La vita e il pensiero di Nicolò Papadopoli a un secolo dalla scomparsa, nelle sue parole (sempre attuali) e in quelle di grandi numismatici del passato

 

nota della redazione | Con l’autorizzazione dell’autore Andrea Cavicchi e dell’editore, la NIP Numismatici italiani professionisti che ringraziamo, siamo lieti di offrirvi – in due parti – il testo integrale del fascicolo distribuito al Senato lo scorso 17 febbraio nel corso degli Stati generali della numismatica, nella celebrazione del centenario dalla scomparsa di Nicolò Papadopoli Aldobradini.

Un testo che sottolinea non solo il valore del personaggio, non a caso definito “illuminato” nel titolo, ma anche la modernità e l’attualità del suo pensiero in relazione sia alla gestione delle collezioni numismatiche pubbliche che alla visione di quelle private.

Nicolò Papadopoli, studioso e collezionista illuminato | 1a parte

di Andrea Cavicchi | Tra i collezionisti italiani della fine Ottocento – primi Novecento che diedero maggior lustro e vigore agli studi numismatici si può ben annoverare il conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini, che nacque a Venezia il 23 maggio 1841 da nobile famiglia.

I Papadopoli erano originariamente agiati commercianti dell’isola di Corfù. Alla fine del Settecento, trasferitisi a Venezia, vi avevano fondato una casa commerciale e nel 1821 erano entrati a far parte della nobiltà veneziana. Nella città lagunare divennero in breve tra i più autorevoli e benestanti personaggi del momento.

Il conte Nicolò, durante la sua vita ricoprì numerosi incarichi di alto livello in vari ambiti distinguendosi sempre per competenza, serietà e nobiltà d’animo. Fu prima deputato, negli anni 1874, 1876 e 1880, e nel 1891 fu nominato senatore del Regno. Uomo di grande munificenza nel ricordo degli antichi patrizi veneziani, fu assai prodigo in opere di beneficenza e in aiuti verso le iniziative artistiche, ma anche un intelligente e moderno fautore di ogni progresso e miglioramento nel campo economico ed industriale.

Egli fu uno dei primi proprietari fondiari del Veneto ad introdurre le riforme agrarie nei suoi possedimenti, soprattutto del Polesine. Dedicò all’agricoltura la più fattiva attività, trasformando aree incolte in terreni fertili. Diede sviluppo ad una vasta industria enologica, organizzò impianti idroelettrici come quelli del Cellina apportando il suo diretto contributo nel campo dell’industria alberghiera, nelle attività portuali, in aziende editoriali e cartarie.

Fu membro del Consiglio d’amministrazione della Società veneziana di navigazione a vapore, della Società “Cellina” per lo sfruttamento delle risorse idriche nel Veneto, della Società per il porto industriale di Venezia, della Società promotrice di belle arti di Venezia, della Società geografica italiana, fu presidente della Deputazione di storia patria per le Venezie e socio dell’Ateneo veneto.

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Il conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini (Venezia 1841 – Roma1922) e il suo ex libris

Allo stesso modo fu un precursore anche in ambito numismatico cercando di percorrere nuove vie, proponendo idee innovative e fornendo indicazioni intelligenti per sostenere, valorizzare e migliorare i tanti aspetti del corso degli studi delle monete. E in ciò fu facilitato anche perché era figura istituzionale di rilievo. Gentiluomo colto, ebbe una passione vivissima per gli studi di numismatica e soprattutto per le monete veneziane sulle quali pubblicò numerose e pregevoli opere, così da conseguire indiscussa autorità, riconosciuta ed apprezzata anche da Vittorio Emanuele III. Le pubblicazioni da lui redatte gli valsero la nomina a membro effettivo e poi di presidente del Regio istituto veneto di scienze, lettere ed arti.

