Lo stesso conio per due sesterzi per una Aeternitas che ci riporta al 253 d.C., quando tre imperatori si avvicendarono sul trono di Roma

 

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Ritratto dell’imperatore Volusiano: calcografia di Giovanni Battista Cavalieri e Thomas Treterus, dalle “Romanorum imperatorum effigies”, Roma 1583

di Enrico Piras | È opinione diffusa che i numismatici inizino a interessarsi alla loro disciplina perché inclini allo studio e alla riflessione; i più romantici ci immaginano dotati di un certo spirito d’avventura, come una sorta di Indiana Jones.

Personalmente, ritengo che la scintilla che accende “il sacro fuoco” sia la fantasia. Solo chi è dotato di immaginazione, infatti, può subire il fascino delle monete, oggetti di uso quotidiano che, perduto il loro significato materiale, ci parlano di ciò che è polvere ormai da secoli.

Spesso si pensa alle opere d’arte, ai monumenti e alla poesia, e ci si dimentica di quella che è la più duratura e diffusa delle testimonianze, la moneta appunto. Gli antichi, invece, più sensibili di noi allo scorrere del tempo, avevano ben presente il loro potere eternante.

Ne è l’esempio un sesterzio di Volusiano, imperatore dal 251 al 253 d.C. Al dritto, reca il busto del sovrano volto a destra, con legenda IMP C VOLVSIANO AVG. Al rovescio, invece, la personificazione dell’eternità (Aeternitas) come una donna in piedi, volta a sinistra, che tiene un lembo della veste con la mano sinistra e ostenta con la destra il globo sormontato dalla fenice, simbolo di immortalità; la legenda recita AETERNITAS AVGG e, nel campo, S C.

Aureo di Volusiano (251-253) con la raffigurazione della "Aeternitas" al rovescio
Aureo di Volusiano (251-253) con la raffigurazione della “Aeternitas” al rovescio

Di Volusiano è noto un aureo con la Aeternitas al R/; ma la moneta in esame è l’unico sesterzio a me noto di questo imperatore con tale rovescio; nei testi sulla monetazione imperiale (Cohen, Ric, Banti) non se ne trova traccia.

L’Aeternitas è invece presente in analoghe emissioni di Treboniano Gallo (206-253 d.C.) e di Emiliano (207-253 d.C.), i due imperatori che precedettero e seguirono Volusiano. La peculiarità più singolare della nostra moneta, però, non è la sua rarità, ma un’altra.

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Un raro sesterzio di Volusiano con la figura della “Aeternitas”

A un esame comparativo, infatti, il conio usato per il suo R/ appare con tutta probabilità lo stesso usato per i sesterzi di Treboniano Gallo; per convincersene, è sufficiente osservare l’esemplare pubblicato da Alberto Banti (I grandi bronzi imperiali, Firenze 1987) al n. 3, proveniente dalla Collezione Gnecchi.

Ora, se trovare due monete romane battute con lo stesso conio non è facile, trovare due monete battute con un medesimo conio da due imperatori diversi è molto inconsueto, tanto da spingerci a cercare una spiegazione.

Purtroppo, una volta di più siamo costretti a muoverci avanzando ipotesi non verificabili. Può darsi che ci sia stato un errore da parte dello zecchiere; forse però la spiegazione più vicina alla verità è che, regnando i due sovrani contemporaneamente, l’utilizzo del medesimo conio sia stato volontario, tanto più che ci si trovava nel pieno della cosiddetta “crisi del III secolo”, un periodo di anarchia politica e instabilità economica in cui poteva capitare che venissero utilizzati coni “riciclati” e quindi consumati o addirittura spezzati.

Il sesterzio di Treboniano Gallo con lo stesso conio di rovescio di quello di Volusiano
Il sesterzio di Treboniano Gallo con lo stesso conio di rovescio di quello di Volusiano

È molto verosimile che per Volusiano sono stati battuti pochissimi esemplari col rovescio di cui parliamo; sia detto per inciso che per l’emissione di Emiliano, avversario dei suoi due predecessori, fu utilizzato un conio differente.

Gaio Vibio Volusiano era stato nominato cesare da suo padre Treboniano Gallo nel 251 d.C., dopo che questi era divenuto imperatore e aveva elevato al rango di co-augusto il figlio adottivo, il ventunenne Ostiliano.

La morte di quest’ultimo, nello stesso 251, favorì Volusiano, che divenne a sua volta co-augusto. I suoi tre anni scarsi di regno insieme al padre furono funestati da una sfortunata sequenza di disastri: la peste decimò la popolazione di Roma e i Sassanidi ottennero importanti vittorie ai confini dell’Impero.

Nel 253 il governatore della Mesia Superiore Marco Emilio Emiliano fu acclamato imperatore dall’esercito in seguito alle sue vittorie sui Goti, e marciò verso Roma. Treboniano e Volusiano gli si opposero, ma furono sconfitti a Interamna, Terni, prima di essere raggiunti dalle truppe del governatore della Rezia Valeriano, che accorreva in loro aiuto. Rifugiatisi a Forum Flaminii (San Giovanni Profiamma, frazione di Foligno), furono uccisi dai loro stessi soldati, attratti dalla prospettiva di ricevere una ricompensa da Emiliano.

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Anche Emiliano, il terzo imperatore dell’anno 253, conia il sesterzio “dell’eternità”

Emiliano divenne così imperatore, ma il suo regno fu breve: Valeriano, a sua volta acclamato dall’esercito, si scontrò con lui vicino a Spoleto; tuttavia, non fu la battaglia ad essere fatale a Emiliano, bensì, ancora una volta, il tradimento dei suoi soldati.

Così, in quel 253 d.C. si bruciarono le vite di tre imperatori. Il più anziano di loro, Treboniano, morì a 47 anni. Un destino ironico per uomini che raffigurarono l’eternità sulle monete, tanto più che il concetto di aeternitas si collegava a quello di negotium: il mondo sarebbe durato finché durava l’Impero, e bisognava operare affinché questo fosse eterno.

Essi, siano stati saggi ed equilibrati o avidi e corrotti, ebbero ben poco tempo per realizzare quest’utopia. Ci hanno lasciato le loro monete, queste sì eterne: un monumento imperituro ad una gloria effimera.