Nuove considerazioni e approfondimenti sulla riforma monetaria napoletana degli anni 1804-1805 che portò alla coniazione delle piastre “di tipo inglese”

 

di Carmelo R. Crupi | Il 13 marzo del 1803 moriva il maestro della zecca di Napoli Antonio Planelli e l’anno seguente, con dispaccio del 19 giugno 1804, il suo incarico passava a Luigi Diodati. Il Diodati, uomo di vasto ingegno e profonda cultura, era nato a Napoli il 10 marzo 1763.

Luigi Diodati, economista e maestro di zecca

Nel 1790 Diodati pubblicò un pregevole lavoro dal titolo Dello stato presente della moneta nel Regno di Napoli e della necessità di un alzamento (Migliaccio, Napoli, 1790), che gli valse la fama di grande economista, tanto che la Repubblica di Genova riformò la propria moneta di argento secondo i principi da lui dettati.

Egli apportò nella zecca di Napoli innovazioni amministrative e tecniche tali da farla primeggiare tra quelle europee: la zecca di Pietroburgo, infatti, pare avesse allora adottato integralmente gli statuti di quella napoletana.

Riuscì pure ad apportare miglioramenti nei macchinari di cui si avvaleva la zecca di Napoli, coadiuvato in ciò dall’esperto macchinista ed incisore Domenico Rebora, tanto da raggiungere un livello di produzione prima d’allora impensabile. Stando a quanto tramandato da Giulio Sambon nel 1898, a Napoli si riuscì a coniare un milione di ducati al mese, quando durante la direzione del Planelli si riuscivano a coniare non più di 300.000 ducati al mese in moneta grossa, e non più di 90.000 ducati al mese se trattavasi di moneta di più piccolo valore nominale.

piastre di tipo inglese ezecca di napoli numismatica penny pence guinea

Ritratto di Luigi Diodati e frontespizio della sua importante opera sulla monetazione nel Regno di Napoli sata alle stampe per la prima volta nel 1790

Luigi Diodati venne subito incaricato dal Governo di ideare un nuovo tipo di moneta, ed egli fece disegnarne una che ricordava vagamente un tipo coniato durante l’Impero romano: “Busto coronato di alloro e attorno FERDIN. IV. D. G. REX. SICIL. 1804 ed al rovescio il simbolo della moneta: figura femminile seduta a sinistra con bilancia e cornucopia, a’ piedi spighe di grano, martello e dischetti di metallo. Attorno RESTITUTOR MONETAE. Nel cordone (taglio) FIRMATA SECURITAS”. Con questo tipo si sarebbero dovute riconiare tutte le monete tosate ed eccessivamente logore esistenti nei Banchi.

Il 1° agosto 1804 a Luigi Diodati fu comunicato che il re non permetteva che si apponesse altro rovescio se non quello delle sue armi. Come argutamente fecero notare nel 1926 Prota e Morelli, con ogni probabilità il vero motivo alla base di tale rigetto va ricercato nella particolare congiuntura storica, che rendeva quanto meno inopportuno emettere una moneta in cui il re era rappresentato col capo cinto di serto d’alloro alla stregua di un imperatore di Roma antica.

A questo punto il Ministro delle Finanze Luigi De’ Medici, precisamente il 5 settembre 1804, dette indirizzo al Diodati di riformare la nuova moneta da 12 carlini sul modello di una moneta inglese che gli era stata fornita da Londra dall’ambasciatore Principe di Castelcicala. Il maestro dei conii Domenico Perger, che il Diodati fece affiancare dall’incisore Nicola Morghen, presentò due progetti per la nuova piastra, aventi al diritto il busto del re senza corona d’alloro e nel rovescio le armi di Casa Borbone con le leggende incise “in doppia fascia”.

