Una lettera di Vittorio Emanuele che (ovviamente) parla di monete e numismatici | Sul tesoro di Valpolcevera, falsi e rarità viste, studiate, acquistate dal futuro re

 

di Roberto Ganganelli | Nel 2011 passava in asta filatelica Santachiara 220, al lotto 114, un reperto di storia postale così presentato: “Busta di doppio porto da Roma, 28.3.1898, a Firenze con due esemplari del 20 cent. contenente lettera tutta autografo (scritto di sei facciate) di Vittorio Emanuele di Savoia, futuro re Vittorio Emanuele III”.

La lettera, oggi in collezione privata, ci offre  – come, e forse più di ogni altro frammento della corrispondenza del “re numismatico” – uno spaccato sull’infaticabile attività di Vittorio Emanuele nello studio e nel collezionismo di monete e, come tale, merita di essere trascritta e commentata.

Sei facciate in cui si concentrano, in modo affascinante, nomi di grandi studiosi e collezionisti, monete inedite e rare, osservazioni sul progetto del Corpus e perfino “voci di corridoio” di quell’eccezionale ambiente numismatico italiano della fine dell’Ottocento.

Il testo completo della principesca missiva

Destinatario è il colonnello Giuseppe Ruggero, di stanza a Firenze mentre il Savoia, quando scrive, si trova a Roma. “Carissimo Colonnello, – scrive – ho tardato a ringraziarLa fino ad ora per le Sue buone linee del 7 gennaio, ma ho tardato perché speravo sempre trovare il tempo per vagliare con attenzione le varietà delle monete genovesi contenute nella metà del famoso tesoro della Polcevera, metà che è nelle mani del Vitalini.

La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: fronte della busta e prima facciata
La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: fronte della busta e prima facciata

Non volevo scriverLe senza mandarLe notizia di queste monete. Vi ho trovato circa 40 [con doppia sottolineatura, Nda] scudi d’oro per la mia raccolta. Di Ludovico XII° uno (mg. 3,500) ha il D/ del n° 897 e il R/ del n° 896; e di questo ho stimato inutile mandarLe il calco.

Ho fatto i calchi di 27 scudi senza data, che mi paiono tutti mancare alle Sue tavole; appena farò di ritorno a Napoli vi metterò l’indicazione del peso e senz’altro li spedirò a Lei, assieme ad un calco d’una moneta che non ho potuto comprare perché esageratamente cara.

Recentemente ho trovato molte monete di poco valore, e di veramente bello solo uno zecchino inedito (?) di Paolo II° Papa per Ancona. Qui a Roma ho veduto uno scudo d’argento di Sisto V° [sic!] VNBR ossia Foligno e uno zecchino affatto nuovo di Pio II° DVCAT . SPOLETANI; ma le due monete sono false, e ricordano moltissimo talune indubbiamente false provenienti dalla fabbrica di Siena.

La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: seconda e terza facciata
La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: seconda e terza facciata

Le mie speranze sono concentrate sulla dispersione della raccolta Marignoli; temo che la vendita ritarderà di molto, perché sembra che gli eredi del Marignoli siano in lotta fra di loro a causa del testamento. Si parla vagamente di una vendita di monete d’oro sveve, trovate presso Taranto, ma non ne so nulla di preciso.

Sono convinto, da quanto Ella mi scrive, che il tallero di Vienna è monegasco, e che è fratello del noto luigino anonimo. Mi congratulo davvero con Lei per questa bellissima scoperta. Il tallero del Bargello è – ormai lo si può dire – fiorentino.

La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: quarta e quinta facciata
La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: quarta e quinta facciata

Il Luppi lavora lentamente ma con ogni attenzione, perché il suo lavoro è ottimo, e ne sono contentissimo. Ormai ho le schede delle mie monete piemontesi, liguri, e lombarde. Mi convinco sempre più che il mio Corpus Nummorum sarà di utilità generale, per quanto l’opera dovrà essere disgraziatamente molto incompleta. Vedrò di ricavare molte schede dalle schede di Marignoli, e spero che Papadopoli vorrà imprestare le sue.

Credo che il lavoro del Donati non abbia un gran valore; ma ad ogni modo procurerò di vederlo prima di attendere alla pubblicazione del mio. Oggi sono già sicuro (?) di poter riunire un cinquantamila schede; ma il lavoro procederà svelto solo quando saranno compilate tutte le schede mie.

La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: ultima facciata con autografo
La lettera del principe Vittorio Emanuele al colonnello Ruggero: ultima facciata con autografo

Il Re di Siam mi ha inviato una curiosissima raccolta di monete del Suo Regno; ho donato la raccolta alla Società Numismatica Italiana, per la sua incipiente raccolta di numismatica universale.

