Moriva 450 anni fa Benvenuto Cellini, orafo, scultore e incisore di coni di livello assoluto che ha segnato l’arte e la numismatica

 

di Eleonora Giampiccolo | Uno dei maggiori rappresentanti del Manierismo, orafo e scultore di indiscusse abilità artistiche, Benvenuto Cellini (1500-1571) fu anche un eccellente incisore (o “stampatore” secondo la lingua del tempo) di monete e medaglie. Spirito irrequieto ci ha lasciato, attraverso la sua autobiografia, un resoconto non solo della sua vita, ma anche la storia delle opere che gli venivano, di volta in volta, commissionate.

Nato e formatosi a Firenze presso le botteghe di Michelagnolo Orefice, da Pinzi di Monte, e di Antonio di Sandro, soprannominato “Marcone orafo”, pur contro la volontà del padre che avrebbe preteso da lui studi da musicista, fu ben presto costretto, a causa di una lite, a lasciare la sua città natale e a recarsi prima a Siena, poi a Bologna e Pisa, e a ritornarvi solo dopo aver approfondito gli studi d’arte e affinato la sua tecnica. Non rimase a lungo a Firenze, perché decise di andare a cercare fortuna a Roma.

Da Firenze alla Città eterna per cercare fortuna…

I primi mesi romani, presso la bottega del Maestro Santi, orefice, gestita dal figlio di questi, furono tutt’altro che facili perché la concorrenza che dovette affrontare era spietata. Egli si concentrò, quindi, sul mercato privato, ingraziandosi potenti famiglie che intrattenevano ottimi rapporti con la Santa Sede. Fu il vescovo di Salamanca, per il quale realizzò candelieri di ottima fattura, a presentare l’artista al papa Clemente VII nel 1523.

La prima opera romana di ambito numismatico “infra le altre notabile” fu la medaglia da cappello con Leda e il cigno, commissionatagli nel 1523 dal gonfaloniere Gabriello Ceserini e che gli fece guadagnare il favore dell’intera corte papale. Nel 1524 circa fu in rivalità con un altro celebre medaglista del tempo, Cristoforo Foppa detto il Caradosso: la medaglia che egli eseguì in questa circostanza fu giudicata migliore di quella del rivale milanese. I suoi successi furono bruscamente interrotti dal terribile sacco del 1527, ordinato dall’imperatore Carlo V, cui fu sottoposta Roma da parte dei Lanzichenecchi.

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Un dei famosi e rari ducato in argento coniati dal Cellini durante il Sacco di Roma del 1527: la zecca provvisoria era allestita in Castel Sant’Angelo

Durante l’assedio, il Cellini si trovò asserragliato in Castel Sant’Angelo e partecipò con coraggio alla difesa della città, uccidendo con un colpo di archibugio il duca di Borbone a capo dell’esercito di mercenari. Ricevette da Clemente VII il tesoro del papato con l’incarico di togliere le pietre preziose e fondere i metalli preziosi in modo che fosse più facile farne moneta (le celebri ossidionali del Sacco).

Dopo la tempesta del Sacco di Roma

Dopo il sacco, l’artista ritornò per un breve periodo a Firenze e poiché “sempre m’è dilettato di vedere il mondo, e non essendo mai stato a Mantova”- così scriveva nella sua Vita, vi si recò, iniziando a lavorare presso la bottega del maestro Niccolò, milanese, orefice dei duchi della città. Qui gli fu commissionato, nel 1528, il sigillo d’argento per il cardinale Ercole Gonzaga, di cui oggi rimane solo un’impronta allegata ad una bolla del 12 agosto 1540, conservata presso la curia episcopale di Mantova, e che raffigurava l’Assunzione della Vergine con la legenda HER· GONZAGA· S· MARIAE· DIAC· CAR· MANTVAN· intorno e in esergo lo stemma cardinalizio. Lo stesso anno eseguì altri due sigilli per Federico Gonzaga, di cui uno citato nel Trattato dell’Oreficeria e l’altro in un documento privato.