Credo sia necessario chiarire il significato della frase “in doppia fascia”: a mio avviso è un particolare modo di dire, certamente infelice, che non deve far pensare che la leggenda fosse disposta su due fasce perimetrali concentriche, ma solo su una unica fascia rilevata perimetrale; la parola “doppia”, infatti, non può che riferirsi al doppio cerchio concentrico perimetrale di tale fascia rilevata.

piastre di tipo inglese ezecca di napoli numismatica penny pence guinea

La prima proposta del Diodati, respinta da re probabilmente per motivi di opportunità politica e ispirata alla monetazione romana: al dritto Ferdinando IV laureato e al rovescio il motto RESTITVTOR MONETAE

Il primo progetto del duo Perger-Morghen recava al dritto, in incuso su fascia rilevata, la legenda FERD. IV. HISP. IN. 1804 ed al rovescio, sempre in incuso su fascia rilevata, D. G. SIC . ET JER. REX. G. 120. Questo primo progetto di moneta fu criticato da Luigi Diodati, soprattutto per quanto riguarda le leggende del dritto e del rovescio, ritenute poco consone ai canoni propri della monetazione napoletana, e per quanto riguarda l’organizzazione spaziale delle leggende, e per quanto riguarda i caratteri epigrafici.

E’ bene specificare che i conii di questi progetti, datati 1804, vennero approntati da Domenico Perger e Nicola Morghen, come confermato dal rapporto di Nicola Vivenzio, Real Segretario di Stato e Azienda, al re Ferdiando IV Borbone, vergato in Napoli il 23 dicembre 1804 e pubblicato in calce al lavoro di Prota e Morelli risalente al 1926.

Il 10 ottobre 1804 fu approvato il secondo progetto Perger-Morghen, caratterizzato al diritto ed al rovescio da leggende incuse su fascia rilevata, modificate tenendo conto delle critiche del Diodati. Queste monete hanno la particolarità che al rovescio, oltre alle lettere L. D. che affiancano in basso il blasone borbonico, recano una M nel campo, in alto, immediatamente a sinistra della corona che è all’apice del blasone medesimo, iniziale del cognome del Maestro di prova Raffaele Mannara.

Purtroppo, iniziatasi la coniazione, se ne ebbe un pessimo risultato: i tondelli subivano una vistosa deformazione perimetrale, fendendosi (tipo citato come prova nel Corpus Nummorum Italicorum coi numeri 24 e 26, e dal Pagani Prove coi numeri 751 e 752).

Dopo aver scartato anche il terzo progetto di moneta del Perger, che recava nel diritto e nel rovescio le lettere rilevate su campo liscio (Corpus 25, Pagani Prove 750), il 18 ottobre 1804 venne infine approvato un quarto progetto di Perger, avente nel diritto e nel rovescio la leggenda in lettere rilevate su fascia perimetrale pure essa in rilievo.

Questa piastra, recante il millesimo 1804, al diritto ha FERDINAN. IV D. G. REX, busto loricato a testa nuda del re, volta a destra, con lunga capigliatura sciolta; sia la leggenda che il millesimo 1804 sono in rilievo su fascia rilevata. Al rovescio VTR. SIC. HIE. HISP. INF. P. F. A. (“Utriusquae Siciliae Hierusalem Hispaniarum Infans Pius Felix Augustus”); stemma coronato a contorno mistilineo, sotto L. D. iniziali del maestro di zecca Luigi Diodati. La leggenda e l’indicazione del valore G. 120 sono poste in rilievo su fascia rilevata. Il taglio reca in rilievo la leggenda CVRA OPTIMI PRINCIPIS intercalata da due serie di quattro gigli.

Maria Sofia di Baviera, ultima sovrana delle Due Sicilie, e una medaglia a lei dedicata

Questo tipo di piastra datato 1804, ci fa sapere il Giuseppe Ruotolo, è rimasto sconosciuto fino al giugno 1925, quando a Parigi venne dispersa in pubblica asta la collezione numismatica di Maria Sofia di Baviera, ultima regina delle Due Sicilie, nella quale era annoverato un esemplare della moneta in discorso. Un altro esemplare è stato esposto al pubblico in occasione di Vicenza Numismatica, nell’ottobre 1999, proveniente dall’asta Santamaria del 4 maggio 1961, quando entrò a far parte della collezione Curatolo.

Questa collezione fu dispersa a Milano il 24 novembre 1972 nell’asta curata da Mario Ratto (parte terza). Il catalogo di quest’asta definì, a ragione, questa piastra tra le “monete d’argento di estrema rarità e soprattutto di ineguagliabile bellezza”. Venne aggiudicata per l’iperbolica cifra di lire 2.700.000.

