È quella dell’anno VI di Clemente XI Albani, opera di un autore quasi sconosciuto e che vede il papa, la notte di Natale del 1705 scagliarsi contro i giansenisti

 

di Roberto Ganganelli | È la notte di Natale dell’anno 1705: nella Papale arcibasilica maggiore arcipretale liberiana di Santa Maria Maggiore, a Roma, il sommo pontefice Clemente XI presiede la messa solenne. Non lo fa in San Pietro ma, in ogni caso, in una delle quattro basiliche maggiori dell’Urbe, un palcoscenico adatto non solo per solennizzare la Natività del Cristo ma anche per lanciare un messaggio politico e teologico destinato a tutta l’Europa cristiana.

Si tratta della bolla Vineam Domini con la quale papa Albani prende una posizione netta contro il giansenismo, movimento religioso (ma anche filosofico e dai delicati risvolti politici) nato dalle visioni del vescovo di Ypres, Cornelis Jansen (1585-1638).

Medaglia in bronzo di papa Clemente XI Albani, senza data, con al rovescio la basilica di Santa Maria Maggiore, anche detta Liberiana

Il giansenismo si fonda sull’idea che gli uomini nascano corrotti e siano destinati a commettere il male. Senza la grazia di Dio, l’uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla volontà di Dio perché tale è la sua natura; ciò nonostante, parte degli esseri umani sono predestinati alla salvezza, mentre altri no.

Il giansenismo era già stato condannato dalla Congregazione dell’Indice nel 1641, poi con successive lettere pontificie, tra cui le bolle In eminenti (1642), Cum occasione (1653), Ad sacram beati Petri sedem (1656), Regiminis Apostolici (1664) e Unigenitus Dei Filius (1713). La Vineam Domini di papa Albani non sarebbe stata l’ultimo provvedimento contro i seguaci di Giansenio; lo stesso pontefice, nel 1713, avrebbe ribadito la condanna con la Unigenitus Dei Filius.

In quella notte di Natale del 1705 papa Albani sottolinea come non può ritenersi sufficiente un “silenzio ossequioso” nei confronti dei giansenisti (oggi la chiameremmo political correctness), ma servono la decisa adesione della mente e del cuore. Insomma, una sorta di “tolleranza zero” contro l’eresia.

A sinistra, un ritratto di papa Clemente XI (1700-1721) e a destra la confessione e l’altare della basilica romana di Santa Maria Maggiore

Cosa c’entra tutto questo con la numismatica? C’entra eccome, dal momento che la messa della notte di Natale del 1705 finisce niente menio che per essere effigiata su una rara e bellissima piastra in argento che ha molto da raccontarci.

Francesco Muntoni, nel suo Le monete dei papi e degli Stati Pontifici, ne censisce tre varianti (44, 45 e 46) a pagina 82 del terzo volume: la prima con ritratto del papa, le altre con lo stemma. In due casi – Muntoni 44 e 46 – il dritto è opera di Peter Paul Borner (1656-1727), nato a Lucerna e conosciuto soprattutto per le sue monete e medaglie realizzate alla corte pontificia sotto Alessandro VII, Innocenzo XII e Clemente X (fu autore anche di un conio per Piacenza, leggi qui l’appronfondimento).

La variante con stemma censita come Muntoni 45, invece, porta in basso al dritto le iniziali E. H. di Ermenegildo Hamerani (1685-1756) che conosciamo come fecondo incisore sotto i pontefici Clemente XI, Innocenzo XIII e Benedetto XIII (per scoprire la storia di un suo magnifico testone leggi qui l’approfondimento).

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La piastra “della notte di Natale” del 1705 (Muntoni 44) con al dritto il ritratto di Clemenete XI inciso da Pietro Paolo Borner

Ciò che ci colpisce, nella “piastra della notte di Natale” è tuttavia il rovescio, di estrema complessità e finezza: Clemente XI su di un trono sollevato su gradini, ha accanto chierici e cardinali e legge la bolla contro il giansenismo da un libro sorretto da un cardinale, seduto su uno sgabello simile a una sella curulis romana. Il cardinale è di spalle.

