Note e APPROFONDIMENTI sulle monete siciliane di CASA SAVOIA

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Da un nostro collaboratore, integrazioni e precisazioni sull’inedito di Mario Traina dedicato alle coniazioni palermitane di Vittorio Amedeo II

 

a cura della redazione | Ci scrive Carmelo R. Crupi, già nostro valente collaboratore, in merito all’articolo Storia e monete di Vittorio Amedeo II, il primo vero re di Casa Savoia (leggi qui), inedito contributo di Mario Traina che abbiamo pubblicato tempo fa.

Ringraziamo il signor Crupi per questo esemplare approfondimento, che vi lasciamo il piacere di leggere e che rivela uno studio certosino sulle fonti e sui documenti tale da integrare e chiarire ulteriormente – in quello spirito di sano dibattito e di aspirazione alla completezza e correttezza delle informazioni proprie anche del maestro Traina – quanto egli ci ha lasciato alla sua scomparsa nel 2010.

Scrive Crupi: “Mi congratulo e vi ringrazio per la magnifica iniziativa volta a pubblicare gli ultimi saggi di Mario Traina, rimasti per troppo tempo nel buio informatico di un hard disk, come avete ben detto. Già pregusto il piacere di leggerli sulla vostra testata online.

Questo, infatti, è il miglior modo per onorare la memoria del pregevole giornalista e studioso, all’insegna della divulgazione numismatica, cui Mario Traina, come noto, ha dedicato la gran parte della propria vita. Mi sia consentita, ad ogni buon conto, una brevissima nota critica all’inedito studio di Traina sulla monetazione palermitana a nome di Vittorio Amedeo II.

Ciò che mi accingo a scrivere intende onorare la memoria del competente studioso e numismatico, nel solco della ricerca, dell’approfondimento e del confronto, elementi senza i quali la Numismatica, quella con la N maiuscola, non avrebbe ragion d’essere.

Moneta da un tarì del 1713 coniata a Palermo sotto Vittorio Amedeo II di Savoia con al rovescio le iniziali DD | AC del maestro di zecca "Doctor Don Antonino Calcerano"
Moneta da un tarì del 1713 coniata a Palermo sotto Vittorio Amedeo II di Savoia con al rovescio le iniziali DD | AC del maestro di zecca “Doctor Don Antonino Calcerano”

Antonino Calcerano, maestro di zecca ma non incisore

Il maestro della zecca di Palermo all’epoca di queste emissioni fu Don Antonino Calcerano e le iniziali DD AC che si trovano su alcune di esse significano ‘Doctor Don Antonino Calcerano’, sulla base di quanto ha tramandato Gioacchino Di Marzo nei Diari della città di Palermo, volume VIII, Palermo 1871. Il nome corretto del maestro di zecca è indicato come ‘Antonino Calcerano’ anche da G. E. Di Blasi nel suo Storia cronologica dé Vicerè, Luogotenenti e Presidenti del Regno di Sicilia, tomo III, parte I, pubblicato a Palermo nel 1791.

Inoltre in tutti i documenti storici che ho avuto modo di analizzare sulla monetazione in parola, Calcerano è sempre qualificato esclusivamente come maestro della zecca di Palermo, e mai come incisore dei coni. In questo contesto, dunque, sarebbe essenziale conoscere la fonte bibliografica da cui Traina ha tratto questa informazione.

Poche monete preziose? I documenti ci dicono che…

Mi duole dissentire anche sul fatto che la tradizione monetaria siciliana sarebbe stata contraddistinta da poche monete in metallo nobile e da una quantità imponente di monete di metallo vile. A ben vedere, ciò non fu: innumerevoli bandi e prammatiche del Regno di Sicilia in tema monetario, dal XV al XVIII secolo ed oltre, come bene hanno messo in evidenza Antonino Della Rovere nel XIX secolo e, in tempi più recenti, Carmelo Trasselli, Romualdo Giuffrida e Antonino Giuffrida, stanno a testimoniare che di monete in metallo prezioso, soprattutto in argento, in Sicilia nei secoli in questione se ne batté una quantità considerevole.

