La Serenissima è nel panico per la peste ma una ferma azione del doge e dell’Ufficio di Sanità, celebrata da una osella “ex voto”, salvano la città
di Roberto Ganganelli | Pestilenze ed epidemie hanno scandito la storia – quella di Covid-19, che speriamo giunta alla fine, lo conferma – e lo scampo o la cessazione del pericolo hanno costituito, nel corso della storia, occasioni di giubilo e di festeggiamenti.
Spesso, la fine di un evento epidemico è stata attribuita ad interventi divini ma, come suol dirsi, “aiutati, che il Ciel ti aiuta” e, a questo adagio, non sfugge una pagina di storia veneziana che un’osella, quella del 1793, ci racconta in modo esemplare.
“Quasi un prodigio nel Secolo decimo ottavo à imprigionato e vinto questo nemico dell’umanità, che aveva saputo introdursi à reso indenne quel popolo. Che altre volte era stato miseramente colpito, e stracciato”.
Con queste parole l’avvocato fiscale Lorenzo Alugara, nella sua opera dal titolo Descrizione istorica del Contagio sviluppatosi in una Tartanella Idriota esistente nel Canal di Poveglia nel Giungo 1793 e dei mezzi praticati a rinserrarlo in quell’Isola, descrive le azioni intraprese dall’Ufficio di Sanità della Serenissima in quei mesi cruciali.
Un anno, il 1973, che sarebbe potuto passare alla storia come quello dell’ennesima, devastante epidemia di peste per la città e la popolazione di Venezia, ma in cui le cose andarono in modo ben diverso.
Grazie ad una magistratura apposita destinata alla salvaguardia della salute cittadina e statale, nonché alla posizione geografica ottimale per l’isolamento delle persone infette dalla malattia, infatti, Poveglia divenne la sede di quel Lazzaretto Nuovissimo che permise di isolare il morbo arrivato in Laguna attraverso l’equipaggio di una nave mercantile proveniente dal Levante.
Era doge Lodovico Manin, che sarebbe passato alla storia come il 120° e ultimo magistrato della Serenissima a indossare il “corno” e, per celebrare la scampata epidemia, venne ordinato alla zecca di coniare un’osella al cui dritto la Vergine Maria discende dal cielo, il capo coronato di stelle, e allontana da Venezia una nave; sullo sfondo degli edifici, probabilmente quelli del lazzaretto di Poveglia in cui era stato contenuto e in seguito debellato il contagio.
NEC NUPER DEFECI, “Nemmeno ora sono venuta meno”: queste le parole che l’incisore del conio fa pronunciare a Maria, la cui intercessione sarebbe stata essenziale per debellare l’ultima pestilenza del XVIII secolo.
Tuttavia, come detto, furono essenziali anche gli investimenti e le azioni del governo dogale per evitare una possibile, devastante emergenza: già verso la metà del secolo erano stati stanziati migliaia di ducati per bonificare i canali attorno al Lazzaretto Nuovo e, per fronteggiare gli eventi del 1793, ne sarebbero stati necessari oltre diecimila.
Denari ben spesi perché Poveglia, nel 1798, avrebbe di nuovo svolto un ruolo essenziale come luogo di quarantena per un equipaggio infetto in arrivo a Venezia; l’ultimo graffio della peste nella storia della città.
Per chi volesse approfondire la storia delle pestilenze e delle epidemie a Venezia, consigliamo la lettura di un’interessante tesi di laura magistrale in Storia dal medioevo all’età contemparanea redatta da Stefano Mossolin e accessibile a questo indirizzo.