Nicolò Papadopoli Aldobrandini e la sua collezione di monete

La sua importantissima e immensa collezione, raccolta durante tutta la sua vita e oggi conservata al Civico Museo Correr di Venezia, costituì per lui la base per approfondimenti culturali fornendogli terreno fertile per i suoi studi. Il celebre studioso Giuseppe Castellani, parlando di lui, ci riporta che si era reso conto dell‘importanza scientifica dello studio delle monete, non soltanto come semplice ausiliario della storia ma anche come fattore indispensabile delle discipline economiche:

“[…] Di qui l’alta opinione che ebbe dell‘ufficio del raccoglitore nel quale scorgeva lo strumento primo della raccolta, della conservazione e della coordinazione di questi monumenti. Di qui lo studio perché tale funzione non venisse esercitata empiricamente, come generalmente avviene da parte di chi nelle monete raccolte non vede altro che la soddisfazione del desiderio dì possederle, ma fosse rivolta a uno scopo più elevato di studio.

[…] Attraverso i racconti dei commercianti numismatici che egli aveva l’abitudine di frequen-tare, traspare un uomo di altissima levatura culturale che era spinto da grande curiosità e che era solito acquisire per la sua raccolta non solo monete di primaria importanza, delle quali però valutava di volta in volta il valore d’acquisto dimostrando grande competenza, ma anche esemplari considerati minori ai quali dava però quella giusta rilevanza e dignità sia storica che numismatica”.

Nicolò Papadopoli considerava infatti la sua collezione come elemento fondamentale per acquisire quell’essenziale esperienza diretta che è necessaria ad ogni studioso di monete.

VENEZIA – Doge Francesco Molin (1646-1655) Osella A/ VII. D/ S. Marco in trono, alle cui spalle c’è sant’Antonio da Padova con un giglio in mano, porge il vessillo al doge genuflesso. R/ In primo piano, Mosè, inginocchiato in atto di preghiera, stringe un bastone e volge lo sguardo in alto alla Manus Dei tra raggi. Il popolo ebraico attraversa il Mar Rosso e, all’orizzonte, una colonna di fuoco. Questa osella celebra l’adozione di sant’Antonio da Padova quale protettore della città di Venezia, avvenuta nel 1652. La legenda ricorda che a Venezia il culto di sant’Antonio fiorirà in eterno (“Florebit aeterno”). L’esodo del popolo ebraico richiama il difficile momento che la Repubblica stava vivendo, con l’augurio che così come Iddio l’aveva guidato verso la terra promessa, così sant’Antonio poteva proteggere i veneziani nella guerra in corso contro i Turchi

Solone Ambrosoli, esimio rappresentante della scienza numismatica e tra i più preparati studiosi italiani, conservatore del Gabinetto numismatico di Brera e insieme a lui fondatore della Rivista italiana di numismatica, in un suo articolo scrive:

“[…] nella Numismatica è quasi impossibile il separare la teoria dalla pratica, anzi, separandola, si incorre in gravissimi pericoli, si rischia di architettare deduzioni e sistemi campati in aria, perché il punto di partenza, il punto essenziale, l’autenticità dei monumenti, checché se ne dica, rimane di spettanza la pratica”.

E questo principio rende merito al collezionismo di livello. Il conte Papadopoli fu appunto uno dei massimi rappresentanti ed alto esempio di benemerito collezionista illuminato, prima che di studioso. Egli fu infaticabile raccoglitore che, spinto da insaziabile curiosità di conoscenza, raccolse ben 17.367 esemplari emessi dalle innumerevoli zecche italiane.

FERRARA | Ercole I d’Este (1471-1505) Ducato oro. D/ Busto corazzato a s. R/ • SVREXIT • XPS • REX • CLE • Cristo benedicente e con una banderuola risorge ed esce dal sepolcro poggiando il piede destro sul bordo. Ercole I d’Este fu uno dei personaggi più celebri del Rinascimento italiano. Nato il 26 ottobre 1431 a Ferrara ebbe un’educazione militare e umanista alla corte aragonese di Napoli. Alla morte del fratellastro Borso, avvenuta nel 1471, subentrò nella signoria di Ferrara circondandosi di artisti provenienti da tutta Europa. In pochi anni Ferrara diventò una delle principali corti italiane. Abile diplomatico, Ercole I riuscì tramite le nozze delle figlie ad imparentarsi con importanti famiglie italiane come gli Sforza di Milano ed i Gonzaga di Mantova

Il suo interesse fu però indirizzato soprattutto alle emissioni di Venezia, delle sue colonie e possedimenti d’oltremare. Solone Ambrosoli riassume nel modo che segue le caratteristiche comuni a molti collezionisti privati che attraverso le loro raccolte portano contributi piccoli e grandi alla scienza come fece anche il conte Papadopoli che, grazie alla sua dedizione, ha contribuito a raccogliere, conservare, valorizzare e studiare moltissime monete:

 “É quindi assai difficile per noi, per non dire impossibile, il tracciare una linea netta di confine fra la dottrina e il dilettantismo; poiché spesso lo scienziato, l’autore di scritti profondi intorno a qualche punto particolare della Numismatica, nella vita pratica è un appassionato raccoglitore, che, come tale, se non può disporre di mezzi ingenti, suole professarsi egli stesso per semplice dilettante. D’altronde, senza i dilettanti, o meglio, nel caso nostro, senza i raccoglitori, la numismatica intristirebbe e sì dissecherebbe in breve, come una pianta priva d’alimento.

Dirò anzi che la numismatica, quale scienza, si nutre appunto in gran parte col contributo che le arrecano i mille e mille dilettanti; e spesso un modesto raccoglitore, col sottrarre alla distruzione un monumento, col concederne liberamente la pubblicazione ad uno scienziato, si rende benemerito degli studi altrettanto e forse di più di un erudito ma sterile indagatore.

Taccio delle grandi collezioni private, che assurgono talvolta alla dignità di veri Musei, e come tali apprestano non di rado la memoria alle elucubrazioni della stessa scienza ufficiale. Tutti insomma, e studiosi e raccoglitori, possono contribuire all’incremento della Numismatica, di questa degna alleata dell’Archeologia, della Storia, dell’Economia Politica, che a sommi cultori di tali severe discipline fornisce argomento di mirabili investigazioni, e che in mille altre guise può giovare alle scienze ed alle arti”.

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GUBBIO | Francesco Maria I Della Rovere (1508-1538) Scudo d’oro. Stemma Della Rovere sormontato da corona ducale. R/ Sant’Ubaldo in trono, mitrato, nimbato, con pastorale e libro della Regola. Francesco Maria I della Rovere utilizzò ben quattro zecche e cioè, oltre a quella principale di Urbino, Pesaro, Senigallia e Gubbio. Questo prestigioso scudo fu battuto sicuramente nel secondo periodo di regno, dal 1521 al 1538, in quanto lo scudo d’oro, proprio durante quel periodo, aveva sostituito la tipologia monetale che fino a quel momento era definita ducato d’oro

La numismatica, una forma di “cultura in movimento”

 Nicolò Papadopoli acquisiva esemplari per la sua collezione da commercianti numismatici (come Carlo Kunz, studioso insigne, da Ratto di Genova e Milano, da Morchio e dai Majer di Venezia, Caucich di Firenze, Vitalini di Roma o Paolo Lambros di Atene, investigatore numismatico dell’Oriente Latino) così come da ognuna delle importanti vendite all’asta dell’epoca, sia italiane che estere (Hirsch di Monaco, Hamburger ed Hess di Francoforte, Rollin di Parigi). L’acquisizione di monete per la sua raccolta, che aumentava gradualmente di dimensione numerica e di intensità culturale, è chiara dimostrazione che “la numismatica è cultura in movimento”.

Papadopoli si rese però conto che l’organizzazione della collezione secondo il sistema geografico, e quindi cronologico, non rispondeva ad un criterio razionale perché le monete erano divise secondo i luoghi e non erano riunite sotto la stessa autorità.

E per tentare di trovare una soluzione arrivò perfino a bandire unconcorso della Società numismatica italiana, diretto ai numismatici, con questo titolo: “Per una memoria che propongail sistema migliore e più pratico di ordinare le collezioni numismatiche di zecche italiane,abbandonando l’ordine alfabetico e seguendo una ripartizione conforme alla storia e alla geografìa”.

Il concorso andò deserto, ma Papadopoli non si perse d’animo e questo problema venne portato allo studio in un’apposita commissione della Società numismatica italiana da lui diretta. Egli volle tentare un esperimento pratico e dunque riformò l’ordinamento della sua raccolta secondo un nuovo assetto storico geografico che è proprio quello riportato all’interno dei due volumi, curati da Giuseppe Castellani, che sono il catalogo della collezione del conte Papadopoli.