Dopo aver lasciato Mantova si fermò a Firenze, dove cominciò a lavorare al Mercato Nuovo; un certo Girolamo Maretti gli commissionò una medaglia per cappello raffigurante “uno Ercole che sbarrava la bocca a il lione”, opera lodata anche da Michelangelo. Sempre a Firenze, stando a quello che l’artista racconta nella sua Vita, eseguì una medaglia, che era stata commissionata da un certo Federico Ginori, in nome di un amore impossibile per una principessa, a Michelangelo, il quale propose, invece, il nome del Cellini, pur accettando di prepararne il disegno. La medaglia, perduta, raffigurava Atlante che sorreggeva il mondo e recava la legenda SVMMA TVLISSE IVVAT che alludeva al peso di un amore irrealizzabile.

Nel 1529 venne richiamato a Roma da Clemente VII, il quale, con il motu proprio del 16 aprile dello stesso anno, lo nominò incisore presso la zecca di Roma e gli commissionò il razionale per il suo piviale con la raffigurazione di Dio benedicente contornato da puttini che al centro reggevano un enorme diamante.

Dettaglio del R/ del doppio ducato “Ecce Homo” e doppio carlino di Clemente VII con al D/ il ritratto del papa e al R/ Gesù solleva san Pietro dalle acque

Il doppio ducato “Ecce Homo”, un capolavoro di rarità

Per il papa il Cellini realizzò, inoltre, la moneta da due ducati o “doppione largo d’oro” con al dritto il ritratto del pontefice a sinistra, a capo nudo, circondato dalla legenda CLEMENS· VII ·PON· MAX·; al rovescio il Cristo nudo con le mani legate, la legenda intorno PRO ·EO ·VT ·ME ·DILIGERINT·, nel campo ai lati la scritta ECCE HOMO e in esergo ROMA.

Nella Vita, viene citato come rovescio della moneta in questione il dritto della medaglia che raffigura il papa e l’imperatore che raddrizzano la croce con intorno la legenda VT· OMNIS· TERRA ·ADORET· TE · e in esergo CLEMENS. Tale dritto, invece, reca al rovescio i santi Pietro e Paolo e la legenda VNVS · SPS · [Spiritus, Ndr], VNA· FIDES ·ERAT · IN EIS e celebrava la Pace di Barcellona stipulata tra il pontefice e l’imperatore Carlo V all’indomani del sacco di Roma. Mentre lavorava in zecca, il papa gli commissionò una moneta del valore di due carlini, raffigurante al dritto lo stesso ritratto del pontefice utilizzato per il doppione e al rovescio Cristo che salva san Pietro caduto in mare e la legenda intorno in alto QVARE · DVBITASTI.

In fuga a Napoli, braccato per omicidio

Dopo aver ucciso un notaio, ed essere stato esonerato dall’incarico presso la zecca a causa del ritardo nella consegna di un calice, nel 1534 Benvenuto Cellini si trasferì a Napoli, ben accolto dal viceré, ed ebbe modo di ultimare la celebre medaglia raffigurante al dritto il busto del pontefice a sinistra, a capo nudo e con il piviale decorato con la figura di Cristo e altre due icone, chiuso da razionale con l’immagine di Dio e intorno la legenda CLEMENS· VII· PONT· MAX· AN· XI· MDXXXIIII; al rovescio la raffigurazione della Pace con cornucopia e face intenta a dar fuoco ad un cumulo d’armi davanti al tempio di Giano con il Furore legato al tempio e legenda CLAVDVNTVR ·BELLI· PORTAE· e BENVENUTUS· F· sul lato destro del tempio.