Ad ogni buon conto il Supremo Consiglio delle Finanze napoletano, pur avendo approvata questa moneta il 18 ottobre 1804, dopo pochissimi giorni ritornò sulla propria decisione. Era accaduto che, parallelamente ai lavori dell’incisore ufficiale Domenico Perger che, come visto, furono caratterizzati da numerosi progetti e da altrettante difficoltà di produzione, negli ultimi mesi del 1804 il Ministro delle Finanze Luigi De’ Medici in persona volle che il Maestro di Zecca Luigi Diodati incaricasse l’incisore “fuori di zecca” Don Filippo Rega di approntare progetti per la nuova monetazione da 12 carlini.

Ciò è documentato sia dalla comunicazione del Real Segretario di Stato e Azienda Vivenzio al re Ferdinando IV data in Napoli il 23 dicembre 1804, che dal rapporto del Diodati al De Medici dato a Napoli il 7 gennaio 1805, entrambi pubblicati in calce al saggio di Prota e Morelli del 1926.

In effetti furono coinvolti nella produzione di questa nuova monetazione da 12 carlini sia il noto incisore di pietre dure Filippo Rega, per il dritto, che l’incisore Michele Arnaud, per il rovescio. I modelli approntati dal duo Rega-Arnaud furono giudicati migliori di quelli incisi da Perger, nonostante che il lavoro di quest’ultimo fosse stato oggetto di approvazione il 18 ottobre 1804: dai documenti risulta che già alla data del 23 dicembre 1804 le nuove monete da 12 carlini coi conii Rega-Arnaud erano in corso di battitura, evidentemente già col millesimo 1805.

piastre di tipo inglese ezecca di napoli numismatica penny pence guinea

La piastra di tipo inglese del 1805 nella versione con ritratto dai capelli lisci

In effetti le note piastre del 1805, che recano al dritto il profilo di Ferdinando IV di Napoli sia in versione capelli lisci che in versione capelli riccioluti, sono su ben altro livello artistico rispetto all’ultimo progetto approvato del Perger, a riprova non tanto dell’inadeguatezza di quest’ultimo, che era e restava un buon incisore su acciaio, quanto piuttosto delle particolari capacità plastiche ed incisorie di Filippo Rega, chiaramente fuori dall’ordinario.

A ben vedere il Diodati ebbe da ridire anche sulla moneta progettata dal duo Rega-Arnaud, con particolare riferimento ad alcuni presunti errori araldici dell’arme borbonico ed al titolo dell’argento, a suo dire non regolare, ma furono appunti che non ostarono al repentino avvio delle coniazioni.

In effetti le monete del Perger datate 1804, come visto approvate il 18 ottobre 1804, furono effettivamente coniate ed immesse nel circolante nel periodo intercorrente tra la data dell’approvazione dei modelli e l’ordine di sospenderne la coniazione, dunque in numero ridottissimo. Con ogni probabilità l’immissione nel circolante avvenne nel novembre o nei primi giorni di dicembre del 1804. La prova che furono monete effettivamente entrate nel circolante è rinvenibile nell’esemplare facente parte della raccolta numismatica di Vittorio Emanuele III, che mostra di aver circolato.

Memmo Cagiati non ha annoverato questa moneta nel proprio catalogo perché, probabilmente, ne ignorava l’esistenza; Pagani l’ha classificata fra le prove (n.749); più correttamente sia il Corpus Nummorum Italicorum (n. 23) sia il D’Incerti (n. 4) l’hanno classificata come moneta vera e propria.

Con riferimento alle nuove monete da 12 e 6 carlini 1805, opera incisoria di Rega-Arnaud, è il caso di rammentare che Michele Pannuti ha chiarito per la prima volta, nel proprio saggio pubblicato sul Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano nel 1986, che il tipo con l’effigie del re Ferdinando IV coi capelli lisci è stato il primo, in ordine temporale, ad essere utilizzato, in occasione delle prime due liberate delle monete da 12 carlini.

piastre di tipo inglese ezecca di napoli numismatica penny pence guinea

La piastra di tipo inglese del 1805 nella versione con capigliatura riccioluta

Successivamente venne adottato il conio con l’effigie reale dalla capellatura riccioluta, appositamente approntato per la coniazione della mezza piastra: la prima liberata del 6 carlini avvenne il 14 marzo 1805 (tutte le mezze piastre 1805 recano al dritto il re con capellatura riccioluta), contemporaneamente all’emissione di pezze da 12 carlini che recavano ancora l’effigie reale con capellatura liscia. La prima liberata di 12 carlini con capellatura riccioluta si ebbe, invece, il 27 maggio 1805 e questo nuovo e sontuoso conio fu adottato fino alla fine delle emissioni di questa tipologia monetale, avvenuta il 7 gennaio 1806 ma sempre con millesimo 1805.