Vittorio Amedeo II ritratto col titolo di re di Sicilia (oltre che con quelli "virtuali" di Cipro e Gerusalemme) su questa rarissima doppia in oro coniata dalla zecca di Torino nel 1714
Vittorio Amedeo II ritratto col titolo di re di Sicilia (oltre che con quelli “virtuali” di Cipro e Gerusalemme) su questa rarissima doppia in oro coniata dalla zecca di Torino nel 1714

Nonostante ciò, l’Isola ne veniva continuamente ed inesorabilmente svuotata, vuoi per il drenaggio di metalli preziosi, non solo monetati, messo in atto dalla Spagna durante i secoli del Viceregno per ripianare i propri debiti guerreschi, vuoi per la secolare criticità di tutti i sistemi monetari bimetallici (anzi, nel caso della Sicilia si deve parlare di sistema monetario trimetallico oro-argento-rame, per il fatto che anche le monete di rame avevano un nominale strettamente connesso al relativo valore intrinseco): lo squilibrio tra i valori commerciali dell’oro e dell’argento.

Su questo argomento Vincenzo Ruffo ne La Regia zecca di Messina da documenti inediti (Archivio Storico Siciliano, 1913) dallo studio dei documenti della zecca messinese che riuscì a estrarre ancora leggibili da sotto le macerie dovute al terribile terremoto che colpì entrambe le città dello Stretto nel 1908, è riuscito a fornire il dettaglio annuale delle libbre di oro, argento e rame lavorate nella zecca di Messina per la produzione di monete nel periodo da novembre 1554 a febbraio 1589: ebbene in poco meno di 35 anni ivi si lavorarono 212 libbre di oro, 292.266 d’argento e 313.442 libbre di rame (la libbra siciliana era pari a g 317,34), e dunque ben il 48% circa del peso totale di metallo lavorato riguardò metalli preziosi.

Vincenzo Ruffo studiò documenti di zecca estratti da sotto le macerie del terremoto che colpì Messina nel 1908 ricavandone importanti informazioni sulla monetazione siciliana
Vincenzo Ruffo studiò documenti di zecca estratti da sotto le macerie del terremoto che colpì Messina nel 1908 ricavandone importanti informazioni sulla monetazione siciliana

Ed ancora, sempre da quanto ha tramandato Ruffo, dai conti della zecca peloritana risulta che dal 1° settembre 1609 al 3 agosto 1610 il Maestro di zecca Decio Cirino lavorò nette libre 96.203 d’argento per produrre la nuova monetazione voluta nel 1609 dal vicerè Marchese di Vigliena, ovvero più di 30 tonnellate e mezzo d’argento!

Al margine è interessante notare che per l’approvvigionamento dell’argento necessario a questa imponente coniazione di moneta argentea, Vigliena non esitò a requisire le argenterie dei privati cittadini siciliani. Ad ulteriore conferma di questa tesi, valgano le parole di Antonino Della Rovere (che fu, tra le altre cose, Soprintendente alla monetazione della zecca di Palermo nel XIX secolo): dal 1607 al 1618 nella zecca di Messina vennero battute monete d’argento per 5.107.060 scudi, e che, nonostante questa imponente produzione, nel 1618 la Sicilia si ritrovò sprovvista di moneta argentea a tal punto che anche le transazioni commerciali importanti non potevano che onorarsi con la moneta spicciola di rame, l’unica rimasta in circolazione.

“Scudo” o piuttosto “trionfo”? Quale nome per quell’aurea moneta?

Non sono affatto persuaso, inoltre, che la moneta aurea coniata a Palermo a nome di Vittorio Amedeo II si possa appellare ‘scudo’. Sul presupposto che sia Trasselli che Traina sono dell’opinione che tutte le monete palermitane di Vittorio Amedeo II furono coniate sullo stesso piede monetario già in vigore in Sicilia, preme notare che non si conoscono atti ufficiali del re piemontese relativi ad una possibile riforma monetaria.

