Un caso mediatico, dalle dichiarazioni di un ex scomparso, su un presunto “tesoro di Montecristo”: quando i media confondono la realtà dei fatti

 

di Roberto Ganganelli | Da un paio di settimane rimbalza sui media nazionali la notizia – legata alla rocambolesca riapparizione di un imprenditore umbro, Davide Pecorelli, dato per scomparso in circostanze misteriose, in Albania, a inizio 2021 – di un presunto tesoro di monete che la persona – ora indagata – avrebbe “scoperto”, “ritrovato”, “individuato” ma senza esserne “venuto in possesso”.

Alcune testate lo hanno etichettato ad effetto come “il tesoro di Montecristo” mentre altri colleghi giornalisti, anche di testate autorevoli, hanno associato le presunte monete, in modo automatico, al “ripostiglio di Sovana” rinvenuto nella chiesetta di San Mamiliano, nella piccola località del Grossetano.

Si trattava – come i nostri lettori sanno – di 498 monete in oro, solidi tardo imperiali di zecche occidentali e orientali, che ritrovate nel 2004 furono esposte in parte (83 esemplari) nel 2012 e poi trafugate (66 su 83) nel 2019 (leggi qui). Di quel prezioso insieme di monete, Cronaca numismatica pubblicò anche gli elenchi completi forniti dalle autorità, con tanto di foto (leggi qui) degli esemplari trafugati, in modo da mettere in guardia commercianti e collezionisti a fronte di offerte di materiale sospetto.

Riteniamo a questo punto di dover fornire, come testata specializzata, alcuni elementi per fare chiarezza non tanto sull’esistenza o meno delle monete – di qualunque tipo e origine siano – che il protagonista di questa vicenda, sedicente “conte di Montecristo”, avrebbe avuto in mano, o “custodito” all’Isola del Giglio dove si era rifugiato, ma sui alcuni dati oggettivi a partire dai quali è stato montato un caso nazionale, che è anche un perfetto esempio di informazione distorta, incompleta e non suffragata da riscontri.

Innanzi tutto, essendo ancora aperte le indagini, le procure coinvolte non possono fornire conferme o smentite al fatto che il Pecorelli, al Giglio o a bordo del gommone su cui è stato intercettato, al largo di Montecristo, avesse con sé reperti numismatici o archeologici, o che ne avesse trovati nel corso delle sue peregrinazioni in mezzo al Tirreno, prima di essere individuato dalle autorità.

Il conte di Montecristo, in una tavola tratta da un'edizione ottocentesca del romanzo di Dumas. mentre scopre il tesoro della cui esistenza lo ha messo a parte l'abate Faria
Il conte di Montecristo, in una tavola tratta da un’edizione ottocentesca del romanzo di Dumas. mentre scopre il tesoro della cui esistenza lo ha messo a parte l’abate Faria

Il fatto che il protagonista della vicenda stia sbandierando ai quattro venti di aver trovato “il tesoro di Montecristo”, dunque, non prova nulla e, in ogni caso, quello che – lo scrivevamo già nel 2019 – era stato ribattezzato “scherzosamente” come tale, vale a dire il ripostiglio di Sovana, deve questo soprannome solo al fatto che leggende locali, al Giglio, narrano da secoli di un “tesoro di san Mamiliano” (patrono dell’isola) e che, guarda caso, Mamiliano è anche il santo al quale è intitolata la chiesetta del Grossetano dove furono rinvenuti i solidi.

Queste o altre leggende, probabilmente, sono state di ispirazione anche ad Alexandre Dumas che nel suo celebre romanzo Il Conte di Montecristo fa proprio dell’isolotto toscano il luogo dove Edmond Dantes, su suggerimento dell’abate Faria, scopre le enormi ricchezze che gli permettono il riscatto e la vendetta. Dalla letteratura alla realtà, tuttavia, il passo non è affatto breve, come c’è una bella differenza tra il dare credito alle dichiarazioni rilasciate ai talk show del pomeriggio – da un personaggio in cerca di notorietà? – e un quadro dei fatti che ancora non è stato, in gran parte, chiarito neppure dalla magistratura.

Di certo c’è solo che il Pecorelli è convocato in procura a Grosseto dal magistrato Anna Pensabene, per lunedì 11 ottobre, come persona indagata per i reati di sostituzione di persona e di ricettazione delle monete rubate nella chiesa di San Mamiliano di Sovana nel 2019. Solo dopo, forse, si avranno in merito informazioni attendibili.

Se davvero fossero state ritrovate le monete trafugate a Sovana, allora sarebbe “una notizia” – per noi giornalisti, come per i lettori – e sarebbe positiva per il nostro patrimonio culturale; lo stesso se, poniamo caso, il protagonista della vicenda avesse effettivamente individuato un qualche ripostiglio numismatico; il resto sono chiacchiere – nemmeno buona letteratura – alle quali, chi si occupa di informazione per professione, non dovrebbe dare peso, né fare eco.