L’accertamento di quale fu il primo conio del dritto di questa piastra è chiaramente un’informazione di non poca importnza, che ancora oggi, a distanza di ben 38 anni dal momento in cui è stata resa di pubblico dominio, risulta non essere recepita da tante pubblicazioni e dai cataloghi di monete che vanno per la maggiore.

Sempre Pannuti ci informa che, contrariamente a quanto riportato da Sambon nel 1898 e da Prota e Morelli nel 1926, le liberate delle monete millesimo 1805 non furono due e neppure quattro, ma almeno nove. La prima liberata di piastre coi tipi di Rega-Arnaud si ebbe certamente prima del 14 gennaio 1805, posto che da un documento che Pannuti ha ritrovato nell’Archivio di Stato napoletano risulta che a quella data venivano immesse nel Banco della Pietà molte monete d’argento tosate per la “seconda liberata facienda”.

Lo stesso autore ha altresì tramandato che quattro monete da 12 carlini appena coniate e appartenenti alla prima liberata furono inviate a Pietroburgo per il tramite dell’ambasciatore napoletano in Russia, duca Antonino Maresca di Serracapriola, sulla scorta di quanto è desumibile da una lettera del Diodati al Ministro De’ Medici del 5 febbraio 1805.

Dalla biografia del Diodati pubblicata nella prefazione dell’edizione del 1849 della sua opera Dello stato presente della moneta nel Regno di Napoli, si evince che il 12 carlini si doveva coniare per cinque milioni di pezzi. Venne disposta anche la coniazione, con gli stessi tipi, del doppio carlino (tarì), ma ciò rimase lettera morta a causa del precipitare degli eventi che, il 14 gennaio 1806, portarono per la seconda volta i Francesi a Napoli, costringendo la corte a riparare nuovamente a Palermo.

piastre di tipo inglese ezecca di napoli numismatica penny pence guinea

Anno 1806: i Francesi tornano a Napoli e a capo dell ex Regno borbonico vengono posti prima Giuseppe Napoleone, fratello del Bonaparte, e poi Gioacchino Murat

La cattiva riuscita dei conii per la piastra del 1804 fu causa, come ben noto, del licenziamento di Domenico Perger, disposto dopo vent’anni di lodevole servizio nella zecca e mantenuto nonostante la supplica che egli rivolse a Ferdinando IV nel febbraio 1805. Venne nominato capo incisore Filippo Rega, che conservò l’incarico sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, mantenendolo anche dopo la seconda restaurazione di Ferdinando IV sul trono di Napoli.

Giovanni Bovi, attraverso alcuni documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli, resi noti in un saggio pubblicato nel 1960, ha chiarito che la moneta inglese presa a modello di quelle napoletane del 1804 è stata quella da due pence del 1797 (e la sua metà da 1 penny, del tutto simile), in rame, prodotta con procedimento innovativo nella zecca privata di Matthew Boulton, ubicata a Soho, vicino a Birmingham. Essa reca l’effigie del re Giorgio III e, al rovescio, l’iconografia di Britannia.

Per il suo particolare aspetto contraddistinto, sul dritto e sul rovescio, da una fascia perimetrale rilevata recante le leggende incuse, nonché per i suoi imponenti spessore e peso, rispettivamente pari a 5 mm ed a circa 56,7 grammi, venne detta “cartwheel”, ossia ruota di carro.

piastre di tipo inglese ezecca di napoli numismatica penny pence guinea

Le due monete inglesi che fecero da modello per le piastre di Napoli: i tipi “cartwheel” da un penny e due pence in rame coniate nel 1797

A questo punto preme evidenziare, per la prima volta da quanto mi consta, che questa moneta inglese non fu l’unica presa a modello per il 12 e, successivamente, per il 6 carlini d’argento relativi alla riforma monetaria napoletana in argomento.

