In una rarissima moneta, il principe di Bozzolo come un camaleonte ribadisce la propria fedeltà imperiale

 

a cura della redazione | Ci spiega Mario Traina ne Il linguaggio delle monete che SIMILIS ERO (oppure SIMILIS AERO) è una citazione latina ispirata dalla Prima lettera di Giovanni (3, 2) che recita, in riferimento al Salatore, “Scimus quoniam, cum apparuerit, similes ei erimus” (“Sappiamo che quando si manifesterà, saremo simili a lui”).

Giulio Cesare Gonzaga, principe di Bozzolo, ritratto al dritto della moneta
Giulio Cesare Gonzaga, principe di Bozzolo, ritratto al dritto della moneta

Il significato è semplice, “Sarò simile”, e questo motto appare nella numismatica italiana con Giulio Cesare Gonzaga (1552-1609), principe di Bozzolo.

Costui lo fa apporre su di una estremamente rara piastra d’oro (mm 42 per g 32,76) da cinque doppie a circondare la raffigurazione del camaleonte con una mano che sporge dalle nubi con un drappo.

In Rossi, Guidetti e nel catalogo I Gonzaga, arte, moneta e storia (1995) la piastra d’oro è riportata come una moneta. Magnaguti (1961, VIII, p. 22) in un primo tempo la indicò come emissione di ostentazione da dieci ducati da donare all’imperatore Rodolfo II all’atto dell’apertura della zecca.

Come un camaleonte cambia colore, così il Gonzaga si adatta docilmente agli ordini di colui che lo ha benficiato
Come un camaleonte cambia colore, così il Gonzaga si adatta docilmente agli ordini di colui che lo ha benficiato

Successivamente lo stesso Guidetti – per l’esistenza di altri esemplari simili in argento, bronzo e rame di forma ovale – considerò medaglia sia l’esemplare in oro (Corpus n. 1) che quello in bronzo (Corpus n. 2, prova).

Diverse le interpretazioni. Il camaleonte cambia il proprio aspetto secondo l’ambiente in cui si trova: secondo Signorini, “Il principe esprime la volontà di essere simile a Dio, quando questi apparirà, perché egli ha amato Dio e secondo le parole di sant’Agostino, ognuno sarà ciò in cui avrà riposto il suo amore, terra se terra, Dio se Dio” (cfr. Malacarne-Signorini 1996, p. 155, n. LXXXIV).

Mentre Signorini vede nella mano che sporge dalle nubi la mano di Dio (ma giudica inspiegabile il significato del drappo), Affò e Arrivabene, identificandola con quella dell’imperatore, spiegano insieme a Maffezzoli (1994, p. 72, nota 21) così l’impresa: Giulio Cesare Gonzaga manifesta la sua volontà di adattarsi con docilità, come il camaleonte, ai voleri (il drappo) dell’imperatore (la mano).