Il senatore Papadopoli la organizzò in quattordici settori partendo dal principio che la monetazione italiana aveva una derivazione comune e diretta da quella imperiale romana. Tali gruppi vennero quindi organizzati in dipendenza dalle singole aree geografiche. Queste vennero però da lui messe in relazione con le cosiddette aree di circolazione monetaria dipendenti da uno specifico sistema monetario secondo il quale le varie autorità via via avevano battuto moneta.

Uno dei volumi del Corpus Nummorum Italicorum (Veneto – Venezia. Parte I) alla redazione del quale, in collaborazione con Vittorio Emanuele II, il “re numismatico” diede il suo contributo anche il conte Nicolò Papadopoli

Il primo settore comprese le emissioni che erano ancora fortemente dipendenti per forma e valore dall’autorità imperale, i successivi raggrupparono invece quelle che, con l’avvento dei Comuni, si scostavano notevolmente dalle precedenti mantenendo il ricordo dell’imperatore solo per la concessione di zecca. Gli altri settori furono organizzati rispetto ad ogni grande città che ebbe un ruolo determinante nella storia italiana (Milano, Roma, Genova, Venezia, Casa Savoia) e che determinò nei suoi territori un proprio sistema monetario. Ognuna di esse venne considerata dal conte Papadopoli come tessera all’interno di un mosaico in modo tale che si riuscisse a dare l’idea di tutta la produzione numismatica italiana ben organizzata e facilmente consultabile.

In questo insieme venne considerata in un settore specifico anche la produzione di monete degli italiani nell’Oriente latino e dei Principati derivanti dalle crociate. Nell’ultima apposita sezione pose tutto quello che era inerente la numismatica ma che viene classificato sotto varie denominazioni come tessere, bolle, medaglie, ecc… E proprio seguendo questa linea di pensiero formulò alcune coraggiose osservazioni all’interno della recensione del primo volume del Corpus Nummorum Italicorum, opera fortemente voluta da re Vittorio Emanuele III che voleva donare la sua collezione agli Italiani, e scriveva:

“[…] non si contende che tale sistema non sia facile e pratico, e sopra tutto utile in specie ai negozianti, ma a chi lo esamina, pur non avendo vaste cognizioni in materia, si addimostra subito mancante di una solida base scientifica e razionale … perché dimostra come nella razionale distribuzione delle monete debba entrare un altro elemento che non sia il semplice luogo dove o per il quale la moneta fu battuta, ma l’autorità che la improntava e la emetteva.

Per questo lodò il tentativo applicato da Giulio Sambon di distribuire il suo repertorio delle monete italiane in un intelligente sistema che si accostava a quello da lui proposto.

Come Papadopoli dimostrò di saper fare in tutti i suoi scritti, sarebbe quindi auspicabile che molte delle future pubblicazioni non si limitino solo a generici elenchi descrittivi delle monete, sia antiche che medievali e moderne, come capita troppo spesso ancora oggi, ma che al loro interno vi siano approfondimenti e considerazioni storiche, economiche o di altro tipo a vantaggio e progresso della numismatica”.

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Il Museo Correr di Venezia conserva la collezione numismatica del conte Papadopoli Aldobrandini come parte del suo immenso patrimonio culturale

La donazione della collezione Papadopoli al Museo Correr

 Spinto da ferma intenzione il conte Papadopoli, dopo aver acquisito e raccolto la sua
importante collezione, decise di donarla al Civico Museo Correr di Venezia perché le monete
fossero a disposizione di qualsiasi cittadino italiano che avesse curiosità di conoscere, approfondire, sapere: perché “le monete parlano, bisogna saperle ascoltare”.

Le monete furono per lui proprio questo: una preziosa leva culturale e un forte stimolo alla conoscenza che lui aveva avuto la fortuna di poter raccogliere copiose nella sua raccolta attraverso commercianti italiani e stranieri di grande rilievo e competenza.

