Un denaro di fine II secolo a.C. e una delle più originali istituzioni del diritto romano, la possibilità per i condannati di appellarsi ai comizi e aver salva la vita

 

Littore con verghe in un bassorilievo dal Museo archeologico di Verona: appare anche sulk denaro PROVOCO assieme all'accusato e al magistrato
Littore con verghe in un bassorilievo dal Museo archeologico di Verona: appare anche sulk denaro PROVOCO assieme all’accusato e al magistrato

a cura della redazione | Un denario d’argento coniato nel 110-109 a.C. dal console Publio Porcio Laeca per celebrare una legge voluta da un suo antenato omonimo (e quindi, per esaltare se stesso e la sua gens) ci racconta un aspetto poco noto del diritto pubblico romano.

Parliamo della provocatio ad populum, cioè della possibilità, da parte di un condannato a morte, di ricorrere al giudizio popolare per avere la pena capitale commutata in una più mite, perfino nell’assoluzione.

La pena capitale nell’antica Roma

Nell’antica Roma, la pena di morte poteva essere eseguita in diversi modi a seconda della colpa e del colpevole: ad esempio, decapitazione, crocifissione, sepoltura da vivi, rogo e annegamento.

Il trattamento più brutale era però quello che spettava agli accusati di parricidio: dopo la condanna, il reo veniva portato in carcere con zoccoli di legno ai piedi e un cappuccio di pelle di lupo in testa, frustato con virgae sanguineae (verghe colore del sangue), cucito vivo in un sacco di cuoio insieme ad una vipera, un cane, un gallo e una scimmia e scaraventato nel Tevere dopo essere stato trasportato attraverso l’Urbe su un carro trainato da buoi neri.

A rendere la pena del sacco (poena cullei) una delle più cruente fra le esecuzioni dell’antichità era certamente la presenza degli animali nell’otre: le bestie straziavano e dilaniavano il condannato, che spesso giungeva già morto nel luogo in cui sarebbe stato gettato in acqua. Ognuno degli animali aveva una valenza simbolica: le caratteristiche attribuite a vipera,  scimmia, cane e gallo richiamavano infatti, per i Romani, il carattere e il gesto del parricida.

Catone "il Censore" in un magnifico ritratto marmoreo che ne mostra tutto il carattere
Catone “il Censore” in un magnifico ritratto marmoreo che ne mostra tutto il carattere

La provocatio, estrema risorsa

Per evitare abusi nell’utilizzo della pena capitale e tutelare i cittadini da una possibile giustizia sommaria,tuttavia, fu loro concesso di “provocare ad populum”, di opporsi, cioè, all’esercizio del potere punitivo del magistrato rivolgendosi al popolo nei comizi.

Inizialmente la misura fu pensata a favore dei patrizi – soprattutto per limitare il potere assoluto dei magistrati – e fu ammessa solo per i crimini commessi in città e non commessi dai soldati.

La possibilità, forse già concessa in età regia in alcuni casi particolari e in via eccezionale, divenne in età repubblicana un diritto: lo ius provocationis. Sulla data in cui questo diritto venne riconosciuto sono sorte numerose discussioni. Secondo alcuni, la Lex Valeria sarebbe da individuare nella Lex Valeria Publicola del 509 a.C., il primo anno della Repubblica. Per altri, nella Lex Valeria Horatia del 449 a.C., anno della cacciata dei decemviri. A parere di altri ancora, si tratterebbe della Lex Valeria de provocatione del 300 a.C.

Quale che sia la verità, da quando la provocatio entrò nella consuetudine giuridica della Repubblica, le esecuzioni capitali divennero, a Roma, eventi molto rari: gli accusati, infatti, fino all’ultimo voto dei comizi avevano il diritto di chiedere l’esilio (ius exulandi), pena che comportava la perdita dei diritti politici, religiosi e civili, nonché l’esclusione dalla comunità, ma permetteva di aver salva la vita. I luoghi preferiti dagli esuli erano Ravenna e e Rimini.

PROVOCO si legge nell'esergo del rovescio di questo denaro repubblicano coniato nel 110-109 a.C. e che rappresenta una vera e propria "illustrazione" di uno dei principi del diritto romano
PROVOCO si legge nell’esergo del rovescio di questo denaro repubblicano coniato nel 110-109 a.C. e che rappresenta una vera e propria “illustrazione” di uno dei principi del diritto romano

Dopo il 90 a.C., data dell’ultima esecuzione nota dalle fonti, e fino all’inizio del Principato, a Roma la pena di morte venne inflitta solamente in circostanze straordinarie, come la congiura di Catilina. Tutto ciò, in ogni caso, non significa che in età repubblicana la pena di morte scomparve.

La securi percussio (decapitazione con la scure), continuò infatti ad essere usata per uccidere non solo i soldati insubordinati e ribelli, ma anche i prigionieri di guerra e per eseguire le sentenze del dictator, che non erano soggette a provocatio. In età imperiale, poi, visto che né le sentenze imperiali né quelle senatorie potevano essere sottoposte a provocatio, le esecuzioni divennero molto più frequenti.

Il denaro a legenda PROVOCO di Lucio Porcio Laeca

Il denaro PROVOCO si riferisce alla seconda delle tre Leges Porciae, quella che, voluta da Publio Porcio Laeca, tribuno della plebe nel 199 a.C. e pretore nel 195 a.C., avrebbe esteso il diritto di provocazione ai cittadini che si trovavano fuori Roma e ai soldati nei confronti del loro comandante.

La prima Lex Porcia fu quella detta “de tergo civium”, promulgata da Marco Porcio Catone il Vecchio detto “il Censore che, console nel 195 a.C., avrebbe concesso il ricorso al popolo contro la fustigazione come provvedimento autonomo, se non addirittura abolito l’uso delle verghe contro i cittadini romani.

La testina con elmo alato di Roma sul dritto assieme all'indicazione del magistrato monetale e al valore X, dieci assi, sotto il mento della personificazione
La testina con elmo alato di Roma sul dritto assieme all’indicazione del magistrato monetale e al valore X, dieci assi, sotto il mento della personificazione

La terza, infine, di cui ci sono ignoti sia il proponente che la data, avrebbe introdotto una nuova e più severa sanzione, forse la pena di morte nei confronti del magistrato che non si fosse attenuto alle norme sulla provocatio.

Sul rovescio del denaro sono rappresentate tre figure : la più grande, al centro, è un magistrato in armi e in paludamentum, probabilmente un detentore dell’imperium militae, che stende la mano verso una figura togata, il cittadino accusato; dietro il magistrato è raffigurato un littore munito di verghe (una nella destra e due nella sinistra). Nell’esergo si legge la scritta PROVOCO.

Sul dritto della moneta PROVOCO – così densa di storia, come ogni moneta romana – la testina, con elmo alato, di Roma, la dicitura P. LAECA e ROMA (su molti esemplari, poco per o nulla visibile) e il segno di valore X sotto il mento della dea. Questa moneta, così ricca di storia e di significati, racconta la sua storia in un diametro di soli 18 millimetri e in appena 4 grammi d’argento.