esergo; al rovescio, invece, troviamo lo stemma sardo, caratterizzato dai quattro mori sormontati da una corona, con la legenda DVX SAB ET MONTISFER PRINC PED &.

Un magnifico esemplare di scudo d'argento per la Sardegna, con stemma dell'isola, battuto a Torino nel 1768
Un magnifico esemplare di scudo d’argento per la Sardegna, con stemma dell’isola, battuto a Torino nel 1768

Le legende ricordano i titoli del sovrano, che “per grazia divina” (D G sta per “Dei gratia”) era re di Sardegna, di Cipro, di Gerusalemme e così via. L’esemplare che esaminiamo ha un diametro di mm 38 e un peso di circa g 23, e si presenta abbastanza consunto; d’altra parte, questa emissione fu caratterizzata da una qualità dell’incisione piuttosto scadente e da un conio molto basso.

Lo scarso rilievo conferito sia all’immagine che alla legenda faceva sì che la moneta, passando di mano in mano, si usurasse molto rapidamente, tanto che i rari esemplari splendidi e fior di conio hanno oggi valutazioni molto elevate.

Un bel mezzo scudo sardo con ritratto di Carlo Emanuele III di Savoia coniato nel 1768
Un bel mezzo scudo sardo con ritratto di Carlo Emanuele III di Savoia coniato nel 1768

La moneta ebbe diffusione in Sardegna ma fu coniata in Piemonte, nella zecca di Torino. Con il Trattato dell’Aja del 1720, la Sardegna era passata dagli spagnoli ai Savoia, con il tramite dell’Austria. Pur entrando a far parte di quello che sarà chiamato Regno sardo-piemontese, l’isola fu in un certo senso tenuta in disparte, come se si trattasse di uno Stato separato.

La Sardegna e un titolo di re pittosto “scomodo”

Tanto Vittorio Amedeo II quanto il suo successore e figlio Carlo Emanuele cercarono addirittura di disfarsi della nuova acquisizione, barattandola senza tanti complimenti con qualche territorio più vicino ai loro possedimenti continentali.

D’altra parte, all’epoca la Sardegna doveva essere una bella patata bollente: era una terra arida e misera, dove vigeva ancora il feudalesimo. Falliti i tentativi di compravendita, Carlo Emanuele si dovette rassegnare a tenersi la Sardegna, e dovendola governare, si decise infine a governarla bene, affidandola alle cure del conte e ministro, nonché suo amico, Luigi Bogino.

Un quarto di scudo sardo del 1768 con rilievi usurati dalla circolazione
Un quarto di scudo sardo del 1768 con rilievi usurati dalla circolazione

Quest’ultimo onorò l’incarico facendo del suo meglio per mettere qualche toppa alla rovinosa situazione sarda. Per esempio, l’agricoltura venne modernizzata e le università di Cagliari e Sassari, quasi abbandonate, furono ripristinate. Tuttavia, il feudalesimo imperante non fu intaccato nelle fondamenta e la Sardegna rimase una sorta di “corpo estraneo” rispetto agli altri possedimenti di Casa Savoia; un fatto, questo, del quale la situazione monetaria fu a lungo lo specchio fedele.

Lire sarde e lire piemontesi: due sistemi paralleli

Infatti Vittorio Amedeo II, seguito da Carlo Emanuele III, decise di lasciare immutato il sistema monetario dell’isola, che si basava sulla lira sarda. Così, a Torino si cominciarono a battere monete in lire di due diversi tipi, destinate rispettivamente alla terraferma e alla Sardegna.

Gli esemplari coniati erano simili nell’aspetto, ma diversi nel valore, tanto che chi si recava nell’isola dal continente, o viceversa, doveva provvedere a cambiare i propri contanti, come se stesse andando all’estero; ovviamente, ciò avveniva sulla base di un tariffario appositamente predisposto.

Sullo scudo d'argento da 6 lire piemontesi lo stemma coronato al rovescio è quello che, circondato dal collare dell'Annunziata, assomma in sè tutti gli stemmi dei possedimenti sabaudi
Sullo scudo d’argento da 6 lire piemontesi lo stemma coronato al rovescio è quello che, circondato dal collare dell’Annunziata, assomma in sè tutti gli stemmi dei possedimenti sabaudi

Questo, dunque, era ciò che avveniva nel 1768. Meno di un secolo dopo, i Savoia avevano già riunito sotto la propria corona l’Italia intera. Un Paese, all’epoca, pieno di divisioni, di contrasti interni e di gravi problemi, di alcuni dei quali si pagano tuttora le conseguenze.

Una nazione nata un po’ per caso e – dicono gli storici – e un po’ “progettata a tavolino”, ma destinata comunque a diventare ciò che il regno di Carlo Emanuele III non fu mai, cioè una vera nazione. Per dirla con Manzoni, “Una d’arme, di lingua, d’altare, di memoria, di sangue e di cor”. E, aggiungiamo noi con un pizzico di insolenza, anche di moneta.