“Noi crediamo in questa guida e non possiamo sbagliare”

A metà del XVII secolo la Serenissima è impegnata nella Guerra di Candia e servono fondi per finanziare la campagna bellica. Così, il doge Francesco Molin si inventa la "vendita del patriziato"...

863
Noi crediamo in questa guida e non possiamo sbagliare

a cura della redazione | Nel 1652, il 99° doge di Venezia Francesco Molin, alla guida della Serenissima dal 20 gennaio 1646 fa coniare l’osella in argento qui illustrata (mm 36 per gr 9,29-9,56) al cui rovescio è incisa la scena del passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei: in primo piano Mosè inginocchiato guarda verso il cielo, mentre da una mano in alto (la mano di Dio) scendono raggi a illuminarlo; a sinistra, alle spalle degli uomini in marcia, una colonna di fuoco, più volte citata dall’Esodo (c. 13, v. 21 e c. 14, v. 24) come guida di Dio e insieme barriera insuperabile per gli inseguitori egiziani.

Come Dio aveva protetto gli Ebrei dal Faraone e dal suo esercito, concedendo loro di tornare nella terra promessa, così – dice la legenda dell’osella – Dio proteggerà Venezia nella difficile Guerra di Candia in atto contro gli eterni avversari, i Turchi: “Chi spera da qui non erra” (HINC SPERANS NIHIL ERRANS, coni NIHIL riportato in moneta nella forma semplificata NIL).

Uno dei migliori esemplari conocsciuti dell'osella in argento del 1652 raffigurante sant'Antonio al dritto e Mosè
Uno dei migliori esemplari conocsciuti dell’osella in argento del 1652 raffigurante sant’Antonio al dritto e Mosè che separa le acque al rovescio: un omaggio al Santo e un’invocazione per la difficile situazione bellica a Candia

Una guerra, quella portata avanti dal doge Molin, nella quale lo stallo delle operazioni militari e la grande dispendiosità dell’apparato bellico stavano costringendo la Repubblica di Venezia a cercare qualsiasi fonte di reddito; una di esse venne individuata nella vendita della nobiltà patrizia in cambio di 130.000 ducati (90.000 come “regalo” ed altri 40.000 sotto forma di “prestito”). Si trattava di una cifra notevolissima: in termini di nudo peso d’oro, circa 455 chilogrammi. E naturalmente anche lo scandalo fu enorme ma il doge, personaggio assai pragmatico, preferì incassare le generose offerte giunte dal ceto mercantile che, così, vedeva finalmente possibile il suo accesso alla nobiltà.

Da non dimenticare che questa osella celebra anche l’adozione di sant’Antonio da Padova a protettore della città di Venezia, avvenuta proprio nel 1652 con il trasporto di alcune sue reliquie in Laguna. Al dritto, infatti, è rappresentato il Santo con un ramo di giglio nella mano destra a simboleggiare che “Il culto di sant’Antonio fiorirà in eterno a Venezia” (FLOREBIT AETERNO). Un atto di fede ma anche, c’è da scommetterci, la ricerca di un ulteriore “appoggio” dall’alto nel difficile momento storico.