Dall’edizione mai celebrata a causa della guerra a quella della rinascita | Arte figurativa, coniazioni celebrative e monete “ai cinque cerchi”

 

di Livio Toschi | L’Olimpiade di Tokyo 2020 (di cui ho già scritto su Cronaca numismatica il 29 luglio 2019, leggi qui) è stata rinviata al 2021. È la prima volta che succede: in passato i Giochi furono annullati tre volte a causa dei conflitti mondiali (1916, 1940 e 1944), tuttavia mai rinviati. Nel 1940 il CIO li aveva assegnati proprio a Tokyo, questo ormai è risaputo, ma di quei Giochi voglio evidenziare alcuni fatti ancora poco noti.

Quegli sfortunati Giochi olimpici del 1940

Innanzi tutto ricordo che per ospitare i Giochi del 1940 erano in lizza undici città, ma Roma e Tokyo apparivano nettamente favorite. Nonostante i segnali propizi che ci pervenivano dal CIO e in particolare dal suo presidente, il conte Henri de Baillet-Latour, la candidatura di Roma fu ritirata su richiesta dell’ambasciatore nipponico Yotaro Sugimura.

Laureatosi all’Università Imperiale di Tokyo nel 1908, Sugimura fu allievo di Jigoro Kano e VI dan di judo, funzionario del ministero degli Affari Esteri, vice-segretario generale e direttore degli affari politici della Società delle Nazioni dal 1927 al 1933, membro del CIO dal 1933 al 1936, ambasciatore a Roma dal 1934 al 1937, poi ambasciatore a Parigi. Insomma, era un personaggio influente ed ebbe un ruolo di rilievo nell’assegnazione a Tokyo della XII Olimpiade.

Una riunione del Comitato Organizzatore dei Giochi di Tokyo 1940: al centro il principe Iyesato Tokugawa, presidente del Comitato, alla sua destra Jigoro Kano; a destra, il logo dei Giochi di Tokyo 1940, di Taiji Takamoto

L’Olimpiade in Giappone avrebbe comportato un lungo viaggio e notevoli spese per quasi tutti i paesi, che perciò tentennavano, mentre la nostra causa era ben sostenuta da Bruno Zauli sulle pagine de Il Littoriale, quotidiano sportivo della capitale, e da Lando Ferretti sulla sua influente rivista Lo sport fascista. Il CONI, inoltre, nel 1935 aveva reclamizzato nel mondo intero la candidatura della Città Eterna con una pubblicazione intitolata Roma Olimpiaca, a cura di Zauli e del professor Raniero Nicolai.

Senza curarsi di tutto ciò, all’improvviso Mussolini fece ritirare la candidatura di Roma. “Non ci furono consultazioni, non ci fu possibilità di discutere”, ha più tardi amaramente commentato Zauli. Che cosa era dunque accaduto perché il duce rinunciasse a una così bella occasione per esaltare l’efficienza organizzativa e costruttiva del fascismo?

Il 13 dicembre 1934 Sugimura aveva incontrato Mussolini e fra le questioni poste sul tappeto si era parlato anche di Olimpiadi. Nel 1940 il Giappone intendeva festeggiare solennemente il 26° centenario della dinastia imperiale, che la tradizione fa risalire al mitico Jimmu Tenno (660 a.C.): trovato l’accordo in politica estera (espansionismo italiano in Etiopia e giapponese in Cina), bisognava favorire la nazione amica. Tanto più che avremmo candidato Roma per l’Olimpiade del 1944, con il pieno appoggio del Giappone.

Il manifesto dei Giochi di Tokyo 1940, essenziale opera grafica di Sanzo Wada;  a destra, distintivo con coccarda dei Giochi di Tokyo 1940 mai celebrati

L’assegnazione a Tokyo della XII Olimpiade

Fu la sessione del CIO tenuta a Berlino il 31 luglio 1936 ad assegnare la XII Olimpiade a Tokyo, che prevalse con 36 voti favorevoli contro i 26 di Helsinki. A raggiungere quel risultato contribuì in maniera decisiva il padre del judo, Jigoro Kano, che – tra i molteplici incarichi ricoperti – sedeva alla Camera dei Pari ed era direttore dell’Educazione primaria nel ministero dell’Educazione Nazionale.