In pochi giorni sarò di ritorno a Napoli, e allora non mancherò di spedire i calchi. Le auguro buon viaggio da Firenze a Livorno, e fortuna in fatto di schede per le sue monete genovesi. Carissimo Colonnello, mi creda Suo sempre aff.mo VE di Savoia. Roma, 28 Marzo 1898”.

Sul colonnello Ruggero e il tesoro di Valpolcevera

Il destinatario della missiva, collezionista di monete liguri, è il colonnello cavalier Giuseppe Ruggero, del qualenon sappiamo granché se non che, al tempo, comandava il 7° Reggimento Bersaglieri a Firenze ed era in procinto di essere trasferito al comando del 9° Bersaglieri di Livorno; dalla Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia apprendiamo che il 4 ottobre 1899 sarebbe stato messo in “posizione ausiliaria” per limiti di età.

Si tratta, dunque, di uno dei tanti ufficiali delle forze armate con cui il Savoia è in rapporto epistolare e con il quale il principe condivide la passione per la numismatica, in particolare quella ligure, tanto è vero che Vittorio Emanuele si sofferma con lui sulle monete del celeberrimo tesoro di Valpolcevera.

In estrema sintesi, la storia inizia 1892 quando Giovanni Gaggero, un cavatore di sabbia, rinviene nel greto del torrente Polcevera – vicino a dove si trova, oggi, il casello autostradale di Genova Bolzaneto – alcune antiche monete d’oro.

Due scudi d'oro genovesi, uno a nome di Luigi XII re di Francia risalente al 1507 e l'altro a nome dei dogi biennali millesimato 1536: monete come queste facevano parte del ricchissimo tesoro di Valpolcevera
Due scudi d’oro genovesi, uno a nome di Luigi XII re di Francia risalente al 1507 e l’altro a nome dei dogi biennali millesimato 1536: monete come queste facevano parte del ricchissimo tesoro di Valpolcevera

Gaggero, con un senso civico tutt’altro che comune (allora come ora), invece di venderle ad un rigattiere le consegna al Comune. Il sindaco Angelo Dellepiane avvisa così il prefetto di Genova che lo autorizza alla vendita a beneficio delle casse municipali.

Tuttavia, la notizia del ritrovamento si diffonde nei dintorni e – come in una improbabile “corsa all’oro” nostrana – si moltiplicarono all’improvviso i cavatori di sabbia. Vengono così ritrovate oltre 3600 monete d’oro, soprattutto genovesi, coniate fra il XII e il XVI secolo e il ritrovamento, dopo varie vicissitudini, viene diviso a metà tra il Comune e lo Stato.

Il Governo dispone che 35 monete siano selezionate da Solone Ambrosoli, direttore delle collezioni di Brera e fondatore della Società Numismatica Italiana, per essere conservate a testimonianza del tesoro nelle raccolte comunali di Genova. Il resto del tesoro (stimato per 10 lire il pezzo, il nudo valore dell’oro come era prassi) viene venduto da Comune e Stato per coprire le spese di scavo e finisce disperso (per metà al danaroso e ben noto collezionista e studioso Ortensio Vitalini, come ci informa Vittorio Emanuele).

Alla fine del Novecento, nel riordino delle raccolte numismatiche milanesi vengono individuati due nuclei di monete (genovesi e straniere) attribuiti da un appunto manoscritto al “Ripostiglio Val Polcevera”: si tratta degli esemplari scelti da Ambrosoli, più altre sette monete (sei genovesi e una di Avignone), forse acquisite dall’Ambrosoli stesso tra quelle del Comune di San Quirico, ma mancanti di una moneta di Luigi XII per Milano elencata nella lista originaria.

Nella sua lettera al colonnello Giuseppe Ruggero, appassionato di monete liguri, il principe parla anche di coniazioni monegasche citando un rarissimo tallero e il luigino anonimo del 1668
Nella sua lettera al colonnello Giuseppe Ruggero, appassionato di monete liguri, il principe parla anche di coniazioni monegasche citando un rarissimo tallero e il luigino anonimo del 1668

Secondo gli studiosi, l’accumulo delle preziose monete sarebbe stato parte del tesoro della Repubblica Genovese sottratto a fine Settecento dagli Austriaci che, in fuga da Genova dopo la rivolta di Balilla, tentavano di raggiungere Novi Ligure.

Restando in ambito ligure, non molto possiamo aggiungere se non che il colonnello Ruggero riceve dal futuro re i complimenti per aver identificato correttamente un tallero “di Vienna” (apparso in un’asta nella capitale austro-ungarica? o parte di una collezione museale?) come pertinente alla zecca dei Grimaldi, per Monaco dunque.