A questa conclusione si perviene attraverso l’attenta lettura della relazione di Luigi Diodati al Ministro delle Finanze Luigi De Medici del 7 gennaio 1805, pubblicata, come già detto, in calce al saggio di Prota e Morelli del 1926. Strano ma vero, ma a distanza di quasi un secolo da tale pubblicazione, nessuno studioso o collezionista di nummi napoletani si è soffermato sulle importanti informazioni che, in tal senso, sono fornite dal documento. Riporto i passaggi testuali di questo documento, significativi per la mia tesi, come tratti dal saggio di Prota e Morelli:

“L’incisore fuori di Zecca, che fu incaricato per ordine di V.E. comunicatomi a voce, ha già incisa la nuova moneta di dodici carlini a norma di quella inglese rimessa da S. M.a, e secondo la forma da me proposta, approvata con dispaccio dé 10 ottobre passato […].

Lo scudo, ov’è incisa l’impresa, ristretto a basso, è meno dignitoso de’ precedenti fatti a forma più ovale. Ho saputo essere stato espressamente disegnato dall’incisore per secondare gli ordini di V.E., che ha voluto campo spazioso assai secondo la forma inglese, acquistando così maggior figura l’incisione […].

Fraditanto si prosiegue la coniazione dello stesso modo, come cominciò sere indietro nella presenza della V.E., quando venne ad onorare la zecca, e lasciò l’ordine di continuarsi sollecitamente per disporre una liberata al più presto possibile. Se si fosse potuto ottenere la migliorazione del titolo, secondo le mie premure, e anche secondo l’impegno lodevolissimo dell’E.V., sarebbe stata la bellezza della moneta molto più durevole: giacchè nel campo assai spazioso all’uso inglese il commercio annerisce più facilmente l’argento inferiore di bontà”.

Dall’attenta lettura di quanto appena riportato e dall’osservazione del dritto e del rovescio delle monete inglesi “cartwheel” risalta il fatto che l’arme borbonico nella versione definitiva dell’Arnaud, non può essere stato mutuato da queste ultime. Ed allora è lecito domandarsi: a quali monete britanniche fa riferimento il Diodati nel gennaio 1805? Quali monete britanniche sono state assunte come prototipo dello scudo che si ammira nei rovesci della nuova monetazione argentea napoletana, su diretta disposizione del Ministro delle Finanze Luigi De’ Medici?

Dall’analisi della monetazione inglese in corso nell’ultimo decennio del XVIII secolo e nei primi anni del XIX, ho potuto notare che l’unica moneta d’Oltreanica battuta a nome di re Giorgio III che reca al rovescio un’arme dalla forma simile a quella dell’arme borbonico delle piastre e mezze piastre datate 1805 è l’aurea ghinea battuta dalla Royal Mint negli anni 1787-1799, appellata dagli inglesi “spade guinea”, letteralmente “ghinea a ferro di vanga”, per la forma appuntita dello scudo che ricorda, appunto, quella di una vanga.

Per il rovescio della piastra, alla zecca di Napoli venne presa ispirazione dalla “Spade Guinea“, la ghinea in oro coniata nel Regno Unito a partire dal 1787

Salta immediatamente agli occhi la similitudine dello stemma del rovescio di questa artistica e preziosa moneta d’oltre Manica con quello che ammiriamo sulle monete argentee napoletane del 1805: le uniche differenze risiedono nella parte sommitale e nella forma più bombata della versione napoletana dello scudo. In conclusione è adesso possibile affermare quanto segue:

(1) i progetti di moneta, le prove e le piastre 1804, opera dell’incisore Domenico Perger, coadiuvato da Nicola Morghen, come dimostrato da Giovanni Bovi nel 1960, hanno avuto come prototipo le pesanti e compatte monete inglesi di rame da two pence e da one penny, millesimo 1797, per quanto attiene la forma compatta, di maggiore spessore e di minor diametro rispetto a quanto fatto a Napoli fino ad allora, e soprattutto per quanto riguarda la fascia perimetrale in rilievo che ospita la leggenda del dritto e del rovescio;

(2) per le piastre definitive datate 1805, opera degli incisori Filippo Rega e Michele Arnaud, resta valido quanto appena detto con riferimento al prototipo “cartwheel”, mentre si nota per la prima volta che il prototipo dell’arme del rovescio è la c.d. “spade guinea”, massimale aureo inglese di quegli anni. E ciò niente meno che per espressa volontà del Ministro delle Finanze napoletano Luigi De Medici.