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Medaglia in argento a nome di Clemente VII Medici con al D/ il busto del papa e al R/ l’allegoria della Pace e del Furore placato

La suddetta medaglia, secondo la maggior parte degli studiosi potrebbe far riferimento alla Pace di Cambrai del 1529 (detta “delle due dame”), esito dell’accordo raggiunto tra Francesco I, re di Francia e Carlo V, sovrano di Spagna, Austria e Germania. Per altri, invece, essa potrebbe celebrare quel periodo di pace generale che caratterizzò gli anni in cui tale medaglia fu creata (fine 1533 – inizio 1534).

Di nuovo nell’Urbe, al servizio di Paolo III Farnese

Al suo ritorno a Roma, il pontefice gli commissionò una seconda medaglia con lo stesso dritto della precedente, ma con un rovescio differente sul quale era raffigurato l’episodio del libro dell’Esodo in cui Mosè, nel deserto davanti al suo popolo, percuote con una verga una roccia, dalla quale scaturisce l’acqua e la legenda nel campo in alto VT BIBAT POPVLVS, per celebrare la realizzazione del Pozzo di san Patrizio ad Orvieto promossa dal pontefice e realizzata da Antonio da Sangallo. Ma il pontefice, a malapena riuscì a vedere il nuovo rovescio: morì tre giorni dopo.

Dopo la sua morte, il Cellini lavorò per un breve periodo, per Paolo III Farnese per il quale, secondo quanto afferma, realizzò uno scudo che recava al dritto lo stemma del pontefice e la legenda PAVLVS III PONT· MAX· e al rovescio san Paolo circondato dalla legenda S· PAVLVS VAS ELECTIONIS. A causa dell’inimicizia con Pierluigi , figlio di Paolo III, e per aver commesso un omicidio, riparò a Firenze dove lavorò per Alessandro de’ Medici.

Testone di Alessandro de’ Medici con al D/ il busto del duca e al R/ i santi Cosma e Damiano e Scudo di Paolo III con al D/ lo stemma del papa e al R/ san Paolo

La prima moneta che gli fu commissionata fu quella del valore di quaranta soldi con al dritto il busto del duca Alessandro volto a sinistra e la legenda intorno ALEXANDER· MED· R· P· FLOREN· DVX· e al rovescio i santi Cosma e Damiano (i santi protettori della famiglia Medici) e la legenda intorno S· COSMVS· S· DAMIANVS.

Il testone “riccio” e altre monete per Alessandro de’ Medici

Tale moneta fu chiamata “riccio” per la testa ricciuta del duca in essa raffigurata. In seguito, fece “le stampe per il giulio” (anche chiamato “barile” perché al dazio corrispondeva al prezzo di un barile di vino), sul dritto del quale rappresentò lo stemma del duca circondato dalla legenda ALEXANDER· MED· R· P· FLOREN· DVX e al rovescio san Giovanni di profilo, seduto con un libro in mano e la legenda S· IOANNES· BAPTISTA.

Furono opera del Cellini anche i mezzi giuli, con lo stemma mediceo al dritto (diverso rispetto a quello sul barile) e la legenda ALEXANDER· MED· R· P· FLOREN ·DVX e al rovescio la testa di san Giovannino circondata dalla legenda S· IOANNES· BAPTISTA, “la prima moneta con la testa in faccia in tanta sottigliezza d’argento che mai si facessi”, scrisse l’artista nella sua Vita. Infine realizzò per il duca anche gli scudi d’oro con lo stemma mediceo leggermente diverso da quello rappresentato negli altri nominali e stessa legenda al dritto e una croce ornata accantonata da anelli e globetti e legenda VIRTVS· EST· NOBIS· DEI.