E, con spirito di autentica cooperazione tra studiosi, Vittorio Emanuele non manca di garantire all’ufficiale l’invio dei calchi di monete genovesi da Valpolcevera che potranno arricchire lo schedario del Ruggero a fini di studio.

Due falsi di rare monete umbre… e un refuso!

Tra gli esemplari citati da Vittorio Emanuele e da lui stesso visionati nel periodo prima dell’invio della lettera spiccano due falsi di cui il principe sostiene di poter immaginare l’origine, un laboratorio di falsari della città di Siena evidentemente noto – in negativo, va da sé – tra i numismatici italiani dell’epoca.

Così, vengono menzionati uno zecchino di Pio II Piccolomini a nome del Ducato Spoletano in scadente conservazione e, strano ma vero, uno “scudo” in argento “di Sisto V°” con legenda VMBR. Qualcosa non va: quasi di certo il principe intendeva Sisto IV (1471-1484) e forse, nella grafia, il numerale si confonde mentre il nominale definito “scudo” deve essere per forza di cose, in realtà, un grosso.

“Pettegolezzi numismatici”: dalla Marignoli agli aurei svevi di Taranto

Uno degli argomenti più sentiti da Vittorio Emanuele in questa lettera sembra essere il destino della favolosa collezione numismatica appartenuta al senatore e marchese Filippo Marignoli, scomparso nella sua Spoleto giusto il 17 febbraio 1898, alla veneranda età di 89 anni.

Nel 1864 Marignoli aveva iniziato a mettere insieme una collezione di monete italiane medievali e moderne che, nel tempo, diventa forse la più importante fra le raccolte numismatiche private in Italia, ricca di esemplari unici ed inediti, specialmente per quanto attiene la monetazione papale.

La Marignoli arriva ad annoverare circa 35 mila monete scelte con grande cura e il marchese si dedica ad una collaborazione con la Rivista italiana di numismatica iniziando ad illustrare le tipologie e varianti inedite della propria collezione con l’intenzione, in futuro, di pubblicarne un catalogo organico.

Per comprendere la vastità della collezione Marignoli, si pensi che fra le innumerevoli rarità vi era anche uno dei soli cinque pezzi noti di questa prova in oro da 10 ducati per Milano di Luigi XII di FRancia
Per comprendere la vastità della collezione Marignoli, si pensi che fra le innumerevoli rarità vi era anche uno dei soli cinque pezzi noti di questa prova in oro da 10 ducati per Milano di Luigi XII di FRancia

Un “concorrente scientifico” del futuro “re numismatico”, dunque, ma che sarà costretto, negli ultimi anni, a rallentare e infine ad interrompere la propria opera. E la collezione, sulla quale si dice – nella lettera – che gli eredi fossero in disputa come sul resto del patrimonio, finirà così nel 1900 nelle mani del sovrano confluendo nella Collezione reale.

Un colpo formidabile, per Vittorio Emanuele, costantemente informato dai suoi corrispondenti sulle monete – singole, riunite in raccolte o provenienti da ritrovamenti – che si rendono disponibili sul mercato italiano. Tra cui, anche se il principe ammette di saperne poco, e noi ne sappiamo ancor meno, alcune in oro di epoca sveva trovate nei pressi di Taranto.

Il progetto del Corpus e gli “illustri schedatori” di sua altezza reale

La lettera al colonnello Ruggero è magnifica, una vera finestra sul passato e sulla scienza numismatica italiana nella sua epoca d’oro e, in questo affresco di mano dello stesso, futuro “re numismatico”, non mancano cenni alla redazione del Corpus Nummorum Italicorum.

Messo in cantiere già da anni, quello del Corpus è un progetto faraonico che inizia come schedario delle monete di proprietà di Vittorio Emanuele e man mano si estende a comprendere – in un tentativo di catalogo generale – tutte le emissioni di zecche italiane nella Penisola e all’estero dalla caduta dell’Impero d’Occidente al presente.

Il progetto del "Corpus", la collezione, i collaboratori all'ambizioso catalogo e le schede: anche di questo Vittorio Emanele, non ancora re d'Italia, parla nella sua corrispondenza
Il progetto del “Corpus”, la collezione, i collaboratori all’ambizioso catalogo e le schede: anche di questo Vittorio Emanele, non ancora re d’Italia, parla nella sua corrispondenza

Vittorio Emanuele ne parla al Ruggero con ambiziosa speranza, sottolineandone l’utilità per collezionisti e studiosi (all’epoca le due categorie coincidevano, bei tempi…) e mettendo in luce quel metodo collaborativo che vedeva il futuro re scambiarsi schede, calchi, informazioni con persone come il citato Marignoli o un altro nome eccellente del settore, il conte veneziano Nicolò Papadopoli.