Alla luce di quanto sopra esposto, la definizione di piastra e mezza piastra “di tipo inglese” per le monete in argomento è viepiù giustificata. A questo punto ritengo utile dare alcune interessanti informazioni numismatiche in merito alle monete inglesi sopra menzionate, prototipi delle piastre e mezze piastre di cui alla presente trattazione.

La monetazione inglese di rame da due pence e da un penny del 1797

Sono nummi coniati nella zecca privata di Soho, di proprietà di Matthew Boulton, come testimonia la piccola scritta in rilievo SOHO leggibile al rovescio, in basso a destra, ed incisi da Conrad Heirich Kuchler, come denuncia la lettera K in rilievo sulla spalla destra del re Giorgio III. Trattasi dello stesso incisore, originario delle Fiandre, che ha inciso la medaglia napoletana celebrativa del ristabilimento di Ferdinando IV Borbone a Napoli in seguito alla caduta della Repubblica Napolitana del 1799.

La medaglia di Conrad Heirich Kuchler che celebra il ritrorno sul trono di NApoli di Ferdinando VI dopo la parentesi della Repubblica Napolitana

Nel 1786 i due terzi delle monete in circolazione nel Regno Unito erano contraffatte e la Royal Mint tentò di porre rimedio a questa situazione diminuendo i volumi delle coniazioni. La maggior parte delle monete d’argento controllata risultò genuina, mentre, al contrario, le monete di rame venivano abusivamente fuse onde recuperare il metallo, e sostituite con esemplari falsi, dal peso nettamente calante. Per questo motivo la Royal Mint sospese la coniazione di monete di rame per ben 48 anni, dal 1773 fino al 1821!

La carenza di monete sussidiarie di rame che ne derivò fu sopperita da gettoni di rame aventi pressappoco le dimensioni del mezzo penny, fabbricati privatamente dai mercanti.

L’imprenditore inglese Matthew Boulton, proprietario di un opificio a Birmingham, fin dalla metà degli anni Ottanta del XVIII secolo si interessò alle tecniche di coniazione delle monete, e nel 1788 impiantò una zecca privata a Soho, presso Birmingham, che divenne parte integrante del polo manifatturiero di sua proprietà. Grazie alla collaborazione con James Watt, Matthew Boulton riuscì a dotare la propria zecca di Soho di ben otto bilancieri azionati da motori a vapore, capaci di coniare da un minimo di 70 ad un massimo di 84 monete al minuto.

L’attività monetaria di Boulton, basata su procedimenti innovativi e su scala industriale, incontrò un immediato successo: egli ottenne una licenza per la coniazione di monete britanniche e venne incaricato della coniazione di monete per conto della Compagnia Britannica delle Indie Orientali, per le esigenze del circolante della colonia indiana. Nel frattempo, permanendo la crisi di circolante in metallo vile in Inghilterra, Boulton si fece avanti proponendo al Governo di Sua Maestà britannica la coniazione di nuove monete ad un costo non superiore alla metà di quello mediamente sostenuto dalla Royal Mint fino a quel momento per la produzione di monete di rame.

A sinistra Matthew Boulton e a destra un’incisione che mostra la sua fabbrica di macchinari a vapore, tra i quali anche quelli per la coniazione industriale di monete

Boulton passo, dunque, molto tempo a Londra per tentare di creare i presupposti favorevoli alla stipula di un contratto d’appalto col Governo per la coniazione di monete nella zecca di Soho, me nel giugno del 1790 il Governo Pitt sospese ogni determinazione in merito a tempo indeterminato. Nel frattempo la zecca privata di Soho continuò a coniare monete per conto della Compagnia Britannica delle Indie Orientali, per la Sierra Leone e per la Russia, producendo anche tondelli da coniare presso le zecche di quei Paesi. A Soho, inoltre, in quel torno di tempo, furono prodotti più di 20 milioni di tondelli di rame da monetare su commissione della zecca di Philadelphia (USA), ove sarebbero stati trasformati in monete da un centesimo e mezzo centesimo di dollaro.