Membro del CIO dal 1909 al 1938, primo presidente (dal 1911) e poi presidente onorario del Comitato Olimpico Giapponese, presentò la candidatura di Tokyo nel 1932 e la sostenne fino alla vittoriosa votazione del 1936, impegnandosi poi senza risparmio nelle molteplici attività del Comitato Organizzatore dei Giochi.

Infaticabile, dopo aver presenziato alla sessione del CIO al Cairo (10-18 marzo 1938), che stabilì di tenere la XII Olimpiade dal 21 settembre al 6 ottobre 1940, raggiunse Seattle e Vancouver per incontrare i responsabili del judo in quelle città. Mentre stava tornando in patria sul piroscafo Hikawa Maru, morì a causa di una polmonite il 4 maggio 1938, all’età di 78 anni. Ricevette postumo il Gran Cordone dell’Ordine del Sol Levante.

Anche grazie al carisma di Kano nel programma della XII Olimpiade venne inserita una dimostrazione di budo, durante la quale si sarebbero esibiti esperti di judo, karate, sumo, kendo e kyudo. Luogo prescelto per assistere all’evento fu il Kokugikan a Ryogoku, il più grande impianto sportivo coperto dell’Estremo Oriente.

Duramente impegnato nella guerra con la Cina, il 16 luglio 1938 il Giappone dovette rinunciare ai Giochi, ma pubblicò ugualmente un Rapporto del Comitato Organizzatore sui lavori preparatori per i Giochi della XII Olimpiade del 1940 a Tokyo, ai quali il Giappone ha rinunciato. Da questo Rapporto e dagli articoli comparsi sui quotidiani sportivi Il Littoriale e La Gazzetta dello Sport ho ricavato molte preziose informazioni, che di seguito sintetizzo.

Lo Stadio Olimpico e lo Stadio del Nuoto progettati per i Giochi del 1940 a Tokyo: sullo sfondo s’intravede il Villaggio Olimpico

L’impegno dell’Impero giapponese per lo sport

Tra i nuovi impianti sportivi mi limito a menzionare, sul campo di golf a Komazawa, lo Stadio Olimpico per 100.000 spettatori e lo Stadio del Nuoto per 28.000, separati da una piazza per le cerimonie (26.400 mq), dominata da una torre monumentale. Alle spalle dei due stadi si voleva edificare il Villaggio Olimpico, collegato attraverso dei sottopassaggi.

La Commissione per la Propaganda aveva già scelto il logo (di Taiji Takamoto) e il manifesto, affidato al prof. Sanzo Wada dopo che l’apposito concorso non aveva soddisfatto appieno la giuria. Da maggio 1937 ad agosto 1938 furono pubblicati 16 numeri del mensile Olympic News in inglese, francese, tedesco e spagnolo.

La fiaccola olimpica da Atene sarebbe giunta via mare in Siria, passando poi per numerosi paesi e importanti città (Bagdad, Teheran, Kabul, Pechino, ecc…). Una volta arrivata dalla Corea al porto di Moji, a nord-est di Fukuoka, i tedofori l’avrebbero portata fino a Tokyo.

Allo scopo d’invogliare le varie nazioni alla trasferta in Estremo Oriente, il Giappone promise riduzioni che avrebbero dimezzato le spese di viaggio e limitò il costo giornaliero per il soggiorno nel villaggio olimpico a un dollaro e mezzo, pasti compresi. Per trasportare a Tokyo atleti, tecnici e dirigenti, la maggiore compagnia di navigazione nipponica, la Yusen Kaisha, s’impegnò a costruire appositamente tre navi da 16.500 tonnellate ciascuna.