Il suo nobile animo di colto collezionista e di filantropo, che scelse di donare la sua collezione al pubblico, soffriva però perché egli auspicava che qualcuno potesse rimuovere le condizioni veramente umilianti per i nostri studi e per il nostro buon nome, e anche poco riverenti per la memoria di quelli che arricchirono con le loro raccolte il patrimonio della Nazione. Come riporta Castellani nel suo articolo biografia del 1922 sul conte Papadopoli:

“[…] altro suo pensiero dominante fu quello della utilizzazione per gli studiosi del copioso materiale numismatico che giace sepolto nei Musei d’Italia. Egli soffriva nel vederlo così ostinatamente negletto, senza ragionevoli incrementi e addirittura inaccessibile agli studiosi per mancanza di ordinamento e soprattutto per mancanza di personale adatto. Nel suo pensiero le raccolte numismatiche pubbliche non dovevano essere un corpo morto e addirittura sepolto, ma un organismo vivente e vitale con un‘anima operante, quella del dirigente dotto e innamorato”. E questo, da allora, è ancor oggi un problema che non sempre ha trovato soluzione.

VENEZIA | Doge Sebastiano Venier (1577-1578). Osella 1577/ I. D/ San Marco, seduto in trono, benedice e porge il vessillo al Doge genuflesso con ramo di palma in mano (portatore di pace), mentre un angelo gli impone il corno dogale (premio per la vittoria). R/ Veduta di Venezia con navi e tre grandi galere alla fonda; in alto, il Redentore con le braccia aperte. Sebastiano Venier partecipò a numerose imprese militari in Oriente e nel 1570 fu tra gli artefici della vittoria veneziana a Lepanto riportando una ferita che lo rese claudicante per il resto della vita. Al ritorno in patria fu ricevuto con ovazioni di giubilo e poco dopo fu eletto doge. Questa osella vuole ricordare la sua partecipazione a Lepanto. Al rovescio è evidente l’allusione alla peste che afflisse la città per due anni e la cui fine fu pubblicamente sancita il 21 luglio 1577

Per la sua estrema sensibilità e amore della numismatica, al Museo Correr venne messo in atto da Nicolò Papadopoli, già agli inizi del Novecento, quello che dovrebbe essere un naturale e auspicabile principio virtuoso di reciprocità anche tra collezionisti privati e raccolte pubbliche. Ma poiché prevedeva che la sua collezione sarebbe stata fusa con le altre già all’interno di questo Museo, dispose che il Comune di Venezia dovesse provvedere, entro i tre anni dalla sua morte, alla compilazione di uno specifico catalogo e il trasferimento potesse avvenire solo dopo la sua pubblicazione.

Il conte Papadopoli aveva infatti compreso in modo molto intelligente e lungimirante la necessità scientifica della compilazione di un catalogo di ogni collezione che fosse pubblica. Proprio perché si tratta di collezioni pubbliche, questa dovrebbe essere una naturale, oltre che indispensabile necessità, non solo per evitare qualsiasi eventuale successivo ammanco o sostituzione delle monete e medaglie, ma soprattutto per permettere a chiunque di poter accedere a dati che dovrebbero essere “pubblici” e quindi disponibili a tutti gli studiosi, sia nazionali che esteri. Il Papadopoli aveva intuito l’importanza del problema ed era riuscito ad anticiparlo e in minima parte a risolverlo.

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Il famoso studioso Francesco Gnecchi la cui importante collezione di monete romane è oggi conservate a Palazzo Massimo in Roma, parte del Medagliere del Museo nazionale romano. Francesco Gnecchi è stato anche autore di un’opera dedicata ai medaglioni romani, una magnifica impresa editoriale pubblicata nel 1912 in tre volumi

Ma nonostante egli, come molti dei massimi livelli della cultura numismatica, già agli inizi del Novecento, ponessero come centrale la questione della catalogazione delle collezioni pubbliche, purtroppo siamo ancora molto lontani dall’avere questo auspicabile, indispensabile e fondamentale risultato.

Francesco Gnecchi, importante collezionista la cui considerevole raccolta di monete romane imperiali è ora conservata al Museo nazionale romano (sede di Palazzo Massimo a Roma), proponeva, magari, anche un successivo catalogo unico nazionale. Occorre infatti ricordare, con le parole di quest’altro benemerito collezionista e studioso, che “i musei non debbono essere, come purtroppo e non senza ragione si ripete, i cimiteri delle raccolte. Queste, cura e delizia dei loro possessori, vennero legate ad uso pubblico non soltanto per mantenerle integre, ma anche e sopra tutto perché divenissero strumento valido ed efficace di cultura”.