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Mezzo giulio di Alessandro de’ Medici con al D/ lo stemma mediceo e al R/ il busto del Battista e scudo di Cosimo I de’ Medici CON al R/ un’elaborata croce

Nel 1536 il duca Alessandro ordinò al Cellini una medaglia con il suo ritratto; ma, mentre lavorava a tale medaglia, a causa di problemi con Ottaviano de’ Medici, che voleva favorire il vecchio maestro di zecca Bastiano Cennini contro la volontà del duca, ricevette da Roma un salvacondotto che gli consentiva di ritornare in città e ritornare a lavorare per il pontefice. Così lasciò Firenze per recarsi a Roma, non prima di aver promesso al duca una medaglia ancor più bella di quella fatta per papa Clemente a suo tempo.

A Padova, la medaglia capolavoro per Pietro Bembo

Nel 1537 il Cellini, lasciò improvvisamente Roma e andò in Francia, passando per Padova dove realizzò una delle sue opere migliori, la medaglia per Pietro Bembo che recava al dritto il busto di Pietro Bembo a destra e la legenda PETRI BEMBI CAR e al rovescio un Pegaso alato.

Giunto in Francia, realizzò per Francesco I una medaglia con il busto del sovrano a sinistra, con corona d’alloro e un piccolo scettro con giglio e legenda FRANCISCVS· I· FRANCORVM· REX al dritto e al rovescio un cavaliere a destra che uccide la Fortuna con la legenda intorno FORTVNAM· VIRTVTE· DEVICIT e all’esergo BENVENV.

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Medaglia in bronzo realizzata a Padova dal Cellini con al D/ Pietro Bembo e al R/ un Pegaso rampante fa scaturire l’acqua dalla fonte Ippocrene

In seguito, non ricevendo altri incarichi dal sovrano tornò in Italia e a Roma, dopo equalche tempo a Ferrara, venne accusato di avere sottratto alcuni beni appartenuti a Clemente VII durante il sacco della città e per questo venne imprigionato in Castel Sant’Angelo.

Di nuovo prigioniero in Castel Sant’Angelo

Dopo aver passato un lungo periodo nella prigione di Castel Sant’Angelo, grazie ad una fuga rocambolesca riuscì a porsi sotto la protezione del cardinale Cornaro; ma questi ben presto lo riconsegnò alle autorità che lo ricondussero in prigione. Uscito di prigione si recò a Ferrara presso il cardinale Ippolito d’Este per il quale realizzò un sigillo sulla cui faccia erano rappresentati due diversi episodi: sant’Ambrogio a cavallo nell’atto di cacciare gli Ariani e San Giovanni Battista che predica nel deserto e intorno la legenda HIPPOLYTVS ESTN S MARIAE IN AQVIRO DIACONVS CAR FERRARIEN.

Sempre a Ferrara lavorò al modello per una medaglia in onore di Ercole II d’Este che, stando a quanto l’artista racconta nella Vita, doveva avere al dritto il busto del duca e il rovescio simile a quello della medaglia della Pace di Clemente VII con legenda PRETIOSA IN CONSPECTV DOMINI. Ritornò in Francia alla corte del re Francesco I, sotto il quale lavorò per alcuni anni, creando per lui una delle sue opere di oreficeria più famose, la celebre saliera. Dopo altri problemi con la giustizia decise di ritornare a Firenze nel 1545 dove rimase fino alla morte (1571), salvo brevi spostamenti, entrando nel circolo culturale di Cosimo I.

Benvenuto Cellini: non solo incisore, ma anche inventore

Benvenuto Cellini, nei suoi scritti, ci fornisce anche preziose informazioni riguardanti le novità tecniche da lui apportate nella coniazione delle medaglie: perfezionò, ad esempio, il torchio a vite che sarebbe stato protagonista della monetazione e della medaglistica dei secoli seguenti, introducendo anche un conio “a caratteri mobili” che permetteva di effettuare modifiche nella legenda, senza dover incidere daccapo l’intero materiale creatore.

Le sue monete e le sue medaglie, ancora oggi, rimangono tra le più contese nelle vendite pubbliche, sia per la loro bellezza che per il fascino che comunicano, quello di possedere un pezzetto della grande arte rinascimentale italiana.