Vengono menzionate nella lettera, infine, altre due persone: Costantino Luppi, collaboratore all’opera che aveva provveduto a schedare le informazioni sulle coniazioni di Piemonte, Liguria e Giovanni Donati che, nel 1916, avrebbe invece dato alle stampe il Dizionario dei motti e leggende delle monete italiane.

Nel 1896 il principe aveva sposato Elena di Montenegro e "Jela", come la chimava affettuosamente Vittorio Emanuele, condivise sempre la passione numismatica del consorte
Nel 1896 il principe aveva sposato Elena di Montenegro e “Jela”, come la chimava affettuosamente Vittorio Emanuele, condivise sempre la passione numismatica del consorte

Nella seduta dell’11 febbraio 1898 il Luppi  – autore fra l’altro di numerosi biografie di illustri numismatici – è ammesso dal Consiglio direttivo della Società numismatica italiana tra i nuovi soci. Un doveroso riconoscimento per un anziano studioso che sarebbe scomparso dopo meno di un anno.

Tornando alla nostra lettera, Vittorio Emanuele si abbandona infine ad una confidenza sulle prospettive future del Corpus dicendosi certo di poter mettere insieme almeno 50 mila schede; alla fine saranno molte di più le monete, tra tipi e varianti, censite nei venti volumi editi fra il 1910 e il 1943 e anche se – come modestamente annota il principe – l’opera risulterà “fisiologicamente” incompleta, passerà alla storia come il massimo contributo alla catalogazione delle monete italiane del medioevo e dell’età moderna.

Un prezioso omaggio alla Società numismatica italiana

Prima di salutare il colonnello Ruggero, Vittorio Emanuele fa cenno ad un ultimo “fatto numismatico” che lo vede protagonista, informando il corrispondente di aver donato una “curiosissima raccolta” di monete siamesi, ricevuta nel 1897 dal re Rama V Chulalongkorn, destinandola alla Società Numismatica Italiana nata da pochi anni e che, al tempo, aveva tra i suoi progetti una raccolta numismatica “universale”.

Si tratta di esemplari del XVIII e XIX secolo che vengono studiati dall’eclettico Gerolamo Emilio Gerini e segnalati prontamente con una nota dal titolo Un dono principesco nella Rivista italiana di numismatica del 1898, volume XI della collana.

"Regali scambi di cortesie": il re del Siam Rama V, P'ra Paramin Maha Chulalonkorn, dona una raccolta di monete del proprio paese che il Savoia, a sua volta, destina alla Società Numismatica Italiana
“Regali scambi di cortesie”: il re del Siam Rama V, P’ra Paramin Maha Chulalonkorn, dona una raccolta di monete del proprio paese che il Savoia, a sua volta, destina alla Società Numismatica Italiana

Nello stesso anno viene pubblicato un catalogo dimostrativo della raccolta a cura dello stesso capitano Gerini, illustre “italiano all’estero” dell’epoca in quanto “direttore dell’Insegnamento Militare nell’Esercito di S. M. il Re del Siam. Questo Catalogo, redatto con molta perizia e competenza, è in pari tempo una vera monografia delle Monete di quel Regno, essendo accompagnato da interessantissime note illustrative”.

Il Gerini non è certo un numismatico, ma è uno dei pochissimi italiani a conoscere la lingua e la storia del Siam e arricchisce il catalogo con note di carattere economico e storico. Lo stesso Gerini avrebbe anche, nell’assemblea sociale del 4 giugno 1989, illustrato il dono del principe ai soci, dagli esemplari di stile occidentale del periodo 1856-1889 alle curiose monete sferoidali e alle conchiglie ad uso monetale.

“Suo sempre affezionatissimo Vittorio Emanuele di Savoia…”

Con queste parole, formali ma dal tono amichevole, il principe di Piemonte saluta il colonnello Giuseppe Ruggero rimandando altre notizie a future corrispondenze delle quali, purtroppo, ad oggi non conosciamo traccia.

Una passione, quella del principe per le monete, nata da bambino: qui lo vediamo a dieci anni su una medaglia omaggio della città di Fermo e in alta uniforme, poco più avanti negli anni, col padre Umberto I
Una passione, quella del principe per le monete, nata da bambino: qui lo vediamo a dieci anni su una medaglia omaggio della città di Fermo e in alta uniforme, poco più avanti negli anni, col padre Umberto I

Rimane il piacere di aver potuto sbirciare con la fantasia, grazie al fascino della numismatica, in un tempo lontano immaginando il futuro re alla sua scrivania, con accanto gli ordinati vassoi delle sue amate monete mentre, in un momento di pausa dagli impegni ufficiali, si concede quattro chiacchiere con un “collega collezionista”. Sì, la numismatica è davvero una meravigliosa macchina del tempo