Se nel 1936 a Berlino furono donate delle piantine di quercia ai vincitori, a Tokyo si pensò di consegnare ai vincitori una spada e alle vincitrici uno specchio. Va sottolineato il grande valore simbolico di questi oggetti, che insieme alla gemma costituiscono le insegne imperiali del Giappone (Sanshu no Jingi ossia “i tre sacri tesori”) e rappresentano il valore (la spada), la saggezza (lo specchio) e la benevolenza (la gemma).

Secondo la leggenda questi oggetti furono portati sulla terra da Ninigi no Mikoto quando la nonna, la dea del sole Amaterasu, lo inviò a pacificare e unificare il Giappone. Divennero il simbolo della divinità dell’imperatore, discendente di Amaterasu e come tale legittimato a governare il Paese. Il nipote di Ninigi, Jimmu Tenno, diede inizio alla dinastia imperiale (11 febbraio 660 a.C.).

Finalmente, la fiaccola nel Sol Levante: è il 1964

La XVIII Olimpiade si disputò a Tokyo dal 10 al 24 ottobre 1964: 93 le nazioni partecipanti, 5.140 gli atleti (683 donne). Cina e Corea del Nord non accettarono l’invito, mentre il Sudafrica fu escluso dal CIO a causa della sua politica di segregazione razziale. Per la prima volta nel programma figurava il judo, ma il gigante olandese Anton Geesink, imponendosi nella categoria open, gelò la Nippon Budokan Hall stipata da 15.000 spettatori.

Il manifesto dei Giochi di Tokyo 1964, di Yusaku Kamekura; a destra, pittogrammi dei Giochi di Tokyo 1964, di Masaru Katzumie e Yoshiro Yamashita

Tra i vincitori ci piace ricordare l’etiope Abeba Bikila nella maratona, che bissò il successo di Roma 1960, stabilendo il nuovo record mondiale. Nel 1969 rimase paralizzato dalla vita in giù, ma continuò a gareggiare nel tiro con l’arco fino al 1973, quando morì – a 41 anni – per un’emorragia cerebrale. L’Italia, presente con 170 atleti, conquistò a Tokyo 10 medaglie d’oro, 10 d’argento e 7 di bronzo, piazzandosi al 5° posto nella classifica per nazioni alle spalle di USA, URSS, Giappone e Germania, che per l’ultima volta fino al 1992 gareggiò sotto un’unica bandiera.

Alla cerimonia d’apertura, trasmessa in mondovisione, era presente l’imperatore Hirohito. Allorché la fiamma arse nel braciere olimpico, diecimila tamburi iniziarono a rullare, migliaia di palloncini vennero liberati nell’aria e cinque jet con le loro scie di fumo disegnarono nel cielo gli anelli olimpici, mentre in tutto lo stadio si diffuse un intenso odore di crisantemo, il fiore nazionale del Giappone.

L’ultimo tedoforo, Yoshinori Sakai, era nato a Hiroshima il 6 agosto 1945, un’ora esatta dopo il lancio della bomba atomica. Nulla si lasciò al caso: per impedire alle bandiere di afflosciarsi, per esempio, durante le premiazioni vennero utilizzati dei potenti ventilatori. L’asta su cui fu issata la bandiera con i cinque cerchi, era alta 15 metri e 21 centimetri, la stessa misura con cui all’Olimpiade di Amsterdam nel 1928 Mikio Oda aveva vinto nel salto triplo la prima medaglia d’oro giapponese.

Tra gli impianti più significativi costruiti per i Giochi vanno segnalati quelli per il nuoto e il basket ai margini del parco Yoyogi, capolavori dell’architetto Kenzo Tange. Nel 2021 il National Gymnasium a Yoyogi ospiterà la pallamano e il Nippon Budokan sarà utilizzato per le gare di judo e di karate, che esordirà alle Olimpiadi (ma sarà escluso da Parigi 2024).