In basso a destra, alcuni dignitari della corte pontificia – forse laici, forse ambasciatori delle corti europee – ascoltano il pontefice; il tutto, nella ricca cornice architettonica della basilica di Santa Maria Maggiore riprodotta in ogni dettaglio, dalle colonne ai capitelli fino agli archi e alle decorazioni parietali.

La piastra dell’anno VI (Muntoni 45) con al dritto un raffinato stemma con chiavi, tiara e festoni di fiori e frutti inciso da Ermenegildo Hamerani

Pochissime iscrizioni completano il rovescio e la più importante è VOX DE THRONO ai lati dell’armetta Falconieri in esergo: tratte dall’Apocalisse (19, 5), le parole “Una voce dal trono” sottolineano, come una didascalia, l’evento raffigurato. C’è poi BASILIC LIBER tratteggiato sul drappo che copre l’altare maggiore della basilica, sulla destra, sotto le colonne della maestosa confessione.

Le iscrizioni al rovescio della piastra “della notte di Natale”: piccole “didascalie” che collocano la scena a Santa Maria Maggiore, evocano la lettura della bolla contro i giansenisti e rendono onore all’autore del conio

Un’iscrizione che colloca la scena in quella che era detta “Basilica liberiana” perché si pensava che sorgesse su un antico edificio di culto fatto erigere da papa Liberio (352-366). Indagini archeologiche effettuate sotto la pavimentazione avrebbero smentito tale ipotesi; resta il fatto che Santa Maria Maggiore è la sola basilica di Roma ad aver conservato una struttura paleocristiana, sia pure arricchita e modificata nei secoli.

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La terza versione della piastra dell’anno VI, quella con lo stemma Albani fra rami d’alloro bulinato dal Borner; il rovescio è del semi sconosciuto Ferdinando (o Francesco) Sevò

Un ultimo dettaglio epigrafico lo troviamo sul secondo gradino del basamento dal quale papa Albani legge la bolla contro i seguaci di Giansenio: si tratta della “firma” F. SEVO che indica l’autore di questa elaborata scena “pittorica” in moneta. Una firma che corrisponde a Ferdinando (o Francesco) Sevò, artista di origini piemontesi di cui si hanno pochissime notizie. Questo rovescio di piastra sembra infatti essere l’unica moneta papale uscita dal suo bulino e si trattò – secondo alcuni – un “esperimento di collaborazione” con la zecca di Roma che non ebbe seguito.

A questo punto ci piace chiederci perché il Sevò non abbia firmato altre monete o medaglie, nonostante le indubbie capacità incisorie, nella sua attività presso l’officina monetaria pontificia. Rivalità con i “senatori” Borner e Hamerani? Oppure qualche altra ragione? Uscendo dalla certezza delle fonti bibliografiche e documentali – cui è sempre necessario affidarsi, ovviamente – ci piace formulare un’ipotesi basata sull’osservazione dei ritratto di Clemente XI Albani al rovescio della piastra.

Che sia stato quel ritratto piuttosto “caricaturale” di papa Albani a mettere in cattiva luce il Sevò, chiudendogli le porte di una carriera nella zecca pontificia?

Che il profilo del raffinato pontefice ubrinate fosse “nobilitato” da un naso imponente lo sappiamo bene; ce lo dicono quadri, sculture, stampe dell’epoca e ce lo confermano, ovviamente, monete e medaglie. Tuttavia, il profilo del pontefice sulla piastra “della notte di Natale” risulta un po’ troppo caricaturale (anche se, certamente, per apparire più riconoscibile); chissà, dunque, se Clemente XI avrà gradito quella rappresentazione, abituato com’era a vedersi “ammorbidire” i lineamenti del profilo dai bulini di altri autori?

Lasciando il campo delle ipotesi e la diatriba sul giansenismo, e tornando alla notte di Natale del lontano 1705, quella VOX DE THRONO – in questi giorni prossimi alla festa della Natività – ci riporta a un “trono” ben più lontano, in quella Betlemme di oltre duemila anni or sono in cui, nelle sembianze di un bambino nacque il Figlio di Dio, offrendo a tutti gli esseri umani, in piena libertà di scelta, una nuova speranza.