La crisi monetaria britannica raggiunse il culmine nel febbraio 1797, quando la Banca d’Inghilterra decretò il corso forzoso della cartamoneta inglese. Nell’intento di introdurre maggiore moneta metallica nel circolante, il Governo di Sua Maestà adottò un piano per emettere forti quantitativi di moneta di rame e Lord Hawkesbury, il direttore della Royal Mint, incontrò Boulton a Londra il 3 marzo 1797, informandolo del progetto governativo.

Alla fine di marzo 1797 Boulton stipulò un contratto col Governo inglese per la fornitura di monete di rame e col proclama reale del 26 luglio 1797 re Giorgio III dispose che le nuove monete di rame da un penny e due pence venissero coniate nella zecca di Boulton in quel di Soho, stabilendo nel contempo i pesi legali di esse, ovvero un’oncia avoirdupois (g 28,349) per il pezzo da 1 penny ed esattamente il doppio, due once avoirdupois (g 56,7), per il due pence.

Un rarissimo esemplare di prova in oro della moneta da due pence tipo “cartwheel

Le due nuove monete dovevano essere tali che il loro valore intrinseco fosse pari a quello nominale al fine di rendere poco conveniente la loro rifusione e contraffazione. Il fatto che nella zecca di Soho queste monete potessero essere coniate con una forma perfettamente circolare e con le leggente incuse su fascia perimetrale rilevata sia al dritto che al rovescio, le rese difficilmente falsificabili.

Esse furono comunemente appellate “cartwheel”, ruote di carro, per via delle considerevoli dimensioni (modulo 36 mm l’one penny, 41 mm il two pence) e per l’essere caratterizzate su entrambe le facce da larga fascia perimetrale in rilievo. Tali monete furono anche le prime, in assoluto, ad essere coniate con l’ausilio di motori a vapore.

La moneta da two pence, pari ad 1/6 di scellino, ad 1/30 di corona e ad 1/120 di sovrana, ebbe potere liberatorio fino a uno scellino e, dunque, nei pagamenti potevano essere utilizzate contemporaneamente non più di sei di queste grandi e pesanti monete. Mentre la moneta da one penny fu la prima di questo nominale ad essere coniata in rame, quella da two pence fu la prima ed ultima moneta inglese di questo nominale. Infine, una buona parte delle 722.160 monete da two pence prodotte a Soho fu ritirata dalla circolazione e rifusa nel 1800, a causa di un sensibile rincaro del rame.

La “Spade Guinea” di re Giorgio III d’Inghilterra

La ghinea è stata la moneta aurea inglese per eccellenza dalla sua prima apparizione, risalente al 1663, fino al 1816, quando a seguito della riforma monetaria attuata nel Regno Unito fu sostituita, come massimale aureo metallico, dalla sovrana da 20 scellini.

Il nome “ghinea” o “guinea” discende dal fatto che quando venne prodotta per la prima volta, come detto nel 1663, la maggior parte del metallo prezioso che venne utilizzato proveniva dalla costa africana della Guinea e, in particolare, da quella che allora era conosciuta come Costa d’Oro, l’attuale Ghana.

La prima ghinea della storia è quella coniata nel 1663 a nome di Carlo II d’Inghilterra

E’ stata la prima moneta aurea inglese prodotta meccanicamente ed il suo valore originario fu di 20 scellini. Detto valore, comunque, subì anche notevoli variazioni nel tempo, arrivando anche a 30 scellini nel XVII secolo, in funzione dell’andamento del prezzo dell’oro. In origine fu stabilito che si dovessero ottenere 44,5 ghinee da una libbra troy d’oro al titolo di 22 carati.

Nel 1787, quando il valore di una ghinea era di 21 scellini, fu introdotto un nuovo tipo per il rovescio di queste monete, caratterizzato da uno scudo francese all’antica sormontato da corona. Lo scudo era chiuso in sommità da una linea orizzontale e terminava in basso a punta, ricordando la forma di una vanga.