Un gradevole esemplare di moneta da 3 piccioli in rame coniata a Palermo sotto i Savoia, esattamente nell'anno 1714: al dritto l'aquila dinastica caricata dello scudo araldico
Un gradevole esemplare di moneta da 3 piccioli in rame coniata a Palermo sotto i Savoia, esattamente nell’anno 1714: al dritto l’aquila dinastica caricata dello scudo araldico

Se tali atti ci fossero stati, con ogni probabilità sarebbero stati conosciuti da Antonino Della Rovere che, però, nei suoi scritti giunti fino a noi non ne fa cenno, pur descrivendo nei minimi particolari tutte le riforme monetarie succedutesi in Sicilia dal XVI secolo fino ai suoi giorni (Della Rovere scrisse nel XIX secolo).

Su questo legittimo presupposto, l’unica moneta aurea prevista dal sistema monetario siciliano in vigore al tempo di Vittorio Amedeo II era il trionfo, che fu battuto a Palermo a nome di Carlo II d’Asburgo nell’anno 1697. Tanti studiosi e cataloghi numismatici hanno definito questa moneta anche come ‘scudo riccio’ ma a mio avviso siffatta denominazione è errata e fuorviante.

Da quanto mi consta, il primo autore a chiamare questa moneta aurea palermitana come ‘scudo riccio’ fu nel 1715 Cesare Antonio Vergara, che la ascrisse, oltretutto, alla zecca di Napoli. Successivamente, prendendo acriticamente per buona la denominazione utilizzata da Vergara, siffatta, scorretta, denominazione è stata ripetuta da molti fino ai nostri giorni.

Un esemplare di trionfo in oro a nome di re Carlo II coniato nell'anno 1697 al peso legale di g 3,30: rimarrà questa la pezzatura aurea siciliana di riferimento anche a inizio XVIII secolo
Un esemplare di trionfo in oro a nome di re Carlo II coniato nell’anno 1697 al peso legale di g 3,30: rimarrà questa la pezzatura aurea siciliana di riferimento anche a inizio XVIII secolo

Fondamentale, in questo contesto, è rifarsi all’atto ufficiale concernente l’istituzione di questa artistica moneta palermitana, ovvero al Bando e comandamento del 22 febbraio 1697, promulgato su iniziativa del viceré Duca di Veraguas: la nuova moneta è sempre e soltanto chiamata trionfo, ed essa doveva corrispondere allo zecchino (ducato) di Venezia per il peso e per il fino. Il peso legale del trionfo 1697 è fissato ufficialmente a trappesi 3 e cocci 15, che corrispondono a 3,30 grammi, mentre il titolo dell’oro è fissato in 23 carati e ⅞, che corrisponde a poco meno di 995 millesimi, dovendo il restante ⅛ di carato finanziare le spese di fabbricazione; il valore commerciale del trionfo (e del ducato veneziano) è altresì fissato in tarì 25 in moneta d’argento.

Per converso, le precedenti monete auree siciliane denominate ‘scudo’, ovvero quelle battute a nome di Carlo V e di Filippo II, furono entrambe battute a Messina secondo l’ordinanza del viceré Ferdinando Gonzaga del 25 luglio 1541: oro a 22 carati con tolleranza in meno di ⅛ di carato, al taglio di 94,54 scudi per ogni libra di oro, il che significa che ogni scudo aveva un peso legale di 3,38 grammi. Salta immediatamente agli occhi la sostanziale differenza tra lo scudo d’oro siciliano e il trionfo, sia in termini di peso che di titolo. Per questi motivi, a mio avviso, la corretta denominazione della monetazione aurea coniata a Palermo a nome di Vittorio Amedeo II è ‘trionfo’.

Inoltre, alla luce di quanto visto sopra, ovvero del fatto che il trionfo aveva le medesime caratteristiche nummologiche del ducato di Venezia, anche ‘ducato’ è, al limite, denominazione accettabile. Certamente nulla si ha a che vedere con lo scudo siciliano, anche perché, ai tempi di Vittorio Amedeo II di Savoia come re di Sicilia, tale denominazione è sempre utilizzata nei documenti coevi per indicare il massimale argenteo da 12 tari”.