Francobolli dei Giochi di Tokyo 1964; a destra, la medaglia per i partecipanti a Tokyo 1964, di Taro Okamoto (D/ plastico) e Kazumitsu Tanaka (R/ con iscrizioni)

Il manifesto ufficiale, il logo, i pittogrammi

Il manifesto con il sole rosso che sormonta gli anelli olimpici e la scritta Tokyo 1964, tutta color oro (cm 55×101), fu realizzato da Yusaku Kamekura (vincitore di un apposito concorso) e interruppe la tradizione stilistica figurativa del poster olimpico. A partire dalla XVIII Olimpiade, inoltre, i Comitati Organizzatori non si limitarono più a un solo manifesto ufficiale: per Tokyo ne furono elaborati quattro.

Gli altri tre Kamekura li disegnò in collaborazione con i fotografi Osamu Hayasaki e Jo Murakoshi. Raffiguravano la partenza di una corsa veloce (The Start of Sprinters Dash), un nuotatore (A Butterfly-Swimmer) e un tedoforo (An Olympic Torch Runner). Per la prima volta la fotografia fu utilizzata nei manifesti delle Olimpiadi.

Medaglia commemorativa dei Giochi di Tokyo 1964, edita da Numismatica Italiana

Il primo, ancor grezzo, tentativo di produrre dei pittogrammi risaliva ai Giochi di Londra 1948, ma solo a Tokyo 1964 si concretizzò una moderna serie di simboli, sia per rappresentare i diversi sport, sia per offrire informazioni generali al pubblico attraverso un linguaggio universalmente compreso. Da allora i pittogrammi accompagnano immancabilmente ogni Olimpiade. Per i Giochi del 1964 Masaru Katzumie, direttore artistico, e Yoshiro Yamashita, grafico, realizzarono una sessantina di simboli.

Dall’ottobre 1961 al settembre 1964 il Giappone emise 25 francobolli, di cui 20 (tutti da 5+5 yen) raffiguravano gli sport, uno la fiamma olimpica e 4 gli impianti principali: Stadio Nazionale, Nippon Budokan, Yoyogi National Gymnasium e Komazawa Gymnasium. Nessuna mascotte allietò i Giochi del 1964 perché la prima entrò in scena solo a Monaco di Baviera, nel 1972: il bassotto Waldi.

Moneta in argento da 100 yen, coniata in occasione dei Giochi di Tokyo 1964

La medaglia premio e quella di partecipazione

La medaglia per i vincitori, che dal 1928 dovette uniformarsi al modello di Giuseppe Cassioli, fu affidata a Toshikaka Koshiba (mm 60, g 52/88). Il dritto di quella in bronzo patinato per i partecipanti (mm 61, g 118) venne modellato dal famoso artista Taro Okamoto (vi si notano quattro atleti e un ramo di ulivo), il rovescio da Kazumitsu Tanaka. Nel 1972 Okamoto modellò anche delle medaglie per i Giochi estivi di Monaco e invernali di Sapporo. La sua città natale, Kawasaki, nel 1999 ha aperto un museo a lui dedicato.

Tra le medaglie commemorative ricordo quella coniata dalla Numismatica Italiana di Milano, in oro (mm 24, g 7) e in argento puro (mm 45, g 30 ). Sul recto, bordato da un anello composto di capitelli in stile dorico, un auriga solleva la torcia mentre guida una quadriga, con un torii (portale) sullo sfondo.

Lo Yoyogi National Gymnasium, di Kenzo Tange, costruito per i Giochi di Tokyo 1964

E infine, le due monete olimpiche per Tokyo 1964

Anche a Tokyo, seguendo la tradizione iniziata nel 1952 a Helsinki, furono coniate delle monete: da 100 yen (argento 600 millesimi, mm 22,5, g 4,8), che sul recto raffigura la fiamma olimpica con i cinque anelli sovrapposti, e da 1000 yen (argento 925 millesimi, mm 35, g 20), che sul recto raffigura il Fujiyama, montagna sacra del Giappone, nel 2013 inclusa dall’UNESCO nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Quest’ultima moneta, in tutta la sua bellezza, la potete ammirare nella foto di apertura.