Per questo motivo questo tipo di ghinee, i cui conii furono incisi da Lewis Pingo, venne comunemente appellato “Spade Guinea”, che in inglese significa, appunto, ghinea a forma di ferro di vanga (“spade” indica anche il seme di picche in tema di carte da gioco). Queste monete ebbero un peso di circa 8,35 g in oro a 22 carati, e un diametro di 25 mm, di modo che ogni ghinea rappresentasse ¼ di oncia troy di oro puro.

Il ritratto di re Giorgio III al dritto ha rappresentato un cambiamento di stile radicale rispetto al passato. Esso è stato rappresentato dall’incisore in modo moderno, dinamico, stilisticamente coerente con l’era della rivoluzione industriale britannica, a quel tempo in piena affermazione. Analoga tipologia fu adottata per la mezza ghinea.

L’ultima ghinea coniata, la cosiddetta “Military Guinea” millesimata 1813

La “Spade Guinea” inglese e la sua metà sono oggi di grande interesse per i numismatici d’Oltremanica, essendo le uniche due tipologie monetali che presentano lo scudo del rovescio a forma appuntita e per il fatto che rappresentano le ultime ghinee e mezze ghinee auree coniate per il circolante nel Regno Unito.

Infatti l’ultimo tipo di ghinea inglese venne coniato nel 1813, sempre a nome di re Giorgio III, ma in soli 80.000 pezzi destinati a pagare l’esercito inglese comandato da Lord Wellesley (il futuro Duca di Wellington) di stanza nei Pirenei, in quanto la popolazione locale accettava in pagamento esclusivamente oro. Per questo motivo la ghinea del 1813 è comunemente appellata “Military Guinea”.

Bibliografia essenziale

  • BOVI Giovanni, Le variazioni di fino nelle monete borboniche napoletane, Archivio Storico per le Province Napoletane, Napoli, nuova serie, Vol.XXXVI, 1957.
  • Idem, Una moneta inglese modello di una moneta napoletana, Partenope, Napoli, 1960.
  • Idem, Le monete napoletane del 1804, Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, anno LVII, Napoli, 1973.
  • Corpus Nummorum Italicorum, (anonimo, ma l’autore fu Vittorio Emanuele III di Savoia), Roma, 1910-1945 [ristampa anastatica Forni, Bologna, 1971].
  • DELL’ERBA Luigi, La riforma monetaria angioina e il suo sviluppo storico nel Reame di Napoli, Archivio Storico per le Province Napoletane, Napoli, nuova serie, anno XX, 1934 [parte III/IV].
  • D’INCERTI Vico, Le monete borboniche delle Due Sicilie – Periodo 1799-1860, Società Numismatica Italiana, Milano, 1960.
  • DIODATI Luigi, Dello stato presente della moneta nel Regno di Napoli e della necessità di un alzamento,Migliaccio, Napoli, 1790.
  • MINERVINI Corrado, La vera storia delle piastre tipo inglese di Ferdinando IV di Borbone,in Numero unico del Circolo Filatelico Molfettese, Molfetta, 1998.
  • PAGANI Antonio, Monete italiane dall’invasione napoleonica ai giorni nostri (1796-1961),II ed. riveduta e corretta, Milano, 1965.
  • PAGANI Antonio, Prove e progetti di monete italiane battute in Italia dall’invasione francese ai giorni nostri (1796-1955),Mario Ratto editore numismatico, Milano, 1957.
  • PANNUTI Michele, Le monete di Ferdinando IV di Borbone del 1805 illustrate da documenti inediti, Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, gennaio 1983-dicembre 1986.
  • PROTA Carlo, Maestri ed incisori nella Zecca Napolitana, a cura del Circolo Numismatico Napoletano, Vol.I, n.1, tipografia Melfi & Joele, Napoli, 1914.
  • PROTA Carlo e MORELLI Vicenzo, La riforma monetaria del 1804-05 di Ferdinando IV Borbone, Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, 1926.
  • RUOTOLO Giuseppe (a cura di), Le grandi monete d’argento dei Borboni di Napoli, Accademia di Studi Numismatici, Vicenza, Salone della Numismatica, 1999.
  • SAMBON Giulio, La moneta repubblicana del 1799 e la riforma monetaria del 1804, Archivio Storico per le Province Napoletane, anno XXIII, fasc.I, Napoli, 1898.